Pochi giorni fa, in una delle mie passeggiate libere in città, ho sentito forte la mia presenza. O forse dovrei dire ho sentito forte la presenza, senza ‘mia’.
Mi spiego meglio. Mi trovavo immerso in quello che è il naturale immaginario della metropoli: Stoccolma. Ero circondato da automobili, luci di semafori, persone di fretta, tram, insegne pubblicitarie e l’odore di smog. Ma anche da grandi alberi, parchi, persone in bicicletta, bambini entusiasti, cinguettii di uccelli e profumi di bacche. Mentre passeggiavo, totalmente immerso in questa moltitudine di stimoli, la mia mente non da meno, vagliava, collegava, selezionava, rivolta all’esterno in alcuni momenti, rivolta ai pensieri interiori in altri momenti. Ero come immerso in un turbine. Il vortice della quotidianità, che potremo anche
chiamare il vortice della realtà.
Non è infondo così che si tende a vivere buona parte del nostro tempo? Totalmente catturati dagli stimoli, anche se spesso del tutto incoscienti? Esterni od interni che essi siano. Frutto dei nostri cinque sensi o frutto del nostro pensare. Io ero lì, il Sole non si mostrava, non in questo giorno di autunno inoltrato. Pensavo al libro che volevo scrivere. Vedevo i ragazzini che giocavano al parco ridendo e gridando il loro entusiasmo e pensavo a quanto erano felici. Pensavo al piccolo appartamento che il mio proprietario mi ha offerto di comprare, allo stipendio non sufficientemente alto e a come trovare il denaro. Sentivo gli uccellini cantare e in automatico la mia testa si alzava al cielo verso gli alberi. Pensavo al mio amico pittore che mi ha inviato i suoi portfolio nella speranza di vendere qui dei quadri, visto che il mercato italiano dell’arte al momento è statico.
L’odore di smog del bus mi riporta alle luci del semaforo. Rosso. Ora non posso passare. Arrivo a questa piazza. Ci sono delle statue di bronzo nel centro di essa. Non capisco bene cosa rappresentino, sembrano delle colonne, ma sono rastremate ai vertici, di altezza differente, contorte, avviluppate in se stesse. L’arte contemporanea, così strana a volte che proprio non si riesce a comprenderla. Come catturato comincio a danzare attorno a queste colonne, faccio degli slalom tra di esse, le tocco, le annuso, ondeggio, mi muovo all’indietro, mi muovo in avanti. Il bello della grande città è che nonostante sia sempre viva ed affollata, ti puoi trovare in una piccola piazza ed accorgerti di essere libero di fare ciò che vuoi, perché vicino a te non c’è un anima viva.
La danza termina. Mi sento attratto da qualcosa. Mi accorgo che la piazza ha un naturale andamento che convoglia verso un grande edificio. Mi inoltro nel piccolo giardino che porta alla salita d’entrata. C’è un altare nel mezzo. Non sta a livello del suolo, ma al suo interno ed ora è protetto per l’inverno. La copertura non mi lascia intravedere cosa ci sia sotto, ma sento che c’è un fuoco che scalda. Sono eccitato. La strada si fa doppia ora, prendo una delle due vie che attraverso un movimento a spirale mi accompagnano al portale d’ingresso. Una porta maestosa è lì. Alzo la testa e nell’arco che la sovrasta incontro questo simbolo
Una cosa stranissima accade. Percepisco come tutto il rumore di sottofondo creato dalla città, così come i miei pensieri o qualsiasi altro stimolo prodotto dai miei cinque sensi come la vista o l’olfatto, non siano altro che un extra, un surplus. In un lampo sono catapultato in uno stato che non ha nulla a che vedere con ciò che normalmente vivo. E’ come se il tempo non esistesse più. E’ come se non esistesse un passato o un futuro. E’ come se tutte le esperienze vissute non avessero alcun significato, non più. Il nome stesso, il mio nome altro non è che una mera etichetta appiccicata ad un corpo. I colori, i rumori, i pensieri, la realtà in tre dimensioni che sperimentiamo il 99% del nostro tempo. Nulla a più senso. Al suo posto però non c’è un vuoto. Non c’è un caos o un assenza di significato. Non è un luogo indefinito, bianco, senza confini in cui puoi confonderti e perderti arrivando a chiederti se quell’infinito rappresenti la libertà stessa, o se sia forse una gabbia, da cui non è possibile uscire. Non un eterno ritorno. Non è nulla di tutto questo. Non le parole lo possono carpire, non la scrittura descrivere.
E’ vivente. E’ pulsante. E’ archetipo. E’ sogno. E’ iper-reale. E lì, qui, ora, sempre… non c’è separazione. Io sono. O meglio semplicemente ‘sono’.
Ma nemmeno ‘sono’ veramente lo descrive. Il tempo non esiste lì/qui. E nemmeno il luogo. Nemmeno ‘É’ funziona, perché implica separazione da colui che osserva. E nel ‘Qui/Ora’ non c’è separazione alcuna.
Torno alla strada, scendo, passo per il piccolo parco, rientro tra le strane colonne. Prendo la metro in direzione del lavoro. Tra poco attacco. Il bar mi aspetta, ma tutto sembra così diverso. La mia mente non parla più e le immagini che arrivano agli occhi non sono nulla più che immagini, ora. Tutte le domande, tutte le ricerche, tutto ciò che coincide con il razionale sembra non essere che un semplice pallore distantissimo da ciò che è la vera essenza della realtà, dalla verità. Non la filosofia, non i libri, non le esperienze sembrano essere il fine. Non il mio nome. Ebbene non mi sento vuoto, o perso. Non mi sento piccolo, o insignificante. Un numero, o qualsivoglia essere privo di alcun potere.
Sono pieno. Sono tutto. Ma non Io, qualcosa di più grande è in me. Vive attraverso me. Mi accorgo che è in tutti noi, ma che allo stesso tempo non siamo noi. E’ la somma delle parti che è più grande del tutto. Jody non ha nulla a che vedere con questa grandezza. Eppure egli è questa stessa grandezza, fuori dalla propria parte d’ego. Ma lo stesso potrei dire per Marco, Chiara, Lina, o chiunque altro.
C’è un bel libro che parla esattamente di questo. L’ho trovato dopo aver vissuto questa esperienza, o forse prima? Non è più importante quando ti accorgi che il tempo non scorre realmente, che il tempo non esiste. Sì, esiste, quando adotto il mio nome e devo andare a lavoro, e mi vedo invecchiare come tutti, ma quella è solo un parte della realtà, la stessa che da accesso al tutto, che è totalmente altro. Il suo autore è un canadese. Si chiama Eckhart, Eckhart Tolle. Che poi ha tutto tranne che di nome canadese questo… che vuoi, detto da uno che si chiama Jody e pretende di essere italiano suona un po’ ironico, non credi?
Il titolo originale in inglese è ‘The Power of Now’, ma sicuramente è stato tradotto in italiano. Non ho dubbi. Ecco, lui è la persona che forse è riuscita a descrivere meglio, quello che il simbolo mi ha permesso di vivere, quella realtà, quello stato, l’ora, il qui. E sebbene lui stesso, come me, ammetta che non a parole e nemmeno con la mente razionale questo ‘stato’ possa essere compreso, è sicuramente tra le persone che oltre a descriverlo, danno anche una rotta da seguire. Sì, come arrivare a vivere questo ‘stato’. Sperimentarlo nel quotidiano. Farlo agire su di noi ed attraverso noi. Il suo testo si snoda in forma di dialogo. Domande e risposte.
Si legge bene e ci sono dei bellissimi segni musicali di pausa quando lo scrittore crede che ci si debba soffermare più a lungo sulle sue parole, meditarle, per poi riprendere con il capoverso seguente. Il testo è potente, quasi magico. Lo vedi agire nella tua realtà, mano mano che lo scorri. E come dice lui, non credere alle mie parole, sperimenta da te. Leggilo. E la prossima volta che vi dicono che il triangolo con l’occhio dentro rappresenta il demonio, o i massoni, o gli illuminati, o qualsiasi altra forma di cospirazione planetaria e universale, fate come me. Sorridete e dite: “Ah già, è vero!”, e poi finite a parlare del cornetto del bar di fronte e di come sia bello essere vegetariani. Coloro che sono realmente pronti, sapranno chiedere e voi saprete rispondere.
Amiamo tutti perché ognuno è unico e meraviglioso, indipendentemente da ciò che fa. E il confine che la realtà illusoria vorrebbe farci credere, quello che termina con il nostro corpo, in verità non esiste. Siate coscienti che i fratelli dell’Ombra lavorano per i fratelli della Luce, anche se non lo sanno e credono il contrario, dice sempre Anne. C’è molto da fare.
E il mondo chiama, puoi sentirlo? I portali sono aperti, ma non a tutti è concesso di attraversarli.
…mi sveglio. Un senso di pace profondissima mi accoglie.
Venus. Mamma, ho fatto un sogno stranissimo.
Ariel. Raccontami di più.
V. Ero un uomo. Avevo trentaquattro anni e passeggiavo in un posto pieno di oggetti e situazioni che non mai visto o vissuto qui. Riuscivo addirittura a parlare con me stessa, mentre osservavo e sentivo le cose attorno.
A. Quello si chiama ‘Pensare’. E’ una cosa che non facciamo più da circa tre generazioni. Da quando i tuoi bisnonni, e con loro quelli della nostra specie, hanno scoperto che nell’assenza di pensiero si trova una fonte inesauribile di creatività e connessione.
V. Mamma, addirittura riuscivo a costruire dei mondi immaginari che però non erano nel presente… non so come spiegarlo bene, ma so che addirittura soffrivo per cose che non esistevano più, o che non erano mai esistite.
A. Si chiama ‘Tempo’ ed è un’altra di quelle cose che non pratichiamo più, da quando abbiamo imparato semplicemente ad Essere.
V. Mamma, pensa che avevo bisogno di una danza, di un simbolo e di un libro, sì, un libro che si chiamava “Il Potere di Adesso”, per tornare normale. Senza più avere attorno questo ‘Pensare’ o ‘Tempo’, come lì hai chiamati tu. Ma la cosa buffa è che anche da normale, mi sentivo come se non potessi essere una persona e contemporaneamente l’intero Universo. Incredibile, vero?
A. Devi essere finita in uno di quegli astrali inferiore della Nobile Akasha. Uno di quelli che mostra la realtà a quattro dimensioni. Quella che erano abituati a vivere i nostri simili prima della Grande Ascensione.
V. Davveroooo?
A. Sicuramente! Il libro di cui mi parli è stato fondamentale per quella trasformazione. Esiste e fu scritto da uno come noi. Uno dei Saggi Precursori. Ne teniamo ancora delle copie originali alla Grande Libreria Universale. Anch’io ho provato a leggerlo, quando ero più giovane, ma parla di alcune situazioni che sono davvero distanti dall’Ora.
V. E ci credo bene. Il mondo che ho visto nel mio sogno era tutto tranne che normale. Ero sicura di essere separata dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle di ogni altra specie. Assurdo.
A. Vieni. Andiamo da nonna. Lei è saggia e sicuramente ci saprà spiegare meglio quello che ti è accaduto. E stasera, tuo padre, mi sente. Gli ho detto di non usare quelle bacche vibratorie con te.
V. Su dai Mamma, infondo è stato anche divertente. Fortuna che è durato poco… Evvaiiiii!!! Si va da Nonna! Adoro le sue storie.
Sono le 13e28. Il Sole è già quasi al tramonto. Siate liberi nella vostra fantasia. Se di illusioni si tratta, almeno che siano meravigliose. E ricordatevi chi realmente siamo. Qui e Ora. Uno.
JM