Chi è Edward Bach

Camilla ViscusiArticoli, Benessere e SaluteLascia un Commento

Edward Bach è medico, batteriologo, immunologo ma ancor prima di essere tutte queste cose, Edward Bach è l’uomo che si è messo al servizio dell’anima e l’anima che si è messa al servizio del mondo.

I suoi primi studi di medicina li ha iniziati a Birmingham per poi laurearsi a Londra e lì cominciare a praticare la sua professione. Divenne ben presto un medico affermato e di successo ma non per questo, soddisfatto. Aveva infatti avuto modo di osservare come spesso, pur somministrando la stessa cura per una stessa sintomatologia, si potevano avere reazioni completamente differenti nei diversi pazienti e di come al contrario, pazienti con personalità molto simili mostravano in genere la stessa reazione rispetto ad un dato sintomo. Eventi questi, che si fecero sempre più verificabili ai quali però la medicina, così come gli era stata insegnata, non era in grado di dedicarsi perché troppo concentrata sul solo corpo fisico. Non che per Bach questo livello non fosse rilevante anzi, prendere in considerazione il sintomo era per lui di fondamentale importanza, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe bastato, se non considerato come parte di un insieme unico ed irripetibile costituito dalle emozioni, dai pensieri, dalla personalità, dai ricordi, dalla storia dell’individuo che lo manifestava.

Per questo decise di spingersi oltre, in linea con il proprio sentire. E lo fece avvicinandosi prima alla Scuola Immunologica, poi all’Ospedale Omeopatico dove rimase fino al 1922. Anni difficili questi, nell’arco dei quali in seguito alla morte della moglie avvenuta nel 1917, a Bach viene diagnosticato un tumore alla milza (organo collegato al sangue e alla vita) con una prognosi di più o meno tre mesi di vita. Ma morirà in realtà ben 19 anni dopo. Nel tempo passato all’Ospedale Omeopatico di Londra attraverso un lavoro di ricerca batteriologica in chiave omeopatica, introduce sette nuovi nosodi (i nosodi sono dei preparati, trattati omeopaticamente, ottenuti da materiale patologico, ricavato da prodotti metabolici di uomini o animali, o da virus, microrganismi… materiale che viene però rigorosamente sterilizzato e diluito così da privarlo della sua patogenicità. Questi, secondo il principio omeopatico del ‘simile cura il simile’, ad altissime diluizioni offrono un’efficacia terapeutica per quegli stessi o simili disturbi che li hanno prodotti).

Se pur fertile quindi, l’incontro con l’omeopatia, non lo soddisfò fino in fondo perché qualcosa dentro di sé continuava a chiedersi se, da qualche parte, esistesse un tipo di medicina dolce, gentile, semplice e naturale in grado di dialogare con i pazienti, senza violenza e senza fretta. Questa la domanda, questa la ricerca, la passione, il respiro che lo tenne in vita fino al 1936.

Questo suo sentire si materializzò in quelli che oggi sono chiamati ‘Fiori di Bach’: 38 fiori appartenenti ad alberi e piante non coltivati, (fatta eccezione per il Fiore numero 27 Rock Water perché non è un fiore ma acqua di sorgente) che una volta sottoposti a metodi di solarizzazione o ebollizione, lasciano nell’acqua le loro particolari e curative vibrazioni, attraverso le quali entrano in risonanza con quelle appartenenti a particolari emozioni che nell’individuo/animale/pianta risultano essere in disequilibrio, riportandole in armonia.

L’intuizione che ebbe quest’uomo e che nutrì al punto tale da farla diventare realtà, è quella che nella natura come nel nostro ‘essere’ abbiamo già tutto quello che ci serve per stare o per tornare a stare bene; quindi per prenderci cura di noi. Secondo il suo punto di vista la malattia altro non sarebbe che la manifestazione ultima di un conflitto che nasce in piani diversi da quello fisico e che coinvolge emozioni, pensieri e stati d’animo che se eccessivamente ‘carichi’ di energia vanno a creare uno squilibrio. Questo si manifesterà prima a livello energetico ma, se non preso in tempo, presto o tardi si farà spazio anche nella materia del corpo fisico concretizzandosi in un sintomo più o meno grave.

Per ogni emozione Bach, ha quindi trovato un fiore. Nel 1928 in Galles scoprì Impatiens (il fiore dell’impazienza), Mimulus (il fiore del coraggio) e Clematis ( il fiore di chi sogna ad occhi aperti) e già da questi primi tre rimedi ottenne grandi risultati, tanto da decidere di abbandonare ogni altra forma di medicina. In seguito venne per questo, aspramente criticato dalla classe medica, così decise di cancellarsi dall’Ordine Medico per farsi chiamare erborista. E qui, prima di continuare vorrei dire una cosa: la Floriterapia non vuole assolutamente sostituirsi alla Medicina, ogni disciplina ha il suo campo d’azione, un osso rotto non posso aggiustarlo con i Fiori, ma l’emozione e lo stato d’animo con cui vivo l’avere un osso rotto se in disequilibrio, possono essere quietati o rinforzati con l’aiuto dei Fiori e con pensieri ed emozioni ‘pulite’ non farò altro che mettere il mio corpo nella condizione di riprendersi con minore fatica e difficoltà.

Bach non ha voltato le spalle alla Medicina, ha solo abbracciato la sua vocazione, la sua intuizione per intero, senza sé e senza ma, nella maniera più profonda e completa possibile. Una volta capito dove, avrebbe potuto dare il massimo del suo contributo, semplicemente lo ha fatto senza più guardarsi indietro né davanti ma vivendo pienamente l’istante presente.

Nell’aprile del 1934 stabilitosi a Mount Vernon aveva scoperto in tutto 19 rimedi e solo nell’anno successivo, il più duro ed intenso, identificò gli altri 19 e il suo lavoro poté così dirsi concluso.

Ma in che modo Edward Bach riusciva a trovare i Fiori?

Ce lo racconta Nora Weeks in ‘The Medical Discoveriers of Edwar Bach, Physician’:

Prima di individuare un nuovo rimedio, per qualche giorno soffriva del particolare stato mentale che esso avrebbe dovuto creare, e ne soffriva al punto tale che chi gli era accanto si meravigliava che un essere umano potesse stare tanto male pur rimanendo mentalmente lucido; non solo viveva terribili agonie mentali, ma stati emotivi erano accompagnati anche da gravi forme di malattia fisica.”

Appare così evidente l’alto grado di empatia che quest’uomo aveva con le proprie e altrui emozioni, che troppo spesso oggi non vengono prese in considerazione, ma nascoste e soffocate o esaltate, sempre per non essere realmente ascoltate. Ma, è bene ricordare che se un giorno, volessimo consapevolmente prendere contatto e confidenza con noi stessi, quest’uomo ci ha lasciato l’aiuto ed il sostegno più naturale che servono per cominciare a farlo, quello che parla una lingua universale: la lingua delle emozioni.

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