Del lavoro e altri demoni 2

Laura NaselliArticoli, Riflessioni1 Commento

Ernesto preparava i turni. Ernesto decideva quando avresti potuto passare le feste in famiglia. Le famose feste; intendo dire Natale, Pasqua, quelle lì insomma. Quelle righe rosse sul calendario agognate dal sistema scolastico e temute dagli ospedalieri perché il personale si dimezza e il lavoro raddoppia in base ad un’equazione algebrica più oscura di un messaggio alieno.

Ernesto possedeva fogli A4 di pregiata carta bianca, matita, penna a sfera punta sottile e righello. Con certosina pazienza si accingeva ogni mese a mettere insieme i turni di tutti noi, i medici voglio dire. Tenendo conto, diceva, dei nostri “desiderata”.

Ecco qual era il problema: desiderare dei “desiderata” che non si scontrassero con i “desiderata” altrui, possederli già adeguatamente pianificati nei minimi dettagli almeno tre, quattro mesi prima, concepire quindi pranzi e cene familiari, battesimi, lauree dei nipoti e dei vicini di casa e, soprattutto, vacanze, sufficientemente per tempo. Talmente sufficientemente che dovevi essere una specie di Barbanera della famiglia, un Paolo Fox dispensatore non tanto di previsioni quanto di certezze assolute, un Nostradamus ospedaliero.

Era dato per scontato che i “desiderata” di Ernesto erano stati concepiti nella notte dei tempi; li annotava con una scrittura minuscola proprio in fondo ai nostri, si affacciavano timidi sul bordo inferiore del foglio che penzolava dallo sportello del suo armadietto come a dire “scusate, ci siamo anche noi, anzi ci saremmo perché siamo pronti in qualunque momento ad eclissarci per far posto agli altri”. Mosso da un impeto di commozione finivi col crederci.

Durante il giro in corsia Ernesto si avvicinava un po’ di sghimbescio, un occhio al letto successivo, una cartella in mano e lo sguardo di chi sa che ti dovrà dare una brutta notizia ma, ahimè, non può proprio farne a meno.

“Laura, ho appeso il foglio di là, potresti cominciare a scrivere i tuoi “desiderata”? Giusto per farmi un’idea.”
Lo guardavo tra il serio e il faceto. “Ma Ernesto oggi ne abbiamo cinque! Come faccio a sapere che cosa succede il mese prossimo? E se poi ho un imprevisto?”
Scuoteva la testa con compunta partecipazione e sospirava, lo vedevi proprio quel refolo di aria salire su dal diaframma per bloccarsi in mezzo allo sterno ed essere tirato fuori con doloroso sforzo.

“Hai ragione – ammetteva abbassando la voce quasi ad un rantolo di piacere e aggiungeva – te l’ho detto così per dire ma il prossimo mese ci sono cinque festivi, sarà un macello mettere tutti d’accordo, uno di noi dovrà farne due… ah…. comunque lo so che tu ci pensi sempre per tempo e in ogni caso non fai mai storie… E poi non ti preoccupare per gli imprevisti, figurati se non ci diamo una mano tra di noi…”

Vagamente compiaciuta da questo riconoscimento sul campo annuivo vigorosamente e cominciavo a pianificare il mese mio e quello della mia famiglia con venticinque giorni d’anticipo, in bocca il retrogusto leggermente amaro della fregatura.

Altri erano meno diplomatici di me, anzi, a dirla tutta, lo mandavano proprio a fare… o roba simile ed Ernesto si allontanava da loro con uno sghignazzo compiaciuto come se essere mandato a qual paese fosse il viaggio più bello della vita, come se non aspettasse altro che di staccare il biglietto. La sua resilienza, anche se all’epoca non si parlava proprio di resilienza, mi commuoveva e pensavo che era proprio una gran faticata mettere insieme i turni e soprattutto andare e tornare da quel paese. Povero Ernesto, mi dicevo, non deve proprio essere facile mettere tutti d’accordo, beccarsi quelle parolacce, non vorrei stare al suo posto. E mi precipitavo a scrivere i miei “desiderata”.

Poi c’era la questione della tempistica, mi spiego meglio.
Non è che perché scrivevi prima degli altri acquisivi diritti, non sia mai.
C’era nell’ambito delle esigenze mensili una sorta di gerarchia non scritta per cui quelle di qualcuno pesavano più di quelle di altri e non è detto che la faccenda fosse necessariamente legata ad anzianità di servizio, potere decisionale o altro.

Poteva anche capitare che se il Tizio aveva prenotato il viaggio all’estero in quel periodo passava avanti al Caio che nello stesso periodo aveva prenotato la pensioncina a Fregene, un po’ un meccanismo tipo mille miglia, più lontano vai e più contano le tue necessità.
Eh… ma quello va all’estero… sì va bene ma io mi sono messa d’accordo con zia Luisa sei mesi fa, le lascio i bambini e mi godo una vacanza con mio marito e zia Luisa ha rinunciato alle sue di vacanze per badare ai miei figli… eh…. ma quello va all’estero.

Poi c’era la questione ancora più pressante di evitare certi turni, di starsene lontani dall’ospedale e dal pronto soccorso magari il Primo Maggio quando le persone cominciavano a fare le prove di scivolata in moto per prepararsi all’estate; oppure la Notte di Natale quando dopo le due del mattino sbarcavano intere famiglie con le coliche o mogli con l’occhio nero che manco i fagioli, regalino di Natale da parte del loro affettuoso maritino; oppure infanti urlanti con una ferita lacero contusa alla fronte che ti chiedi ma come ha fatto questo a farsi male alle due di notte? …Stava correndo intorno al tavolo della cucina ed è caduto povero figlio.
Ma l’antititanica la deve fare?
Aiutooooo….!

A dieci giorni dalla scadenza cominciavamo a guardarci in cagnesco, alleanze si stringevano come patti di sangue per poi sciogliersi l’indomani come neve al sole. Se ti appioppa quello ti vengo incontro ma tu mi fai quell’altro… sto stronzo. Va bene però non ti dimenticare che ti sto facendo un favore. Un favore? Ma di quale favore vai blaterando? Ti sei scordata che l’anno scorso ti ho fatto il Natale? Il Natale? Intanto è passato un anno, e poi, figurati, toccava proprio a te. Ammé?! Stai facendo male i conti, sei di memoria corta. Beh, comunque non toccava di certo a me per cui se hai fatto un favore a qualcuno quello non ero io.
Tutto ciò in un crescendo shakespeariano.

A cinque giorni dalla scadenza i turni erano pronti per la firma del Primario e per essere spediti in Direzione Sanitaria. In effetti erano ancora scritti a matita, magnanima ultima concessione di Ernesto che sembrava mandarci un rassicurante sta tranquillo che ancora tutto può cambiare, questa qui è solo un’ipotesi perché ancora ci devo lavorare sopra.
Ci dividevamo grosso modo in due fazioni, l’appartenenza alle quali comunque era piuttosto fluida.

C’erano i bastian contrario per partito preso. Quelli che comunque come gliela mettevi non erano mai contenti. Non soltanto avevano da ridire sui propri turni ma anche su quelli degli altri, instillavano dubbi, sbattevano porte, minacciavano devastanti malattie che avrebbero mandato a gambe all’aria ben altro che viaggi all’estero.

Poi c’erano gli agnelli sacrificali, quelli che avevano chiesto dei “desiderata” ma tanto lo sapevano bene che Ernesto non avrebbe potuto accontentarli ma non perché non volesse… anzi! Ma proprio non ce la poteva fare con quelli lì, hai capito, i bastian contrario. E pazienza se per quest’anno le cose andavano così, l’anno prossimo ci sarebbe stato spazio per un giusto e meritato riscatto.

Ed in mezzo lui, Ernesto, che continuava a brandire righello e matita manco fossero scudi spaziali e lame rotanti. Indomito cavaliere, paladino della giustizia, paziente direttore di un’orchestra dissonante e, alla bisogna, machiavellico manipolatore.
Finalmente il foglio era compilato, con scrittura chiara, uno stampatello elegante e rigoroso, erano stesi lì, nero su bianco: il lavoro del prossimo mese, un altro infinito scoglio da superare, una boa da aggirare per accumulare servizio e portarsi a casa uno stipendio.
Con fare solenne Ernesto si avviava verso la stanza del Primario e scompariva dietro la porta a vetro smerigliato.
A questo punto le liti tacevano, le armi bianche venivano rinfoderate, i bronci si distendevano in sorrisi: era fatta, anche per quel mese.
A pensarci bene, in fondo, poteva anche andare peggio.

Adesso il problema era andare a raccontare alla moglie che per il momento era inutile fare storie perché le cose erano così e basta. E che sarà mai? E poi il lavoro è lavoro.
Qualcuno rifletteva sulla possibilità di chiedere un altro turno a teatro. Altri si mettevano d’accordo per cambiarsi il pomeriggio reciprocamente, io do una mano a te e tu la dai a me, l’abbiamo sempre fatto o no? Nuove alleanze sorgevano.

In fondo al mio cuore, e non solo al mio, si insinuava il dubbio appena accennato che Ernesto, quello che si era sacrificato più di tutti, non avrebbe mancato nessun appuntamento né modificato alcun programma.
Da dietro la porta col vetro smerigliato si sentiva la risata del Capo, e quella più sommessa di Ernesto. Chissà se ridevano del bastian contrario o dell’agnello sacrificale o semplicemente si stavano raccontando l’ultima.

Laura Naselli

N.B. i personaggi sono un prodotto della mia fantasia, le situazioni sono un collage di memorie reali e, in ogni caso, ogni riferimento a fatti o a persone reali è casuale.

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