Dio e la E-45

Stelio ZaganelliArticoli, RiflessioniLascia un Commento

Per i miei nuovi anni, li ho compiuti pochi giorni fa, mi sono regalato una gita. Nei luoghi del cuore.

Ho sempre vissuto a Perugia, i miei natali sono ferraresi. Quindi per tornare a visitare i luoghi natii ho percorso, come non facevo da più di due anni, la superstrada che da Terni porta fino a dopo Cesena.
Io l’ho presa dalle parti di Bosco.

Come è quasi sempre stato, fino a Città di Castello il viaggio pare liscio come l’olio, poi d’improvviso, ed è sempre stato così e non ne conosco la ragione, cominciano i lavori. Da Castello a Ravenna ho contato dodici interruzioni, e per undici volte non ho visto operai al lavoro.

Mi ricordo che quando ero bambino, partivamo con la Dyane e placidamente ci assestavamo sulle quattro ore e mezza di viaggio. Negli anni Settanta c’erano decine di chilometri da fare dietro Tir giganteschi, curva dopo curva.
Si aveva il tempo di lagnarsi, di stufarsi, di fare a botte con mio fratello, di esasperare mia madre.
Era un vero e proprio viaggio iniziatico!

Ma ero bambino e pensavo solo al presente, un lungo e infinito presente. Fino al mare o fino a Ferrara.
Oggi sono più grande e lo stesso tragitto l’ho coperto in tre ore e mezza. Dopo circa quaranta anni! Dodici interruzioni, nonostante la superstrada ormai copra tutto il tragitto.

Vi chiederete cosa c’entra scomodare Dio nel titolo di questi pensieri.
Beh, c’entra eccome.

Oggi non sono più bambino e durante il tragitto non puoi non pensare a tante cose. E quelle che più spesso ti vengono in mente, sono irripetibili.
Ti cominci a chiedere “perché?” arrabbiandoti sempre di più ad ogni nuova interruzione. E non c’è nessuno a cui chiedere spiegazioni.
Allora pensi che ci siano forze quasi divine che impediscono un placido, sereno tragitto senza intoppi.
Dopo più di quarant’anni le cose sarebbero dovute cambiare. Ma questa nostra nazione fa finta di cambiare e poi non cambia mai.

Ma al di là di questa amara constatazione, pensare al crollo del Ponte Morandi ancora mi lascia atrocemente attonito, resta un senso di vuoto, di incompiuto.
Un po’ come la nostra civiltà, che vuole essere la migliore di tutte, e spesso lo crede fino al parossismo, e poi non ti rende omaggio con niente.
Anzi, ti presenta il conto, spesso salato, di questa mancanza di Dio, ovunque tu sia. Perché il Dio che si venera è relegato alla politica e al calcolo. Quello che dovremmo venerare, le belle cose, la natura, il cielo o l’arte pura, lo releghiamo spesso nel retrobottega dei nostri interessi primari.

L’unico Dio che dovremmo rispettare è la Terra che ci ospita e sulla quale camminiamo.
E se proprio dobbiamo costruirci sopra strade e colate di cemento, sarebbe carino cominciare a farlo per bene.

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