Quando vidi l’immagine che Francesco Giacovazzo aveva scelto per la copertina del suo primo libro, La pietra degli alchimisti, pensai fra me e me: “che strana immagine per un libro che parla di alchimia…”
L’opera in questione è il famoso dipinto di Paolo Uccello, San Giorgio e il Drago, un olio su tela databile al 1456 circa. Per svelare il mistero mi misi subito a fare una ricerca su internet: ero sicura che ci fosse un legame e volevo capire come interpretare quello “strano” dipinto. Ma, mano a mano che scorrevo con lo sguardo sulla pagina e leggevo l’interpretazione dell’immagine, tutto diventava molto più chiaro e mi apriva a nuovi scenari.
“San Giorgio è l’emblema della ragione che trionfa sull’inconscio. Il guinzaglio allude al dominio delle pulsioni inconsce da parte del principio psichico femminile. Il drago è la rappresentazione allegorica della prigione dell’anima e delle catene che ne impediscono l’elevazione spirituale. Insieme ai basilischi questi animali erano utilizzati da streghe e stregoni come cavalcature per raggiungere i raduni sabbatici.” (Fonte: Wikipedia)
Ecco! Nell’immaginario della mia mente tutto era tornato a posto: nella casella “alchimia” ora avevo riposto anche questo piccolo tassello, ovvero quello del drago, utilizzato da streghe e stregoni come cavalcatura per raggiungere i raduni sabbatici. Sì, perché, prima di leggere il libro di Francesco Giacovazzo, nella mia mente “Alchimia” era sinonimo di “Esoterismo”, “Stregoneria”, ed era ricollegato a immagini di “stregoni”, appunto, che, di nascosto, nel buio dei loro laboratori, facevano esperimenti con provette ed alambicchi, alla ricerca nel migliore dei casi, dell’elisir di lunga vita, mentre nel peggiore dei casi, della formula segreta per trasformare il piombo in oro per diventare così i padroni della Terra.
Avevo però, ahimè, tralasciato completamente tutta la prima parte dell’interpretazione dell’immagine: “San Giorgio è l’emblema della ragione che trionfa sull’inconscio. Il guinzaglio allude al dominio delle pulsioni inconsce da parte del principio psichico femminile. Il drago è la rappresentazione allegorica della prigione dell’anima e delle catene che ne impediscono l’elevazione spirituale.” È proprio vero che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire! (O forse c’è un piccolo “sabotatore” dentro ognuno di noi?!?).
Tutte le tradizioni spirituali del mondo in tutti i modi hanno provato, e continuano a provare, a spiegare come fare a liberarsi dalle proprie pulsioni inconsce ed ottenere la libertà… ma andiamo per gradi. Inconscio, dominio delle pulsioni, prigione dell’anima, catene che impediscono l’elevazione spirituale… La mia mente aveva rimosso, e si era concentrata unicamente sulla simbologia, diciamo così, più “fiabesca”, dell’opera.
Per fortuna che ogni cosa arriva quando siamo pronti, quand’è per noi il momento di recepirne il messaggio.
Dopo aver letto La pietra degli alchimisti ho ripensato a queste tre frasi, e ho “visto” ciò che prima non volevo vedere: siamo tutti “imprigionati”, nonostante crediamo di essere liberi! Anche io, come l’autore stesso dice nel libro, sono rimasta scioccata da una così semplice e chiara verità.
Francesco Giacovazzo incontra Raffaele, il suo benefattore, “per caso” su un autobus, dopo aver assistito allo spettacolo di un noto ipnotista inglese.
«Ipnotizzare non è poi così difficile. Difficile è risvegliare dall’incanto.» dice Raffaele a Francesco il giorno del loro primo incontro. Le parole sono troppo enigmatiche, e allo stesso tempo così chiare, che l’autore non vuole ascoltarle. Ma in qualche modo lo toccano nel profondo, e risvegliano in lui un desiderio di conoscenza. Possiamo far finta di non vedere, di non sentire, ma dentro di noi sappiamo, e sentiamo quella vocina che ci sussurra parole che vengono da lontano.
«Tutti gli uomini in realtà sono ipnotizzati e dormono e, finché si dorme, non ci si può accorgere che si sta dormendo.» dice Raffaele a Francesco durante uno dei loro colloqui successivi. La prima domanda che mi è sorta spontanea è stata: “Ma perché sono ipnotizzata, perché sto dormendo?”
La risposta mi è arrivata poche pagine più avanti: perché l’uomo non è libero, è schiavo della sua “biomacchina” e della sua personalità che si preoccupa esclusivamente della propria sopravvivenza.
“La nostra personalità è il drago da domare; è ciò che ci tiene addormentati e conduce la nostra vita in maniera autonoma e automatica”, legge Francesco in un plico che gli viene fatto recapitare da Raffaele… ecco che pian piano tutto cominciava a farsi più chiaro nella mia mente. Possiamo chiamarla la nostra personalità, o il nostro ego, o la nostra mente, o come più ci piace. Più andavo avanti nella lettura e più mi si accendevano in testa lucine che mi riportavano ad altri libri, ad altri autori, ad altri discorsi che già avevo letto e sentito, partendo da Gurdjieff per arrivare fino a Castaneda. È davvero tutto così chiaro, così alla luce del sole, eppure di fronte a questa verità siamo tutti ciechi! La prigione è dentro di noi, la prigione siamo noi stessi!
«Cosa bisogna fare per svegliarsi?» chiede allora Francesco.
«Devi essere “presente a te stesso” […]».
“Presente-a-te-stesso”: quattro semplici parole, cristalline.
A questo punto non riuscivo più a staccare gli occhi dallo schermo del computer. Volevo e dovevo sapere anche io come potevo essere presente-a-me-stessa, come potevo fare a svegliarmi. Volevo però, come spesso mi capita di fare nella mia vita di tutti i giorni, la soluzione “chiavi in mano” a tutti i miei problemi, alle mie difficoltà, alle mie frustrazioni. Cercavo la “formula magica” che mi permettesse di “avere il massimo con il minimo sforzo” (non che ci sia qualcosa di sbagliato in questa formula, anzi! È una tra le mie massime di vita preferite…). Ma non era questo il caso e, ancora una volta, in questo bellissimo libro, ho trovato risposte ben più profonde e importanti, che mi hanno emozionato, fatto riflettere, e permesso di vedere le cose da un’altra prospettiva.
Ancora una volta ho capito, e sentito profondamente in tutte le fibre del mio corpo, come non ci siano scorciatoie nel lavoro su di sé. Ogni giorno, ogni ora, ogni istante, è importante, se vissuto con consapevolezza e se siamo “presenti a noi stessi”. Lo sforzo deve essere continuo, l’attenzione sempre vigile: per liberarci dalla nostra prigione, dobbiamo riuscire a controllare e a dominare i nostri impulsi inconsci, dobbiamo mettere la catena al drago che c’è dentro di noi e trasformarlo in un pavido agnellino. Tanto lavoro ci attende, ma ci sono buone notizie: non è detto che la sofferenza sia una tappa obbligata. Al contrario, il cammino, dice Raffaele, può essere intrapreso interamente nella gioia, nella grazia, nella bellezza e nell’Amore.
«L’Amore è il segreto.»
Grazie Francesco.
Un Commento su ““Siamo tutti “imprigionati”, nonostante crediamo di essere liberi””
Cara Daria, bellissimo questo tuo articolo. Io, dal canto mio, tifo per il drago (come visione positiva della sua esistenza interiore). Detto con un mio aforisma, suona così :” Cura il drago che è in te, come fosse il tuo ultimo nemico da crescere”.
Spero, quanto prima di poter leggere il libro.
Gabriella Zagaglia