Novello Ulisse culinario, ho fatto un dolce.
Con la cioccolata!
Tantissimi pezzi. Al latte, fondente, con le nocciole. E pensavo mentre cuoceva a quanto mi sarei sentito felice, a come avrei sentito la farina di cocco che si sposa con quei tocchi semi fonduti dentro al palato e a come avrei percepito la gioia del vivere, del gustare.
Poi mi è salita la paura, che tutto questo non sarebbe potuto accadere!
Smetto di arrovellarmi, esco di casa.
Cammino nel vento e nel sole, che va e viene.
Penso alla rotondità della terra, che magari è piatta o triangolare, alla fine chissenefrega. Penso all’universo che mi fa perdere la testa.
Penso a quando ero bambino ai miei sogni a dove devo andare e dove sono stato.
Vedo una logica in tutto questo, anche illogica se si vuole.
L’impasto che intorno a me si dipana è variegato, sa di smog e uccelli che cantano. Sa di speranza e desolazione. Di lattine gettate dal finestrino nei campi, di fiori che crescono nonostante il catrame.
Di sorrisi inaspettati, di delusioni improvvise.
Se ti lasci coinvolgere sei fregato!
E’ come guardare quel dolce con apprensione, sperando che non bruci, che sia buono, che possa ricevere consensi.
No.
Lasciarsi andare è l’unica cura, lasciare che sia e restare a guardare.
Non lasciarsi coinvolgere e restare imparziali. E’ l’unica possibilità, come fece Ulisse, restò a guardare mentre il mondo intorno a lui impazziva e i Proci diventavano maiali e Circe crudele. E il mare ingrossava mentre il vento soffiava violento.
E’ tornato a casa, Ulisse.
La metafora di noi, che siamo troppo spesso ciò che viviamo.
In realtà siamo soltanto noi, autentici, il resto è tempesta, dolore, gioia, godimento, stordimento. Paura eccessiva, euforia illusoria.
Il dolce è venuto bene, era la prima volta. La prima volta non si scorda mai. Anche se poteva andar meglio. Succede spesso, anche con l’amore.
Sto tornando a casa, però. E’ l’unica cosa vera che resta.
Oltre ad uno struggente e suadente odore di cioccolata…