Il sole è alto e al mare si sta bene. Soffia il vento ogni tanto e distende le labbra di goduria, solleva un po’ il mento così che la fronte arrivi su, chiude gli occhi e la brezza si affusola sulla pelle più sottile delle palpebre, un po’ come fanno i gatti quando scivolano tra i polpacci, al vento piace come quando in mare aperto gonfia le vele; le narici si allargano e lo fanno per lasciare un po’ da soli il respiro e il cuore.
L’acqua chiama i piedi che attraversano la sabbia bollente pur di arrivarci, sostando nell’ombra degli ombrelloni sparsi tra le file avanti alla tua nello stabilimento costoso ma convenzionato.
Il fuoco sotto i piedi fa male ma porta la vita, il fremito che spinge ad andare, la voglia di arrivare e di rispondere al mare che ha cominciato a chiamare.
L’acqua è innocente, limpida, delicata tutta intorno alle caviglie. L’acqua è profonda, meno innocente, e di un blu intenso e irruento con intorno tutto l’orizzonte. Hai passeggiato sulla riva prima verso il porto, poi verso la collina, al largo, più in fondo nella pancia del mare, ti sei immersa, hai mangiato e hai bevuto provando un forte senso di gratitudine, hai steso il corpo insieme ai pensieri sotto i raggi caldi e con le gocce d’acqua fresca sopra la carne dorata e affamata di luce. Hai riso, hai letto le morbide pagine di un libro, ti sei divertita e hai comunicato nel silenzio con te, con il cielo, la sabbia, il mare senza accorgertene lasciandoti fare.

Poi è successo che la sera, vestita bella e truccata appena, sostando sulla terrazza del bel paese ti sei sporta appena e hai visto il mare, lo stesso di stamattina. File interminabili di sdraio e lettini vuoti, materassini liberi e silenti poggiati nell’ombra, i giochi dei bambini che dormono tutti dentro sacche a rete legate strette agli ombrelloni, formine di lumache e di stelle seminate sulla riva e tu riesci a sentire le voci di tutta la giornata appena trascorsa, i piedi, le mani, i ritmi delle altre persone.
Sono immagini e suoni stonati, stridenti che piano piano lasciano la spiaggia e si allontanano dal mare. È l’invisibile di tutto il visibile che si è mosso durante l’intera giornata e che adesso si raccoglie. Ci sono anche i tuoi respiri lì, i tuoi passi, il fuoco sotto i piedi, la goduria del vento sul viso… insieme al pianto assordante del bambino, alle urla ancor più disperate della madre, alla pazienza della nonna che non riesce a star dietro ai nipoti per le povere ossa, ai ragazzi che giocano a calcio e bestemmiano Dio per quanto sono bravi, alla famiglia che bracca e compra da ogni venditore ambulante… in mezzo agli “usi e costumi” della società ci sei anche tu, con un approccio meno burino, meno intellettuale, meno atletico, meno estivo e forse più spirituale ma comunque ci sei anche tu con il tuo approccio.
E qui, adesso, mentre il mare e la sabbia e il cielo e lo spazio in mezzo si spogliano, non fanno differenza per nessuno. Dondolano d’amore e basta. Un po’ ti rode che l’ologramma della donna che butta la cicca sulla spiaggia venga raccolto al pari del tuo che butti la bottiglia nell’apposito secchio per la plastica alla fine della spiaggia, vero?

Non lo capisci. E ti direi di rilassarti perché tanto non lo capirai mai. Piuttosto guarda questo spettacolo meraviglioso: il mare che torna nudo. I luoghi lo fanno: si spogliano degli avvenimenti e c’è una pace incredibile in questo, tu la stai guardando e ti stai ri-appacificando. I luoghi sono molte cose per molte creature non solo per gli esseri umani, anzi sono tutte le cose per tutte le creature. La montagna non è la stessa nella giornata di una farfalla e nella giornata di un orso cambia tutto da creatura a creatura, da essere umano a essere umano e i luoghi si offrono e rispondono ad ogni visione. Quando poi tutti dormono e nessuna vita li vede, vien fuori la loro.
Vuota di proiezione.
Così poi ricominciano sempre nuovi, una rinascita eterna e una speranza di mille e una notte. La memoria di tutte le storie è più in alto altrimenti ci sarebbero stati troppi strati leggeri o pesanti poggiati qui sulla terra, sulle acque dolci e salate, sulle cortecce e cime d’alberi… per questo qui la vita sa rinascere. Fisicamente. Sempre.
Resta però una vibrazione che non ha occhi, non ha zampe, non ha nome, non ha una storia. Il mare che si spoglia di te, torna a sé, alla vibrazione, al bacio di sé.
E sporta da quella terrazza, riesci a vederlo, a percepire qualcosa che vibra di origine e che ti suggerisce di fare lo stesso. Puoi spogliarti del mare, delle chiacchiere sulla riva, della partita di calcio giocata a metà spiaggia, dei mozziconi di sigaretta, del libro morbido, della bottiglia di plastica nel secchio, di chi credi di essere, di tuo fratello che assomiglia sempre di più a tuo padre, delle cose che sei brava a fare, delle decisioni che non avresti mai avuto la forza di prendere, degli errori commessi, delle certezze infrante, della forma dei tuoi piedi… puoi lasciare che tutto si raccolga e venga via da te, insieme alla tua storia e alla storia del tuo mondo e, ecco, ora anche il mare ti vede, ci sei, vibri.
È come mettersi l’uno di fronte all’altro, allinearsi, intonarsi senza niente e nessuno che faccia da tramite e senza giochi di prospettive. Si è in linea di suono, di vibrazione, di armonia.
Questo occorre.

Facciamo l’esempio che scoppi un grande incendio, per mano di uomini senza scrupoli e dai vani interessi e che questo porti alla morte di tanti alberi, piante e animali. Allora molti altri uomini e donne si fanno prendere dal pianto, dall’indignazione, dall’impotenza, dalla suggestione, dal senso di colpa e senso di fine, ma dalla voglia di fare comunque qualcosa e di corsa perché il mondo muore.
Supponiamo che ci sia un sistema tecnologico per cui le informazioni sono divulgate in tempo praticamente reale da e per ogni parte del mondo, da chiunque e per chiunque; e che in queste divulgazioni ci siano i pensieri e gli stati d’animo del pensare comune che prima ancora di essere del singolo è già di un gruppo di persone e ce ne sono tanti e diversi. Qui si è nella frenesia della spiaggia in un’infinità di proiezioni di sé e di altre mille storie, da qui anche il mio buttare la bottiglia di plastica nel cesto apposito potrebbe non essere diverso dal gesto della signora che lascia la sigaretta nella sabbia, se non sono consapevole di dove sto, se mi sento diverso dagli altri, se lo faccio per senso di colpa, paura o da incosciente di tutto ciò.
Mi muovo nel caos e agisco nel caos per suggestione, infantilità. Per muovere una guerra contro i cattivi e non per Amore, che è una cosa data per scontata, ma che è invece molto più difficile. La terra conosce, non è una vittima e in tutte le sue scelte di grande forza e umiltà offre la Possibilità.
Si ha tanta voglia di agire insieme, ma prima ancora di questo si potrebbe trovare il modo di guardare la terra negli occhi e di farsi guardare negli occhi, trovare il modo di spogliarci, di lasciarci raccogliere, di sentirci di fronte a Dio, nudi, senza colpa e senza il peso di dover salvare il mondo ma solo per correre il rischio di poter sentire vibrare qualcosa che somigli al dire ad alta voce: “Eccomi, sono felice di essere qui”, tutto vero e tutto intero.
Molte cose e molte persone da quando nasciamo ci accompagnano verso la morte, ma nel momento in cui accadrà saremo soli, spogli di tutto, solo noi di fronte a Dio, questa sensazione possiamo averla adesso in vita, guardando la terra, guardando negli occhi di uno sconosciuto o nei nostri, guardando alberi, onde, nuvole e animali. Perché è un momento magico, di confine e che sta avvenendo con i piedi ancora sulla terra.
È una cosa grande. Tornare a sé, alla vibrazione, al bacio di sé e una volta lì si conoscerà esattamente cosa ci è chiesto di fare per partecipare al miracolo, da soli e insieme.