“Esistono mani fatate che possono diventare ‘fatali’”, scrive Alda Merini in “La Vita Facile”.
Sembra che queste parole siano state scritte per chi, come il barbiere, protagonista del bel racconto di Claudio Proietti, delle sue mani abbia fatto un ponte di passaggio, un luogo di incontro, crocevia di vite e destini che “fatalmente” si ritrovano proprio grazie ad esse, al “lavoro” che sono in grado di fare.
“Fare il barbiere non è uno scherzo”, scrive Proietti. “Non è solo una professione. Non puoi barare, dire che ti stai guadagnando da vivere”. Non puoi avventurarti nel culo dell’inferno come faresti per un pic-nic. “C’è molto di più in gioco”.
Per me che sono psicoterapeuta, è venuta un po’ subito la tentazione di sostituire al termine ‘barbiere’ quello di ‘psicologo’, ma poi ci puoi anche mettere ‘prete’, o ‘counselor’, o… e sostanzialmente il senso profondo della frase non cambierebbe.
Ma il racconto di Proietti è molto di più che la descrizione di una professione o professionalità che dir si voglia. É innanzitutto la storia di un uomo, di un’umanità che si svela.
Il Barbiere, un po’ come Lo Straniero di Camus, contiene in sé una spassionata visione del mondo, vissuto e percepito come un bicchiere di vino continuamente offerto e riempito, dagli effetti inebrianti, con una leggerà tossicità che ad un certo punto crea l’imprevedibile turbamento nell’uomo approdato sull’isola “per caso”. Ma si sa, il caso non esiste. L’anima, come il cuore, ha percorsi che la ragione non conosce, ma che spesso occorre assecondare se non si vuole correre il rischio di rimanere imprigionati e vittime dei propri stessi “fantasmi”.
Il Barbiere dunque è una storia nelle storie, una possibilità molto delicata e “sicura” di far emergere emozioni e vissuti accolti dall’uomo stesso per la sua “capacità” di tenere “il segreto”. Ma Il Barbiere è anche la storia di un incantesimo, una sorta di favola che richiama forte il senso di percorsi alchemici, dove accadono trasformazioni, trasmutazioni e “miracoli” che possono avvenire proprio grazie all’incontro, alla relazione.
E tra le trame di questi incontri gli occhi si possono incrociare, soprattutto quando viene permesso al silenzio di dimorare dentro di noi. Ed è proprio questa peculiarità del protagonista, quella di stare in silenzio, che permette all’altro di aprirsi, perché ha bisogno di essere ascoltato.
E il barbiere ascolta, tiene dentro. Sembra stia “pagando un pegno” per qualcosa che è accaduto tanto tempo fa. C’è un forte rischio in effetti che egli rimanga fagocitato dei bisogni delle anime che abitano l’isola. Ma il barbiere riesce a trovare la chiave, un po’ per fortuna, ma soprattutto grazie al suo coraggio.
Come coraggiosa è l’apertura che offre al suo cuore, un movimento che permette all’incantesimo di sciogliersi e alla sua personale storia di prendere finalmente vita.
Sono d’accordo… “Tutti abbiamo bisogno di un barbiere speciale….”
Anna Scelzo
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