Il risveglio della Shakti

Laura NaselliArticoli, Recensioni2 Commenti

Molti anni addietro ho incontrato il libro di Jean Shinoda Bolen dal titolo attraente Le dee dentro la donna.

Francamente non sapevo di avere delle dee dentro di me anzi, tutt’altro. Eppure quel libro mi ha fatto comprendere la funzione degli archetipi femminili nella nostra esistenza e, soprattutto, il fatto di essere creature connesse a tutto il resto dell’Universo e di esprimere, nel corso della nostra esistenza breve o lunga che sia, potenti energie in costante evoluzione e in perenne dialogo tra di esse.

Molti anni dopo l’essenza di questo libro mi si è ripresentata, amplificata, nell’adorabile volume di Sally Kempton: Il risveglio della Shakti.
La Shakti è la forza vitale che sta dentro, sotto, sopra, intorno a qualunque cosa; svegliarla significa assumere consapevolezza.

La Kempton, che ha ormai superato i settant’anni, dapprima giornalista free-lance, ha la fortuna di vivere un giorno un’esperienza di Illuminazione, diventa monaca, comincia ad insegnare yoga, poi abbandona le vesti monacali, gira il mondo, scrive libri, tiene seminari dappertutto. Personalmente rimango sempre stupita da queste esperienze talmente intense da lasciarmi pensare che una sola persona riesce a vivere contemporaneamente tre o quattro vite mentre altri ne vivono a stento una e male, anche. Eppure uomini e donne così sono necessari all’evoluzione collettiva e si fanno sicuramente carico di un peso notevole.

Il libro è splendidamente impostato, avvincente come un romanzo d’avventura e didattico con equilibrio. L’Autrice parte dalla certezza che noi occidentali abbiamo un’idea abbastanza fumosa del Pantheon induista, reinterpretato da derive letterarie e cinematografiche. Più che altro veniamo attirati dall’iconografia molto colorata e talvolta anche “spinta” e rischiamo di non comprendere, nemmeno di sfiorare, la potenza della spiritualità induista: il principio creatore e la sua espressione, la Shakti, appunto. E poiché il dualismo è intrinseco alla natura umana, (luce-buio, pieno-vuoto, caldo-freddo), il principio creatore è maschile, Shiva, il Padre, l’amore assoluto che decide di non rimanere più solo e si estrinseca moltiplicandosi nell’altro da sé, il principio femminile.

Nel materializzarsi in livelli sempre più solidi il principio femminile si manifesta in innumerevoli forme e la Donna, in quanto tale, ha più facile accesso ad esse, purché sia disposta ad intraprendere un cammino di autoconsapevolezza, di dialogo con se stessa, di accettazione delle due facce della moneta, il lato luce e il lato ombra di ciascuna delle Dee.

Le pagine della Kempton traboccano d’amore nei confronti di queste Dee, si comprende come lei abbia dialogato con ciascuna di loro e non deve essere stato un dialogo agevole. Non lo è per nessuna di noi, in effetti. Due esempi per tutte, Lakshmi e Dhumavati. Di ciascuna di esse parlerò brevemente lasciando al Lettore curioso e motivato la gioia di approfondire l’argomento.

Lakshmi è nota come la Dea dell’abbondanza e della buona sorte. In India le viene dedicato un festival annuale e la cosa non ci stupisce affatto.
Tutti noi onoriamo volentieri una creatura così dolce, avvenente, gentile, dalla cui mano sgorga una doccia di monete d’oro. Lakshmi concede fertilità, abbondanza, ricchezza, grazia a chi ne assorbe le qualità. Quando si avvicina il periodo della sua festa le donne indiane fanno le pulizie straordinarie, un’espansione della pulizia interiore con eliminazione dei pensieri morbosi, inutili, delle ragnatele che ognuno di noi porta nel proprio cuore; se infatti non ripuliamo i nostri pensieri dalle zavorre come riusciremo a fare spazio alla Grazia Divina? Lakshmi, al di là della mera inondazione di ricchezza, porta a questo: all’apertura al nuovo ma non è scevra dal manifestare anche un lato ombra. Una donna che rimane alla superficie, una rappresentante del gentil sesso che si accontenta di avere un ruolo ornamentale nella propria esistenza esprime il lato oscuro della dea dell’abbondanza. Quindi la Kempton induce a costruire un pensiero introspettivo: quanto in me c’è dell’aspetto meno fecondo della Dea Lakshmi? Come posso attingere alla sua luce considerandomi pienezza, felicità e fortuna?

Dall’altro lato, altra manifestazione dell’energia femminile, troviamo la vedova, Dhumavati. Vecchia, scarna, priva di ornamenti, seduta su un carro privo di traino in mezzo al deserto, innalza un vessillo su cui spicca un corvo.
La donna che non va da nessuna parte.

In una società come quella indiana nella quale la donna acquista valore nel matrimonio e nel fare figli, la vedova è la quintessenza della sfortuna e della miseria. Non ci meraviglia che le siano stati dedicati pochissimi templi, chi vuole tra i piedi una menagramo? Eppure la vita è anche questo: delusione, blocco, abbandono, malattia e, inevitabilmente, morte. C’è un tempo per il sorriso ma anche un tempo per il pianto. E, inesorabilmente, alla giovinezza, se si ha la fortuna di vivere, si sostituisce la vecchiaia, l’esaurirsi delle forze, il logoramento dell’energia vitale. Dunque parola d’ordine: tenersi ben lontani da Dhumavati. Non è così, anche questa Dea ci appartiene e se smettiamo di fissare con orrore il suo volto arrabbiato e rugoso e la guardiamo negli occhi amorevoli troviamo l’incommensurabile sollievo del saper “lasciare andare”. Che bello poter deporre ai suoi piedi il nostro dolore, la nostra infinita e rabbiosa delusione e imparare da lei che è meglio camminare leggeri e che anche lei possiede l’altro lato che, nel suo caso, è quello della comprensione e della consolazione.

Durga che cavalca il leone, Lakshmi che trabocca di denaro, Kali che distrugge il mondo, Parvati la Dea del matrimonio sacro, Saraswati la creativa, Sita la sposa perfetta, Dhumavati la megera, Radha la romantica, Chinnamasta colei che trascende da se stessa, Lalita l’eros personificato e infine Bhuvaneshwari, il Tutto.

A ciascuna di esse l’Autrice dedica pagine e pagine spiegandoci la loro origine, le loro intrinseche qualità e quello che possono rappresentare per ciascuno di noi, uomini e donne di questo millennio complicato e contraddittorio.

Molte di loro sono invocate con il semplice suono Ma, madre. La parola più bella che ci accompagna dalla nascita alla morte.

Alla fine, come in un gioco, ma non lo è stato, Sally Kempton si diverte a lasciarci un questionario perché a noi donne occidentali piace capire se siamo l’una o l’altra di queste Dee. L’ho fatto ma non vi dirò cosa ho scoperto.

Abituata alla sorprendente pratica della meditazione l’Autrice ci indica anche la via più semplice per entrare in contatto con ciascuna di esse. Il resto è affidato alla nostra buona volontà, quella stessa, suppongo, alla quale si è rivolto Gesù: possa impadronirsi delle nostre menti e indirizzare i nostri passi.

Laura Naselli

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