Insegnare non è un lavoro

Fabrizia ScorzoniArticoli, Recensioni2 Commenti

Insegnare non è un lavoro, o almeno non solo un lavoro. Ancora di più in questi tempi difficili, in cui la didattica si svolge spesso a distanza, la figura dell’insegnante assume un ruolo della massima importanza, non solo per la spiegazione dei contenuti della propria materia ma anche, e forse ancora di più, come educatore.

Essere consapevoli del proprio ruolo è fondamentale perché “in un momento di inconsapevolezza possiamo fare grandi danni con un gesto o una parola inappropriati e nel nostro lavoro non dobbiamo/possiamo permettercelo, perché il materiale umano su cui lavoriamo è assai delicato, anche se spesso lo dimentichiamo.”

Nel libro L’insegnante consapevole Marco Valli propone un percorso di “mindfulness per educatori”: secondo l’autore le tecniche di meditazione possono essere utili per “vivere in modo libero, rilassato, creativo e responsabile il proprio lavoro”.
La meditazione però, come dice anche proprio l’autore, non è l’unica via, ma solo una proposta. Ognuno può trovare lo strumento più adatto per abbandonare gli schemi e capire meglio se stesso: ogni pratica che permetta di “fare amicizia con se stessi” può andare bene, dall’arte all’alpinismo, o addirittura alla psicoterapia.
Il senso fondamentale è “riscoprire lo stupore e la gratitudine per la vita”, perché “per trasmetterlo dobbiamo, prima di tutto, averlo noi”, “se non sappiamo vivere qualcosa noi, non siamo in grado di trasmetterla”.
E così si pone il problema di capire i fondamenti delle relazioni personali, prima che educative, di accostarsi ai concetti di mortalità e impermanenza, di accettare le imperfezioni, senza la pretesa di poter gestire e sistemare tutto, di conoscere le proprie radici culturali, per poterne considerare l’influenza.

Avvicinarsi alla consapevolezza di sé permette di acquisire maggiore equilibrio e serenità, non solo come insegnanti ma in ogni momento della giornata.
“La presenza mentale è una questione di vita o di morte, o se vogliamo fa la differenza fra l’essere vivi e sopravvivere.”

Nonostante spesso si inizi con grande dedizione, col passare del tempo noia, insoddisfazione, imposizioni burocratiche, poca considerazione da parte delle autorità e delle famiglie per la funzione docente possono minare la passione che l’insegnamento richiede.
Marco Valli, nel suo libro L’insegnante consapevole, offre molti spunti di riflessione, utili per aiutare a ritrovare maggiore entusiasmo non solo per il proprio lavoro ma anche per la propria vita.

Due cose dobbiamo tenere a mente soprattutto.
Non è possibile insegnare qualcosa se non la si conosce e non la si apprezza.
Non è possibile essere di esempio se non si è in grado di apprezzare se stessi.

2 Commenti su “Insegnare non è un lavoro”

  1. Romina Tamerici

    Molto spesso ho incontrato in vita mia insegnanti che erano finiti a insegnare quasi per sbaglio, per caso, considerandolo un posto sicuro, senza troppe difficoltà. Insegnare invece per me è sempre stato una sorta di vocazione e gli insegnanti che diventano tali avvertendone quasi la necessità sono sempre stati quelli capaci di lasciare davvero un segno positivo del loro passaggio. Del resto “insegnare” significa proprio “lasciare un segno” e, nel bene e nel male, questa è una grande responsabilità per insegnanti ed educatori. Il tema del libro sembra molto interessante, soprattutto di questi tempi in cui gli insegnanti trovano sul loro cammino molti ostacoli.

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