Non credo di avere avuto il tempo di fare i bagagli.
Di decidere cosa avrei o non avrei dovuto portare. Mi ricordo solo che ad un certo punto, semplicemente, sono partita.
Ho negli occhi, l’immagine del mare, i piedi nella sabbia, la voce di un’amica nelle orecchie, le mie grida nella bocca e fuori, nell’acqua e nel vento. Quel giorno ho urlato tutto quello che avevo dentro ma non con un semplice (eppure non facile) ‘AAAAAAAAA’ ma attraverso delle frasi, lunghe, corte e di senso compiuto.
Ho urlato frasi terribili da sentire ma ancor più pericolose da assorbire. Le urlavo e la gola si liberava, le lacrime uscivano ma le parole indietro non tornavano, andavano nell’acqua, nella sabbia, nel vento. Mentre lasciavo libera me stessa di esprimere se stessa, le parti belle e quelle dolorose. Dolorose al punto tale da voler smettere di rispondere e svagare ma per, fortuna, c’era un’amica a insistere, a domandare. Così ho concesso la voce a molte verità che da tempo la volevano e non trovandola, a loro modo nel mio corpo, la chiedevano.
Il mare freddo, mi aiutava strappandomi dai piedi, fiumi di emozioni e di parole nascoste. Raccogliendo il dolore.
Poi, mi ricordo, quel ‘Sì’ alla vita, che ha fatto vibrare ogni cellula dai capelli, alle dita. Fra la terra e il cielo, di fronte all’acqua e immersa nel vento, mancava solo un elemento.
Credevo che il peggio fosse passato e invece, non mi ero ancora stretta la mano.
Mi mantenevo attenta e sveglia: < Tutto quel che accade è qui e ora, non dormire e sulle tue proiezioni, veglia. > Andava bene.
Poi, non so di preciso che è successo, che cosa è accaduto ma non credo di aver avuto il tempo di fare i bagagli. Di decidere cosa avrei o non avrei dovuto portare, so solo che di colpo, semplicemente, son partita.
Interiormente qualcosa si stava facendo sempre più pesante, e per quanto mi sforzassi di sentire che stavo bene, che in realtà ero felice e consapevole, quando lo dicevo sapevo, di mentire. Qualcosa si stava come impadronendo di me, un senso di inquietudine, di sofferenza, di inadeguatezza, di ingiustizia, di nostalgia e rabbia per tutto quello che secondo me doveva essere e che non è stato, per i riconoscimenti che mi sarei meritata e che invece non erano arrivati, per l’infinita attesa di qualcosa che scappava, per la pazienza che si esauriva e la speranza che tremava … c’era questa nube nera che stava espandendosi dentro di me, che potevo solo sentire, non capire e cercavo di tenerla a bada, di non guardarla.
Ho imparato che se qualcosa dentro di te deve uscire, le persone sono così inconsapevolmente gentili da incastrarsi e comportarsi in modo tale da dare forma alle tue ferite. Così lentamente ma ad un’intensità irriverente ho visto la mia realtà capovolgersi: gli amici diventare nemici, i posti dove rifugiarsi diventare prigioni, il sacro diventare profano, il passato tornare ad essere presente lo vedevo, lo toccavo … tutta la realtà, tutte le persone vicine e lontane, stavano interpretando il mio copione interiore. Ne ero cosciente ma non potevo farci niente. In quel momento (che è durato settimane, con tutto che avevo letto libri sul –non giudizio, alchimia, giochi di specchi e vecchie trame) io odiavo, io additavo, io vittimizzavo, io rinnegavo ogni cosa e il suo contrario. Non riuscivo a raggiungere la parte saggia di me, quella calma, quella che sentiva, quella che sapeva, perché l’altra era più grande, maestosa e potente – a suo modo sincera- e io pur conoscendola, mai l’avevo vissuta e vista sotto un aspetto così brutale e denso.
Mi sono scoperta terribilmente orgogliosa e quell’orgoglio voleva farmi avere ragione, voleva farmi sentire umiliata solo all’idea di accettare e di aprire il cuore a quello che stava accadendo.
E’ stato come dare una piccola spinta al primo pezzo del domino e vedere cadere tutti gli altri, senza riuscire a fermarli. E in quella caduta era come se ogni pezzo fosse un dolore che si agganciava e richiamava un altro dolore che ne chiamava un altro, un altro, un altro e un altro ancora e nel loro chiamarsi cadeva anche tutto ciò che c’era intorno: l’amicizia, l’amore verso me stessa, la fede verso quello che più sento autentico, la ricerca della Divinità, del Dio e della Dea, la voglia di mettere in pratica quello che leggo, sento e studio, una promessa fatta a me stessa … tutto, tutto era raso al suolo. Mi sembrava di non credere più in niente, che non valesse più la pena fare niente perché “Tanto, finisce sempre male. Sei sempre quella che non viene scelta. Devi farti rispettare. Non ne sei in grado. Non ce la fai. In realtà non sai amare. Guarda quanto orgoglio, quanta gelosia.. dov’è l’amore, dov’è l’accoglienza, dov’è la poesia?”
Questo era un po’ quello che mi girava in testa e anche se sentivo viva e presente una parte di me che invece incarnava il contrario, e ogni tanto riusciva a farmi vedere e percepire qualcosa di diverso, non riusciva a muoversi, non riusciva a prendere il comando del mio corpo, della mia voce, dei miei occhi che non ho mai sentito così ostili e pieni di distanza e di cattiveria (tranne forse una volta). Sapevo dove andare a mettere radici per sentirmi più o meno forte anche se questo significava distruggere tutto, allontanarmi da tutti e dimostrare che avevo ragione, che mi era stato fatto un torto o forse due o anche tre, quindi ero disposta a rimanere nel mio, a non fare un passo verso l’altro e anche se lo facevo, l’atteggiamento interiore, l’energia, gli occhi emanavo distacco, superbia e chiusura, erano gli unici ‘pezzi di vestiti’ che mi erano rimasti per coprirmi, altrimenti mi sarei sentita nuda e debole. E’ meglio farsi vedere ‘cattiva’ piuttosto che nuda, piuttosto che mostrare la debolezza, l’umiliazione, l’emarginazione, questo mi diceva l’orgoglio.
E’ stato come fare un viaggio, scendere all’inferno, liberamente tratto e ispirato da me, dalla mia storia personale, regista, attore, vittima, carnefice, storia, protagonista e antagonista ero io, sempre io. E infinita sembrava la resistenza ad accettare questo.
Ringrazio con tutto il cuore quella parte di me che, se pure immobilizzata, appena poteva, mi mandava immagini e sensazioni più ampie, grandi, di unione vera, oltre i ruoli, oltre le persone, oltre la ragione, ringrazio gli ‘attori’ per essere diventati tali in quel momento particolare della mia esistenza, perché hanno dato corpo e sostanza alle mie ‘ingiustizie’ interiori vissute in questa e in chissà quali altre esperienze e che non mi hanno dato aiuto finché non l’ho chiesto. Ringrazio chi adesso incarna il mio maestro, perché attraverso di lui ho visto da un altro punto di vista, ho vissuto le parole che mesi prima avevo scritto. Ma scrivere non basta, va tutto vissuto. E nel vivere le mie stesse parole io, proprio io, le ho scordate, non le ho riconosciute, le ho dimenticate. Grazie a quell’uomo che non sapendo, me le ha ricordate, dicendo: “ E’ vero, sei nuda, e tutta la tua debolezza è uscita fuori, ti hanno vista ma soprattutto ti sei vista interamente, per quella che sei. Allora perché, perché non riesci a vedere la bellezza, il dono che ti è stato fatto?? Guardala in questo modo: sei nuda, hai perso tutto, non hai più niente da nascondere, puoi dire tutto e fare tutto, ormai … sei stata vista! L’umiliazione la senti perché non accetti di essere nuda e stai cercando di coprirti con gli ultimi stracci rimasti che ormai non ti servono più … accetta questo. Guardalo in questo modo. Spostati –di qua-. Quando quella parte orgogliosa, come la chiami tu, prende il sopravvento, e si fa sentire, pensa, ricordati tutte le cose che ti ha fatto perdere (perché magari così forte non l’hai mai vista, ma la conosci) adesso che lo sai puoi decidere dove andare.”
In un’occasione in particolare, l’amore che provavo, non è bastato a tenere a bada e a educare quella parte, che invece ha dato libero sfogo ad ogni suo modo di combattere la paura. Così ho perso, così ho cominciato a stuzzicare il primo o ultimo pezzo del domino, fino a quando non sono drasticamente caduti, tutti quanti. Da questa prospettiva l’avevo forse vista questa storia, ma mai vissuta e allora le parole di questa parte ‘orgogliosa’ hanno cominciato a bruciare di meno, ho trovato pian piano il coraggio di fare l’opposto di quello che mi induceva a fare per istinto di sopravvivenza, giuro, farò di tutto per non perdere più niente e nessuno in questo modo.
Ecco, non so voi, ma io quando ho cominciato ad interessarmi al ‘lavoro su di sé’ sono –inciampata- in diversi libri, a partire da quelli di Brizzi, fino a ‘La Pietra degli Alchimisti’ o a il film ‘La forza del campione’ e ho quasi sempre invidiato i protagonisti perché venivano messi alla prova e perché avevano qualcuno che intenzionalmente li metteva alla prova e che poteva allo stesso tempo mostrargli un punto di vista differente. Ci ho messo settimane per sentire davvero fino in fondo che quella stessa ‘prova’ stava accadendo anche a me e quasi ho rischiato di sprecarla, di lasciarla passare così senza che il mio fuoco interiore potesse alimentarsi, bruciare e trasmutare il ‘materiale’ che volente o nolente gli avevo messo a disposizione.
E’ stato un viaggio terrificante, vedere la mia realtà scomporsi, trasformarsi in qualcosa di ostile, di buio, di terribile essere completamente immersa in quel processo che da dentro si porta fuori, stavo come impazzendo, perché sapevo ma ero inerme non trovavo la forza di scegliere di cambiare ‘proiettore’ volevo guardare altro ma quel –altro- erano solo deboli fotogrammi che non avevano la forza di materializzarsi fuori e quindi dentro poi si perdevano. Mi sono sentita una povera ‘sfigata’ quelle settimane, oggi invece sento che essere stata così in balia di me stessa, delle mie ferite, proiezioni, convinzioni, strade già tracciate, ricordi imbalsamati è stato un regalo, un dono ed io sono una privilegiata per questo, con tutto che ho rischiato di sprecarlo, di buttarlo senza nemmeno aprirlo e sono una privilegiata perché ho accanto a me chi è disposto a vedermi consumare da sola piuttosto che combattere al posto mio. E a questo punto, a questo privilegio ci sono arrivata io:)
Così ho potuto andare un po’ più a fondo sulla questione “ Il tuo più grande nemico, sei tu” e farne una prima e non troppo piacevole esperienza/conoscenza, come ho anche potuto incontrare questo fuoco interiore che trasmuta le emozioni basse. Come ho detto all’inizio è stato un viaggio, improvviso e inaspettato, in luoghi di me stessa che mai avrei immaginato. La completa accettazione di sé passa anche per queste tappe, sono necessarie, vitali … sappiate che se ad un certo punto quel tipo di viaggio vi chiama durante il cammino, è perché è tempo di andare, non siate severi con voi stessi e vivetevi tutto, esprimete tutto, proiettate tutto, ma mantenete vigile e attenta una parte di voi durante l’intero, emozionale e preistorico processo, non lo diluite nemmeno un po’, state, ma fate in modo che la vostra presenza interiore sia sempre e sempre più presente e alla fine fate uno sforzo, quando sentite che si sta avvicinando una linea di confine che non è avanti ma dietro di voi, fate di tutto per non superarla, non tornate indietro, spostatevi dall’altra parte, abbiate il coraggio di trasformare la debolezza in vulnerabilità e riconoscerne la potenza, fate uno scatto, trasmutate e varcate una linea che forse non si vede ma che è davanti e non dietro, di voi.
Non abbiate paura: se quel viaggio vi ha chiamato è perché avete accanto qualcuno che può darvi una mano, ma attenzione, potrebbe essere proprio la persona che più stuzzica e stimola la vostra ferita, quella che vi ha deluso, quella da cui vi sentite incompresi e traditi, quella che per voi è la causa del vostro tumulto interiore, quella che vorreste vi chieda ‘Scusa’ e alla quale vorrete dimostrare di avere ragione. E , per esperienza personale, posso dire che ne avrete di tesi a vostro favore, perché quel dolore sarà reale ma è da lì che potrete rinunciare alla vostra presa di posizione, far cadere la proiezione, andare oltre e cominciare ad aprire il cuore. E’ come sempre, una libera scelta.
Quando il gioco comincia non sai mai, a chi farai indossare la maschera dell’antagonista …
N.B. Essere sinceri con noi stessi e agire di conseguenza, questo ci salverà. Ci saranno momenti in cui far valere le nostre ragioni, momenti in cui ci verrà chiesto ‘scusa’ che niente avranno a che vedere con le nostre proiezioni e moti interni. Li riconosceremo. Ma quando ci capiterà di sentire un fastidio interiore in grado di condizionarci e di distorcere ogni visione, un movimento che ci farà perdere il controllo allora sarà fondamentale ammettere che tutto ciò che accade fuori lo stiamo guardando e interpretando attraverso quel ‘fastidio’ interiore, e prendercene la responsabilità costerà forse molta fatica ma ci terrà abbastanza svegli da sapere che qualcuno ha fischiato l’inizio del gioco e ci darà, ad un certo punto, abbastanza coraggio per scegliere che sarà un grande atto di umiltà e non di forza, a farci vincere la partita.
Grazie