(Immagine dal Web: benjamintseng.com)
Lunedì mattina, ore 8 circa. Un caffè nel baretto dell’ospedale, prima di prendere servizio presso l’ambulatorio dove lavoro. Un gesto quotidiano, quello di andare lì, una di quelle cose che ormai
sono diventate familiari. Come loro, Marina e Andrea. Spesso con loro ci scambiamo degli sguardi di intesa ed io comprendo quando quegli occhi dicono: “Mamma mia!” o “Quanta pazienza!” o,
ancora “Ma come fai tu a sentirli sempre?”. Io spesso sorrido, scherziamo e ci incoraggiamo a vicenda riconoscendo anche in noi poi, spesso, stranezze e peculiarità che ci caratterizzano, ma che
sentiamo nostre e ne siamo consapevoli.
Ecco, è proprio su questa considerazione, sul pensare alla consapevolezza della propria “stranezza”, del proprio essere, a volte, incomprensibili anche a se stessi (figuriamoci agli altri!), che di getto ad un tratto me ne esco con: “Ma sì, io la chiamo la sindrome del criceto. Stai lì dentro alla ruota, corri, corri, corri, perché la ruota si muove e perché fermo non sai stare, o perché ti hanno detto di
fare così, o ancora perché non sapresti fare altro che quello: correre senza pensare che stai facendo “solo” quello!”.
Spesso mi sono trovata a fare questa considerazione durante l’analisi delle sedute con le persone che hanno scelto di lavorare con me. Ho molte volte avuto la visione di loro “intrappolate” in una
sorta di ruota da criceto, dove compiono sempre gli stessi gesti, producono la stessa energia, fanno gli stessi pensieri, ripetono incessantemente sempre lo stesso schema. Con tale “sindrome”, dunque, non mi riferisco puramente alla necessità compulsiva di compiere azioni nel tempo più breve possibile, o di accumulare (come viene descritta in alcuni siti internet), ma piuttosto alla macchinosità di quei gesti, al fatto che le persone si siano poste nella ruota o lì siano state messe da qualcun altro, e che senza rendersene conto continuino a perpetrare lo stesso comportamento senza metterlo in discussione. Senza consapevolezza, appunto.
E purtroppo questo atteggiamento è foriero di conseguenze che possono essere anche molto importanti, perché il sistema, si sa, ad un certo punto si esaurisce: per poter continuare ad andare in
quella stessa modalità occorre approvvigionarsi alle giuste fonti di energia, pena la rovinosa caduta dalla ruota! Il criceto è conosciuto per essere un gran mangiatore e per aver paura di non avere accesso al cibo quando vuole e quindi si riempie le sue guanciotte di semini vari, procurandosi una scorta che lo faccia stare tranquillo. Poi però ha bisogno della ruota per consumare l’eccesso di energia, altrimenti (così ho letto in alcuni siti internet) “impazzisce” e prende troppo peso!
Il criceto ha dunque (assolutamente) bisogno di una ruota su cui correre per bruciare le calorie in eccesso. E’ stato programmato così. Da milioni di anni nel suo codice genetico, è contenuta questa
informazione: “Fai scorta di cibo, perché non si sa mai, potresti non trovarne quando ne hai bisogno”. Poi però in realtà di cibo ne ha molto a disposizione e quindi si ritrova a farne scorta anche quando non ne avrebbe bisogno. Si verifica quindi una sovrabbondanza di riserva che il povero criceto non sa come smaltire, dal momento che si trova in una gabbia e non in uno spazio libero dove potrebbe utilizzare il suo piccolo corpo per procacciarsi cibarie. E quindi cosa si fa? Il padrone, molto amorevolmente, provvede a dare un attrezzo ginnico al tenero roditore (la ruota,
appunto) che può così utilizzare l’eccesso di calorie e sentirsi finalmente bene!
Mi chiedo se vi sia amore o sadismo in una tale azione. Ma probabilmente la questione non è più nemmeno in questi termini. Ciò a cui sono interessata è allo “smascheramento” delle dinamiche ormai ritenute scontate, a quelle frasi dette e che portano le persone a rassegnarsi, ad accettare passivamente che qualcuno metta lì, amorevolmente, una ruota, un passatempo, una distrazione, perché è nel suo interesse che si “consumi”, in modo da riempire le guance (o meglio le tasche) di chi non si domanda se ciò che produce fa bene o male, se ciò che offre è utile alla crescita della coscienza umana, se favorisce l’evoluzione di una persona, bensì è teso solo a comprendere se può aumentare le dimensioni del suo portafoglio o l’“aura” smisurata del suo ego.
Purtroppo molto spesso mi sono ritrovata anche ad osservare persone che tutte trafelate, mentre accennavo un semplice saluto, mi dicevano affannate: “Oh, scusa, non posso, scusa, scusa, devo
andare a yoga!”. Ecco, immaginate lo sguardo di chi osserva qualcuno che ti sta salutando camminando con la schiena rivolta alla strada e che non si accorge che sta andando verso un precipizio….
Ecco, sì è proprio quello il mio sguardo…
A voi gli aggettivi…
Queste sono solo riflessioni che vorrei concludere con la simpatica osservazione di Andrea alla mia descrizione della sindrome del criceto. “Ma almeno producessero energia!!”