“I am vertical (Io sono verticale)
Io sono verticale
ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno…
…stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo e io siamo in aperto colloquio
e sarò utile il giorno che resterò sdraiata per sempre: finalmente gli alberi mi toccheranno,
i fiori avranno tempo per me.”
Silvia Plath
Probabilmente l’ominide “Australopithecus africanus”, nostro antico discendente, è stato il primo a soffrire di “verticalità”. Da allora, fino ai nostri giorni, viviamo una sorta di precariato locomotorio dovuto alla nostra postura attuale, frutto a sua volta, di un’evoluzione lunga e sofferta. L’uomo, nella sua integrità biopsichica, sperimenta durante la ontogenesi, tutto quello che la sua specie ha vissuto fino ad oggi (filogenesi).
Nel primo anno di vita infatti, vengono riassunti tutti i caratteri e le tappe fondamentali della storia evolutiva dell’umanità. E’ una sorta di ripasso che il neonato è chiamato a compiere, partendo da una condizione antropomorfica arcaica che lo vede lottare, giorno dopo giorno, con le forze endogene ed esogene che lo circondano. C’è una meta da raggiungere in quel periodo estremamente faticoso: LA CONDIZIONE VERTICALE.
Questa rappresenta la prima base importante da conquistare (dopo il periodo orizzontale a esplorazione quadrupedica). E’ una tappa determinante che predisporrà in seguito, alla locomozione, alla socializzazione e ad una nuova concezione del mondo.
LE IMPRESE TITANICHE DI UN CUCCIOLO D’UOMO
Nell’ambiente protetto del grembo materno, lo spazio si restringe giornalmente e, il “galleggiamento” iniziale, scompare dando luogo ad un contatto più intimo con la parete materna che si assottiglia sensibilmente negli ultimi giorni della gestazione.
La luce, i suoni, il contatto, le sensazioni termiche e le vibrazioni cinetiche, sono sempre più vicine. Quando arriva il grande momento della nascita, il cucciolo d’uomo si trova improvvisamente catapultato in un ambiente “aereo” e rumoroso. Viene manipolato in ogni direzione, lavato… accudito, senza capire la natura di tutti quegli stimoli. Pensate soltanto alle lampade artificiali e ai suoni, senza il filtro della cara “pelle” della mamma.
Il corpo del piccolo, sperimenta per la prima volta “l’angoscia dell’abbandono”. Saranno gli abbracci, le carezze, e l’ambiente confortevole a iscrivere sulle sue memorie dermiche valori come la fiducia e la sicurezza, sia nella loro coniugazione positiva che negativa.
Ora, il primo livello di comunicazione, si viene a codificare sul tono muscolare. Si parla infatti di “dialogo tonico”. Questo iniziale linguaggio “non verbale” del bambino, precede quello verbale e quello visivo che arriverà subito dopo. Esso si sviluppa tutto sul gioco delle “tensioni-distensioni” attraverso sfumature e graduazioni che comunicheranno al mondo (soprattutto alla madre) i suoi stati d’animo in relazione a quelli fisici. Il pianto, il riso, ed altre produzioni vocali, andranno a rinforzare questo codice sofisticato. In questo periodo il bambino è un piccolo interruttore”on-off”, egli esprime con il tono muscolare il disagio e il benessere, rispettivamente con la rigidità e con il rilassamento.
Una volta liberato dalle “contenzioni” degli abbracci e delle barriere strutturali, il piccolo uomo inizia la sua avventura esplorativa. Sarà serpente, poi gatto, poi anatroccolo, elefante, giraffa… e poi umano. Il primo mondo da conquistare e’ quello ORIZZONTALE.
In questo strano posto pieno di oggetti misteriosi, bisogna lottare per raggiungere i punti di attrazione: con tutte le forze. E strisciando, rotolando, zigzagando… e altre ingegnose strategie propulsive, finalmente un grande risultato: la traslazione. I primi tentativi sono frustranti perché l’oggetto desiderato, invece di avvicinarsi, si allontana. Questo è un fenomeno particolare che ho avuto modo di osservare personalmente, in molti bambini. Io l’ho definito “effetto gambero”. Sembrerebbe che i muscoli propulsivi facciano diversi tentativi di orientamento e, all’inizio la direzione di spinta si sviluppa… in retromarcia.
Le teorie dell’apprendimento per prove ed errori, confermano l’irremovibile volontà di sperimentazione del bambino che, alla fine, lo ripaga di tutto. Strisciare è divertente, ma qualcosa di più interessante nel “secondo piano” lo attrae, e allora tutto il suo corpicino si ingegna: il bacino si solleva e gli arti superiori imparano ad utilizzare le estremità per il carico. La macchina avanza, vacilla, retrocede… in qualche mese sarà in grado di traslare carponi ed afferrare di tanto in tanto un piccolo oggetto senza cadere. Ogni avvenimento sotto ai 50 cm. è di sua giurisdizione.
L’insaziabile sete di curiosità, fa intuire al piccolo che le gambe che lui scorge degli adulti… non finiscono lì. Se alza lo sguardo si accorge che le cose più interessanti avvengono al piano di sopra: Gli abbracci, i baci… il cibo sopra il tavolo, oggetti colorati da afferrare, le finestre, le maniglie delle porte ed altro. intorno ai sette mesi, il bambino realizza che dopo aver conquistato il livello orizzontale deve raggiungere assolutamente il successivo: quello VERTICALE.
Da qui in avanti farà di tutto per raggiungere “gli altipiani”. Sono troppe le cose “in piedi” intorno a lui: gli alberi, i fiori, le case, le montagne, gli armadi, i pali della luce… e i grandi. Ci sono abbastanza elementi per indurre il piccolo esploratore a ricominciare tutto daccapo. Si riparte allora con sforzi titanici, cadute, sconforti e frustrazioni, il tutto sotto lo sguardo divertito dei grandi e i loro schiamazzi di incitamento.
Finalmente arriva il grande giorno: instabile, ma deciso, il bambino si ritrova in posizione ortograda, vale a dire che è finalmente approdato alla dimensione VERTICALE!
L’UOMO MODERNO E LA “SINDROME” VERTICALE.
La tanto sospirata stazione eretta, sembrerebbe una scelta evolutiva affidata al caso per alcuni studiosi e, una scelta precisa mirata all’innalzamento della qualità della vita, per altri. A sostenere la teoria causale è Charles Darwin che, nel 1871 nel suo libro “The descent of mans”, dichiara che l’uomo, come tutti gli altri esseri viventi, è soggetto alle stesse leggi che governano i fenomeni della natura. Egli fa riferimento alla sua teoria, secondo la quale l’evoluzione si realizza attraverso piccole variazioni casuali della struttura del DNA (le mutazioni). In base a questa affermazione, e’ logico pensare che l’evoluzione non ha né scopo né direzione, essa è di fatto un fenomeno puramente casuale.
Stiamo”in piedi” per caso… sembrerebbe.
Poi questa cosa, evidentemente, ci ha gratificato al punto di consolidarne l’abitudine. La genetica lo ha poi trascritto. La “bipedia” è una sfida azzardata alle leggi gravitazionali e fisiche in genere. Essa si è rivelata altamente svantaggiosa dal punto di vista ergonomico e funzionale per l’uomo: il baricentro si sposta notevolmente più in alto; il carico va a gravare tutto sulle articolazioni sottostanti, in senso cranio-caudale, creando stress e lesioni anatomo-strutturali, il corpo organizzato su un asse rettilineo e’ instabile e a rischio continuo, per via delle numerose criticità che questa condizione innesca: fratture, distorsioni, sciatiche, ernie, vasculopatie etc…
Circa il 70% degli individui adulti, sembrerebbe essere colpito da “mal di schiena” e da patologie a carico delle altre articolazioni coinvolte nella stazione eretta: gonartrosi, coxartrosi , fasciti plantari ed altro.
Eppure abbiamo visto quante energie l’uomo impiega nel suo primo anno di vita, per raggiungere questa meta.
L’anatomista americano O.Lovejoi , ha rilevato l’indiscutibile beneficio conseguito dall’uomo”verticale”. Questo consiste, principalmente, nello svincolo degli arti superiori dal gravoso compito della deambulazione. Le estremità liberate, hanno potuto dedicarsi a tutte quelle attività umane che noi conosciamo come caratteristiche peculiari della nostra specie.
Essere “verticali” ha significato molto per noi: tutto il nostro fare, e tutta la nostra sfera affettivo-relazionale, si iscrivono su questo canovaccio spazio strutturale. Non è la stessa cosa interagire da una posizione quadrupedica o da quella frontale. Cambiando la parte del corpo che noi mostriamo agli altri (fianco, fronte, emicorpo, etc) si modificano le condizioni relazionali.
Anche l’orizzonte muta di fronte ai nostri occhi e questo, è di fondamentale importanza per la percezione dell’ambiente circostante.
Molte sono state le modifiche strutturali che il nostro corpo ha dovuto subire in questo nostro percorso evolutivo. La nostra colonna vertebrale ha dovuto provvedere alla realizzazione di due nuove curve lordotiche di compenso al dorso convesso: quella cervicale e quella lombare. Inoltre essa ha modificato la morfologia dei suoi elementi vertebrali in funzione del carico. Infatti, le vertebre sono più solide e consistenti in senso cranio caudale.
Il nostro bacino ha subito un movimento di traslazione sul piano antero posteriore ed ha sviluppato nuove protuberanze, per dare impianto a specifici muscoli di stabilizzazione antigravitaria. Il nostro piede, ora grande protagonista, si è completamente rinnovato. Ora il suo appoggio non è più distribuito uniformemente su tutta la pianta, ma soltanto su tre punti: il calcagno e le epifisi distali del primo e del quinto metatarso. Nasce così “l’arco plantare”, opera di grande bioingegneria genetica, deputato all’ammortizzamento dell’impatto con il suolo.
Quanta strada, quanta energia impiegata per eguagliare la postura di un albero, o di un fiore…
C’è solo una cosa che, a differenza degli alberi e dei fiori, l’uomo non riesce a ricordare: l’impianto delle proprie radici nella madre terra. Questo lo predispone ad un allontanamento dal suo humus d’origine, dal suo nutrimento più intimo e vitale. Se vivremo ancora su questo pianeta, per il futuro, l’escalation evolutiva ci proporrà altre sfide difficili. E’ nostra natura accettarle, una dopo l’altra, pagandone le conseguenze, ma sceglierà “Noi” il caso? Ne saremo degni?
Gabriella Zagaglia
4 Commenti su “La “Sindrome” Verticale”
La signora Gabriella Zagaglia ha delineato perfettamente le varie tappe evolutive del bambino.
Il primo mondo da conquistare e’ quello orizzontale; attraverso lo strisciare, il rotolare, ed altre strategie piano piano acquista coscienza di se.
Deve molto lottare, sa che potra’raggiungere ottimi risultati; la sua sete di esplorare lo spinge verso mondi nuovi.
Il bimbo deve tuttavia raggiungere la sua dimensione verticale, che secondo alcuni studiosi tra questi(Darwin),e’ affidata al caso e quindi l’evoluzione non ha ne’scopo ne’direzione.
grazie
Grazie Maria Grazia per aver condiviso e commentato il mio articolo
Gabriella Zagaglia
Bell’articolo, complimenti!
Mi ricorda un corso meraviglioso che seguii con estrema passione al dipartimento di Storia della Scienza. Il suo titolo era: “Corpo, Casa, Cosmo: Questioni di Confine”. Tenuto dal prof. Giorgio Stabile. Anche lui discuteva la verticalità e l’evoluzione umana. Bei ricordi.
Io personalmente trovo affascinanti anche le dimostrazioni opposte alla casualità.
Le consiglio un paio di libri, se non ha già avuto modo di leggerli.
Penso sia importante approfondire le dualità, in un mondo duale, per cogliere la loro capacità di descrivere semplicemente le due facce di una stessa medaglia.
Uno di inizio novecento e l’altro di inizio duemila.
Cento anni di distanza, differenti momenti storici, un visione simile: la non-casualità.
**Vladimir Ivanovič Vernadskij – La biosfera e la noosfera
**Robert Lanza & Bob Berman – Biocentrism: How Life and Consciousness Are the Keys to Understanding the True Nature of the Universe (si trova anche tradotto da ‘il Saggiatore’)
Grazie di nuovo per il bel articolo e le memorie rinnovate.
JM
Grazie a te per il commento. Io non credo infatti che una sola teoria possa “sfamare” la nostra curiosità, ne tanto meno, il nostro senso di “verità”. Ti ringrazio per la segnalazione antitetica della “non casualità”, sicuramente è degna di approfondimento. Personalmente, come insegnante di “movimento terapia” e psicomotricista, ho avuto modo di sperimentare direttamente le fasi dello sviluppo psicomotorio, dalla nascita in poi. E’ inoltre interessante studiare l’anatomia del nostro corpo che, in qualche modo ci racconta la nostra storia. Quello che mi ha colpito e mi ha indotto a parlarne, è il profondo sforzo che l’uomo compie ogni giorno per vincere le forze di gravità. Si parla infatti del “mal di schiena”, come una patologia tipica dell’uomo sapiens, quando la nostra postura era “carponi” ( e questo è stato ampiamente dimostrato), sicuramente questo problema non esisteva. Quello poi che noi crediamo , o siamo orientati a credere, è comunque il frutto della nostra cultura e consapevolezza. L’importante è non rimanere mai in una posizione fissa a riguardo, ma prestarsi sempre allo scambio dialettico che è crescita personale per tutti. Per questo ti ringrazio molto.
Gabriella Zagaglia