-Portami dove vuoi. Dove solo il Fiume sa.
Sono disposta a lasciarmi attraversare dal vento e il mio respiro, lo so, non sarà più lo stesso. –
Se il vento quando soffia non sfiorasse solo le foglie dell’albero, ma ne accarezzasse i rami, raccontasse loro storie di mondi lontani, abbracciasse i tronchi così forte da far vibrare le radici dentro la terra … e se l’albero quando si lascia incontrare dal vento non si lasciasse solo toccare, ma attraversare, se si lasciasse penetrare al punto da donargli il profumo dei suoi fiori, insieme ai colori, alla fertilità del proprio polline, al balsamo della sua resina.
Se insieme l’albero e il vento facessero l’amore e la musica più bella.
Se l’occhio umano potesse riuscire a vederli in questo modo, come fossero l’unica onda di un solo mare. Complici e innamorati. Probabilmente dimenticherebbe tutte le cose imparate, si lascerebbe andare e ispirare dalla pace.
Una pace che forse, anche per il mondo animale e naturale può a volte diventare tempesta perché parte di una corrente universale, viva e intelligente, inclemente poiché fedele al battito della sua stessa Natura che danza ritmi e canta cicli di nascita ma anche di morte e ancora di vita. E spietatamente se ne prende cura.
Ma se l’albero all’inizio, questo, non lo sapesse, potrebbe non saper perdere le foglie, gli farebbe paura e le terrebbe strette pure se queste sono morte e allora il vento, soffierebbe forte. La sua aria diventerebbe fredda, la lingua tagliente, le urla feroci e le ferite dell’albero, roventi. Ed egli si sorprenderebbe, si offenderebbe, soffrirebbe, si difenderebbe. Non capirebbe perché quello che prima era stato morbido e bello, all’improvviso, si sia fatto duro e gelido come il ferro.
-Perché lo stai facendo? Non lo vedi che già sto male? Non capisco cosa mi stia succedendo, le mie foglie verdi e carnose ora sono secche e marroni e tu invece di abbracciarmi forte infierisci su di me? Tu proprio tu … Non lo vedi che così mi fai male?-
Ma il vento soffia e tace.
L’albero continuerebbe a chiedere aiuto, invocherebbe pietà, appellandosi all’amore così come lo conosce, così come se lo aspetta. Ma sarebbe inutile perché il vento non si arresta e anzi aumenta all’aumentar della sua disperata richiesta.
L’albero sarebbe solo.
E magari si sentirebbe perso, incompreso, tradito, abbandonato, umiliato e dentro di sé si ripeterebbe come potrebbe mai fidarsi ancora del vento?
E con tutte le sue forze, stringerebbe a sé le sue foglie morte.
Sembrerebbe una crudeltà.
Ma … e se in quella tempesta, ogni albero si ritrovasse per giocare la sua personale partita? Se in quella tempesta, ogni albero prendesse la scelta della sua vita?
Noi ogni anno li guardiamo fiorire e poi perdere le foglie, non ci allarmiamo nel vederli spogli perché siamo certi di ritrovarli poi di nuovo verdi, con fiori e frutti sparsi sui rami, dando per scontato che sia facile, che sia normale, una cosa da niente, noi, a veder tornare la primavera siamo abituati.
Ma in fondo che ne sappiamo?
Se per l’albero ogni stagione fosse una scelta, fosse una sfida da vincere con se stesso? Se avesse paura, e non sapendo cosa lo aspetti si rifiutasse di perdere le sue preziose foglie e soffrisse sentendosi solo e attaccato dalla vita, dal vento nella cui presenza prima si rifugiava e che ora sembra voglia strappargliele dalle ‘dita’?
Se ad occhi chiusi, nel silenzio, anche un albero vivesse il suo momento più fragile, e si incagliasse -nel suo sentirsi più esposto- alla convinzione di aver frainteso tutto e dall’amore non essere mai stato corrisposto?
Senza che nessuno gli spieghi niente.
Immaginiamocelo, lì fermo in mezzo al bosco, circondato da altri alberi, abbracciato dal cielo, cullato dalla terra eppure lui è distante, lui è separato da tutto. Convinto che a circondarlo non ci sia niente, solo una solitudine fredda, immobile e senza scopo, senza senso. Tutto va avanti, tutto si muove ma lui è inerme, teso, bloccato, deciso ad andare nel verso contrario.
Se non fosse scontato niente e anche l’albero si interrogasse e potesse, senza un ragionamento, sprofondare dentro se stesso e lì incontrare la corrente che scorrendo gli direbbe
‘Le foglie, devi lasciarle andare’
E se anche lì, la risposta alle sue domande non gli piacesse e si impuntasse, forte delle ragioni date dalla sua situazione, dal suo sentirsi vittima di tutta quanta la questione, pronto a litigare con il vento, a voltare le spalle alla vita perché di punto in bianco ha deciso di punirlo, di togliergli quello che è suo e di mostrargli che non ci si può fidare di nessuno, se fosse disposto a credere in tutto questo piuttosto che a mettere in discussione se stesso? Cosa accadrebbe?
Accadrebbe che nessuno direbbe niente di diverso, neanche la corrente.
Perché l’albero è chiamato a farcela da solo, a trovare dentro di sé la fiamma della fede nell’oscurità più oscura, l’albero è chiamato a discendere nel luogo più pauroso, più ostile di tutti e mentre sprofonda, accumulare odio, disillusione, rabbia, dolore, negazione, non accettazione, rifiuto, abbandono, senso di ingiustizia, orgoglio, bisogno, ragione, convinzione; solitudine, umiliazione, separazione fino a sentirsi soffocare da tutte le sue ragioni e giustificazioni che non lo fanno più muovere e lo spingono in un angolo freddo, stretto e al buio.
Lì la sola cosa reale è il fatto che – le foglie, deve lasciarle andare- e che questo per lui non è giusto, non lo capisce e che tutto il mondo che prima lo amava adesso di lui se ne frega e lo lascia solo, che il suo nemico, è il vento.
Qui, in questa realtà, può avvenire il miracolo. Perché se l’albero riuscisse ad andare oltre tutte le sue paure e pensieri e lì chiamasse a sé l’amore provato negli incontri con il vento, nel respiro del sole, nella culla della terra, nel dono della pioggia, nella luce delle stelle, nello sguardo della luna, nei canti degli animali, nelle danze con le chiome dei suoi fratelli e sorelle, nei fiori sbocciati … se lì ritrovasse quell’amore onnipresente e sincero, e di lui ancora si fidasse, si sentirebbe amato e mai ingannato, in viaggio verso qualcosa di grande e di illimitato. Troverebbe un tesoro di inestimabile valore: l’essenziale che non ha ragioni, che non ha passioni né dolori, ma solo Amore, essenziale, grezzo, originale e lo troverebbe dentro di sé, da nessun’altra parte, per mezzo di nessun fattore esterno, ma per scelta volontaria, sincera, spontanea; ma senza prima, aver conosciuto la parte più buia di sé, senza prima averla sentita fino alle ossa con il rischio di identificarsi completamente in essa, sì, ma avendo sempre presente la possibilità di non sceglierla, di zittire la sua voce e buttare giù i suoi muri e lì, fare la differenza e lì accordarsi alla corrente, creare lo spazio in cui l’universo riversa l’immenso. Allora diventerebbe egli stesso la prova vivente di questo Amore Eterno.
Quello è un momento cruciale, in cui la parte buia per l’albero è l’unica cosa reale, l’unica che può vedere e toccare con mano senza alcun tipo di sforzo e che per questo, è più invitante scegliere, poiché l’altra scelta, -la luce- sta nell’amore che si è provato e che in quel momento viene messo in discussione, nell’amore che ora chiede di fare la cosa che più non si vorrebbe fare, nell’amore che ora chiede di lasciare andare la cosa a cui non si vorrebbe mai rinunciare, nell’amore che non dà la certezza di niente, che leva tutto e non promette niente, a parte il proprio e il suo ESSERE. Nell’amore che un giorno chiederà la vita.
Scegliere quell’amore lì in queste condizioni sprigiona una potenza che non ha eguali e apre le porte alla visione del cuore. Lì ci si incontra e si fa pace con Dio. Lì si ama per amore e si sta nell’infinito.
Immaginiamo che l’albero viva davvero tutto questo, immaginiamo di sentire il suo sforzo, il suo dolore, la sua lotta interiore, mentre noi già sappiamo che tutto quello che deve fare è lasciare andare le foglie perché sappiamo che dopo qualche mese torneranno, come tornerà la primavera e l’estate e che anzi nel momento in cui le lascerà cadere, un’energia meravigliosa già si starà rimettendo in circolo per farne crescere di nuove.
Ma l’albero non lo sa. Lui sta vivendo quel momento terribile e presente come l’unico possibile, per lui è tutto finito, è tutto nero. Immaginiamo di sapere tutto questo, di guardarlo con amore ma senza potergli dire niente. Di lasciarlo libero al punto di non salvarlo dalla possibilità di trasformare in verità le sue paure, le sue insicurezze, il suo odio, di amarlo ma senza dargli l’aiuto che si aspetta, senza raccontargli la certezza della primavera perché sarà sempre un suo diritto condannarsi all’eterno inverno, perché è solo nell’amore che deve confidare non nella sua promessa, perché solo lui ce la può fare. E perché è così che vuole la corrente, altrimenti la scelta non varrebbe niente.
Ecco, se all’uomo accadesse la stessa cosa?
Se Dio ci guardasse soffrire, lottare, rinnegare l’esistenza pur di non accettare neanche la remota possibilità di una profumata e gioiosa primavera (figuriamoci di un’estate) ma ci vedesse crogiolarci nell’apatia, nel dolore, nell’autocommiserazione … piuttosto che metterci in discussione e lasciare andare le nostre ragioni. Se Dio stesse lì ad amarci, a pregare per noi ma senza fare niente al posto nostro, e lasciasse il vento soffiare più forte per darci invece la terrificante possibilità di incontrarci nell’essenzialità di ciò che davvero siamo e lì fare spazio all’immenso e avere una sempre più salda e candida consapevolezza di sé, per scegliere qualcosa di diverso rispetto a quello che ci è sempre stato detto e lì nella posizione più dolorante e umiliante di tutte, potessimo sentire il calore di una luce in fondo al cuore, che arriva da noi, proprio da noi, che è parte di noi e lì potessimo incontrarLo … e lì buttare a terra l’ascia di guerra e fare pace con Dio? Che sensazione sarebbe? Cosa potrebbe accadere?
L’intero creato è disseminato di indizi, ogni creatura ci parla con il proprio esistere delle leggi della Natura, dalle quali l’essere umano non è esentato. L’albero di inverno in inverno crescerà sempre più in saggezza e non vivrà di certo sempre lo stesso ‘trauma’ e sempre con la stessa intensità, alla fine si accorderà e anche lui sarà corrente. Con il vento, onda di un unico mare, in tempesta come in pace.
Metaforicamente parlando, l’amore, la morte, la nascita, Dio potrebbero essere il vento e il vento è disposto a lasciarsi odiare, rinnegare, allontanare … è disposto a perdere l’albero piuttosto che salvarlo, consolarlo o agire per lui andando contro la sua libertà di divenire se stesso con le proprie forze, il vento non tradirebbe mai la corrente. Quella corrente ha una volontà creativa ed intelligente e noi ne siamo immersi, ovunque e sempre.
L’albero affronta prove dure e importanti ma è anche quello che trasforma l’anidride carbonica in ossigeno garantendo lo scambio, garantendo la vita. Metaforicamente parlando, se noi fossimo l’albero, c’è da dire che di prove dure e importanti da affrontare ne avremo (e ne abbiamo) tante, le foglie da lasciar cadere spesso possono simboleggiare la morte di persone care, la vita che di punto in bianco così come l’avevamo conosciuta scompare ma nel lasciare andare c’è già la primavera e forse ne abbiamo perse così tante di primavere per tenerci stretti l’orgoglio e le ragioni di mille inverni che magari è arrivato il momento di fidarsi senza arrabbiarsi e andare a vedere cosa c’è oltre il dolore, oltre il rancore, oltre l’amore così come ce lo hanno insegnato … perché quello spazio immenso di cui sentiamo parlare esiste e chissà cosa ha da mostrarci, cosa ha da dirci.
E se anche l’uomo potesse, come l’albero, trasformare l’anidride carbonica in ossigeno, essere un tramite importante e garantire la vita, garantire lo scambio se così fosse … verrebbe da chiedersi quanta fede, allora, nell’essere umano, ha Dio?
Sono certa del fatto che se cominciassimo a parlare con gli alberi, come con l’intera Natura, questa ci risponderebbe dandoci dei preziosissimi consigli e avvicinandoci a quell’Amore che ama e che tanto ci manca. Potremmo comunicare e attraverso l’arte esprimere quello che una pietra ci vuole dire e magari scoprire di essere molto simili e vicini.
Per tutto il tempo in cui ho scritto ho sentito dentro di me l’albero e lo ringrazio per essersi mostrato a avvicinato al mio sentire in un momento ‘delicato’.
E ringrazio l’uomo, per me, Maestro, che è disposto a farsi vento.
(Foto di Martina Cutuli).