Lei è Lyla

Camilla ViscusiArticoli, RiflessioniLascia un Commento

Lei è Lyla, una passerotta che mia madre ha raccolto dalla strada quasi due settimane fa.

Il suo arrivo in casa, una domenica mattina, da parte mia non è stato accolto proprio con gioia ma con un certo fastidio; ero ancora con la testa sul cuscino e il corpo sotto il piumone (sì, dormo ancora con il piumone) quando dal torpore del sonno che rende abbastanza svegli da distinguere suoni e voci ma non ancora da aprire gli occhi, ho sentito qualcuno entrare in casa e la voce di mia madre rispondere a quella di mia zia dicendo “Eh lo so, ma non me la sono sentita di lasciarlo lì”; poi, per qualche istante il nulla, non ho più captato altre informazioni in merito perché, credo, di essermi per un attimo riaddormentata portando con me il senso dell’udito che si è invece risvegliato di colpo facendomi distinguere la frase “Vabbè adesso ti lascio qua poi a te ci penso dopo”, avvertire qualche passo, sentire la porta di casa aprirsi e richiudersi.

Poi, il silenzio. E dopo nemmeno un minuto, dei suoni sordi sembravano provenire da una scatola insieme a dei dolci e innervosenti cinguettii. Sempre nel dormiveglia, ancora con gli occhi caccolosi e chiusi, mettendo insieme tutti i vari indizi che ero riuscita a raccogliere nel mio stato di sonno comatoso, era chiaro: nella mia stanza, in una scatola, c’era un uccellino. Ora, considerando che sono cresciuta guardando mille mila volte tutti i cartoni animati della disney, ne sarei dovuta essere felice visto che, fra i miei sogni distorti e irrealizzabili che sono da imputare proprio a quei cartoni, c’è quello di andarmene in giro con qualche animaletto, capra, pesce, uccellino, cavallo, camaleonte , tigre o anche drago che sia, con cui condividere tutto e capirsi al volo quasi fossimo due anime gemelle, oltre a quello di cantare con voce angelica in mezzo ai boschi muovendomi leggiadra e quasi danzando nei campi o dentro l’acqua, richiamando flora e fauna intorno a me e, perché no? Anche l’uomo che altro non aspettava che incontrare me, nella sua vita, cosa che è non solo, felice di dire ma per cui è pure disposto a combattere oltre che per i primi dieci giorni di innamoramento anche per i restanti a venire.

Almeno questo è quello che uno deduce, dandolo anche un po’ per scontato, e spesso sbagliando (vedi Pochaontas 2 che per me è stato un trauma) guardando quei cartoni lì perché, il cartone, ad un certo punto finisce con quel sapore dolce negli occhi che fa presupporre che vivranno tutti felici e contenti, innamorati così come tu li hai lasciati, ma anche con un retrogusto amaro in bocca di cui si fa allegramente finta di niente. Crescendo però quell’amarezza in me si è fatta sempre più presente anche perché di uomini, niente, al massimo bambini vestiti da grandi e come moda comanda, nei boschi ci vado ma inciampo e resto impigliata nelle varie piante molto più alte di me, canto, sì, ma con la stessa goffaggine e poca grazia con cui inciampo e mi impiglio, in acqua riesco a tenere il fiato per un tempo alquanto ridicolo e c’ho l’ansia delle meduse, i cani che ho e che ho avuto hanno sempre scelto come anima gemella mia madre e così ho dovuto, serenamente, un attimo ridimensionare un po’ il tutto collocandolo in una visione un tantino diversa ma, la possibilità di avere un giorno un’amicizia speciale con un animale –se selvatico ancora meglio- è rimasta, (e qui non c’entra solo la disney: nel mio caso, anche Free Willy ha la sua bella fetta di responsabilità) e si è sempre infiammata le volte in cui mi è capitato di trovare e prendere con me un uccellino caduto dal nido, riaccendendo quei sogni innocenti di bambina che faceva finta di parlare il linguaggio degli animali saltellando tra il salone e la cucina; e facendomi sentire come Elliottrxt quando in E.T. dice “ Lui è venuto da me” lasciando addosso quel senso di destino incrociato per cui due esseri apparentemente lontani, nei rispettivi contesti quotidiani, si ritrovano all’improvviso a stretto contatto e tutto assume un senso che, se pure razionalmente resta senza senso, da qualche altra parte, quel senso, lo trova. Ed è bello.

Solo che poi, puntualmente, quell’uccellino, muore. E tu resti a fare i conti con un minuscolo corpicino freddo che la vista non sopporta. Non lo accetti e pensi ‘E’ così piccolo, allora che è nato a fare?’ ‘perché è caduto dal nido? ‘ e una sorta di empatia, immedesimandoti potrebbe farti dire ‘chissà che paura, che spavento ha avuto: piangeva, chiamava la madre … si sarà sentito abbandonato, rifiutava di mangiare, all’improvviso si è trovato solo’ e un senso innato di colpa dice ‘avrei voluto aiutarlo, non sapevo bene come, forse ho sbagliato, mi dispiace che abbia sofferto. ‘ E, soprattutto, ‘ma perché cavolo è venuto proprio da me? ’

Perché negli occhi di un uccellino caduto dal nido, si legge tutta la vulnerabilità del mondo. Compresa la nostra, quella bistrattata in qualche angolo buio, nel profondo. Tutta la fragilità di un esserino che si è appena affacciato alla vita e già ne ha visto la parte più amara, un cosino buffo e indifeso a cui non è stato dato il tempo di crescere, di farsi forte che già si trova esposto a mille pericoli. Ed è venuto proprio da te, a mostrarti questo, questa parte di vita amara, questa vulnerabilità, questa vicinanza così selvaggia e nuda alla manifestazione della vita e della morte.

Adesso, a parte le fantasticherie disneyane, fa effetto ritrovarsi con un uccellino e non solo perché ci fa sentire come Biancaneve, ma anche per qualcos’altro che magari per ognuno assume una sfumatura diversa ma il foglio bianco è per tutti lo stesso: la vita. Siamo improvvisamente messi di fronte alla vita, non quella mascherata a cui siamo stati abituati e, fin da piccoli, educati, ma a quella scarna e cruda. Spietata e meravigliosa. Che esce fuori dal quotidiano, è selvaggia, e in un attimo ci solleva un senso di compassione, di empatia, di tenerezza, di voglia di prenderci cura -di-, di essere l’essere umano che può dare una mano fuori ma dentro la natura, l’essere umano più vicino al compito dell’essere umano. Ma inevitabilmente, sull’altro lato del foglio, c’è la morte e anche lì ognuno ha la propria sfumatura da ritrovarci sopra. Non è proprio una passeggiata sentire il lamento di un cucciolo e non poter fare niente, sentire le grida che chiamano la madre perché si vuole fare ritrovare e sapere che non arriverà nessuno, vederlo avere sempre meno forze, socchiudere gli occhi, accovacciarsi, e per la debolezza e la fatica deformarsi, stare lì senza poter fare niente, così impotente a guardare. Racimolando tutta una serie di prove a testimonianza della crudeltà della natura, del non-senso della vita e del menefreghismo di Dio. A dirsi ‘La vita ha fallito’.

C’è a chi non interessa e a tutto questo reagisce con freddezza e indifferenza ‘ è solo un uccello ’ forse sì, è solo un uccello ma noi di certo non siamo esenti da quella parte di esistenza che ci sta mostrando, ed è il terrore vero che fa mascherare da superficiali e indifferenti. Poi magari c’è chi, tipo me, esagera dall’altra parte vivendo il tutto come una grande tragedia e con una tristezza spropositata, anche questo diciamo che non è salutare, forse è addirittura un’altra forma di chiusura che non dà comunque modo di vedere, ma per entrambi i casi, si può dire che non siamo in grado di assistere alla morte e basta un uccellino che la chiama in casa a darci l’occasione di accorgercene.

Per questo non ero felice quella domenica mattina e il primo pensiero che feci fu ‘ecco, mi toccherà vedere un altro uccellino che muore. Questa volta proprio non mi va, ma perché mamma non lo ha lasciato là ..  alla base di questi altissimi pensieri c’era la convinzione di stare appena cominciando a fare amicizia con la vita e con tutti i suoi volti, spesso ancora a denti stretti e pugni chiusi però qualche progresso mi sembrava di averlo fatto proprio nelle ultime settimane, eppure mi infastidiva l’idea di dovermi ritrovare a fare i conti con il suo volto più oscuro e crudele, non mi sentivo ancora pronta, non mi andava .. non mi andava di prendermi cura di quell’uccellino, non mi andava di farmi domande, non mi andava di ascoltare le cose che mi sarei raccontata vedendolo morto in quella scatola. Che bella amica per la vita che ero diventata! Si perché poi, dopo tutta una serie di uccellini morti nel corso degli ultimi anni mi ero un po’ stufata e anche demoralizzata e se prima ad ogni inizio estate quasi speravo di trovarli, da un po’ di tempo a questa parte pregavo di non trovarli e per un paio di anni aveva funzionato, fino a quella domenica mattina.

Alla fine, con molta calma, decisi di alzarmi dal letto e camminai ciondolando verso il salone, dove stava mio fratello che era già sveglio e aveva preso l’uccellino. Nell’attraversare il corridoio presi diverse decisioni, la prima: niente fantasie disneyane. La seconda: non mi sarei affezionata, quindi avrei ridotto i contatti al minimo. La terza: avrei fatto il possibile per farlo mangiare ma se niente avesse dovuto funzionare sarei rimasta serena senza farne una tragedia. Quarta: niente nome. E quinta: nel bene e nel male niente cose da prendere sul personale. Praticamente per me era già un uccello morto e stavo trovando il modo di farmela, spiritualmente, andare bene come ogni buon lavoro su di sé insegna, per rimanere amica della vita. Lo vidi sulle mani di mio fratello che provava a farlo mangiare ma … non mangiava. Pensai ‘Ecco fatto. Non mangia. Muore ‘ presi subito le distanze, anche fisicamente, facendo inconsciamente un passo indietro. Poi quando mio fratello lo rimise nella scatola, dopo un po’ mi avvicinai e lo presi tra le mani. Era accovacciato nel palmo della mia mano. Ed era una femmina. Sentivo il suo corpicino caldo, vivo. Non so poi di preciso cosa sia successo però l’ho guardata cercando di farlo senza condanna, senza paura, senza il bisogno di salvarla e senza la certezza che sarebbe morta. Ho cercato di scendere e guardarla dal cuore, non dai pensieri e lì è successa una cosa che mai era accaduta prima: ho sentito scorrerci intorno la vita, tra me e lei, come fosse la madre di entrambe e a Lei l’ho restituita, qualsiasi cosa volesse dire.

Se anche fosse morta non sarebbe accaduto niente di male perché eravamo completamente immerse nella Madre. Che è solo un altro modo per dire Dio. Se anche fosse morta non sarebbe successo niente di male, non ho parole per spiegare questa frase ( anche perché molto probabilmente non l’ho capita) ma la pace che per un po’ ho provato in quel momento l’ho vissuta come qualcosa di estremamente concreto e vero. C’era intorno un Amore grande, di Madre, che vedeva me e vedeva lei, quell’uccellino, e c’era qualcosa tra loro due che andava oltre la mia paura e la mia volontà di essere umano, un loro accordo, una loro intimità, potevo farne parte ma senza appropriarmi di niente, senza dover capire niente. Senza aver paura di niente. E lo stesso valeva per me e quell’Amore lì. Sparì il senso di ingiustizia, di rivendicazione, e si fece strada un senso di partecipazione. Non so ma dal momento in cui l’avevo restituita alla vita da allora sentii in me la leggerezza di potermene prendere cura con tutta quanta me stessa. La guardai e vidi questa frase -stiamo giocando allo stesso gioco-. E non è un gioco di guerra, né di prevaricazione, né di conquista. E’ un gioco di accordi e di magia, è un gioco divino. E lei, allora, si chiama Lyla. Perché in qualche modo me lo ha ricordato. C’è una parte di questo gioco che proprio non ci piace ed è la parte che sta nei frutti che marciscono, i fiori che appassiscono, sta nei giorni in cui piove, negli uccelli che cadono o peggio vengono spinti via dalla madre fuori dal nido, sta nella sofferenza, nella pesantezza, nel dolore e nella morte degli animali e della gente, questa parte non ci piace per niente eppure, la vita, l’abbiamo trasformata proprio in questo: pesantezza, paura, stanchezza, sofferenza … è strano, no?

Lyla sta bene e mentre racconto parte della sua storia saltella e rincorre le mie dita sulla tastiera del computer, poi improvvisamente si schiaccia sul margine del palmo della mano, si accuccia e dorme. Mangia, cinguetta, sale sulla spalla e cerca molto il contatto con tutti quanti noi, è bello averla intorno. Ma il gioco, come la sua storia, non finisce qua: appena sarà in grado di volare e avrà cambiato tutte le piume di cucciola e messo quelle da grande (non per moda ma per natura) la vedremo volare via dalla finestra della nostra casa. Sarà una bella prova, per lei, ma anche e soprattutto per me … sto cercando di prepararmi all’idea di non poterla più proteggere e di non vederla più saltellare sul mio corpo, cinguettare, farsi il bagno e fare la cacca con una frequenza impressionante e soprattutto sto cercando di tenere a freno l’immaginazione da final destination per cui mi si prospettano all’orizzonte tutti gli scenari più terrificanti e catastrofici che la vedono come protagonista .. anche perché in questo modo non le sono per niente di aiuto …

In fondo, questa è la vita e non è cattiva quando due strade si dividono, non è cattiva quando piove, non è cattiva quando gli uccelli cadono dal nido e non sempre si possono prendere e portare a casa, non è cattiva quando quegli stessi uccelli si prendono, si portano a casa e si guardano morire in una scatola, non è cattiva quando il fiore appassisce, è la vita. Questa è la vita e non è buona perché due strade si incrociano, non è buona perché c’è il sole, non è buona perché si vedono gli uccellini con la madre dentro un nido, non è bene buona perché si vede crescere un uccellino caduto dal nido e portato a casa, non è buona quando il fiore sboccia. E’ la vita. Ed è tempo di conoscerla non più per quello che ci hanno raccontato ma per quello che faccia a faccia con lei, proviamo, sentiamo. Un po’ come se fosse una chiamata a raccolta per il genere umano, l’occasione di dimenticare tutto e ricordarsi di essere figli e da figli fosse il tempo di conoscere la Madre. E la vita che tutti insieme stiamo vivendo. Quello che fa paura a me, fa paura a te, quello che fa paura a te fa paura a quell’uccellino che è caduto dal nido. C’è qualcosa di selvatico che ci accumuna che abbatte ogni possibile barriera, è un luogo e lì è possibile incontrarsi. Non perché siamo tutti uguali, ma perché siamo tutti figli della stessa Madre e dello stesso Padre.

Lei è Lyla e nel pomeriggio, mentre stavo finendo di scrivere l’articolo, dormiva nel palmo della mia mano quando ad un certo punto, ha cominciato a respirare male, con la bocca spalancata, gli occhi socchiusi e all’improvviso non si teneva più sulle zampe, ho provato a farla camminare sul tavolo ma non si teneva in piedi, sforzandosi riusciva a trascinarsi nella mia mano, lì si accovacciava e riapriva la bocca. Di punto in bianco era debolissima. In quei dieci minuti ho messo in dubbio tutto quello che avevo scritto nell’articolo, ho cominciato a piangere, a sentirmi in colpa e quando per due volte l’ho vista arrancare ma comunque trovare la forza per tornare a stendersi dentro la mia mano ho pensato “no, non voglio che mi muori in mano” ero spaventata e quasi disposta a lasciarla sola, eppure lei con le poche forze che aveva cercava la mia mano. Poi ho respirato e richiamato tutte le cose che avevo vissuto e che avevo da poco messo per iscritto, erano tutte là davanti a me. Mi sono chiesta “Credo in quello che ho scritto a prescindere dal lieto fine che nella mia testa nonostante tutto, a quanto pare, ho deciso?” “Sì, ci credo” ed era vero. Continuavo a sentire dolore ma ero più tranquilla e felice del fatto che volesse stare nella mia mano.

Con lei alla fine non ho seguito nessuna delle regole concepite in corridoio (qualche fantasia disneyana, lo ammetto, c’è stata .. proprio ormai ce l’ho nel sangue) anzi ho fatto una cosa mai fatta prima: ho condiviso la mia felicità, facendole foto e mandandole a diverse amiche/amici e parenti, godendomi i momenti passati insieme, raccontando di lei senza preoccupazioni o scoraggiamenti o idee di morte certa. Eppure in quei dieci minuti me la sono vista brutta molto brutta. Davvero ero di nuovo pronta a prendere le distanze e a ripiombare in pensieri tristi e disfattisti ripieni di ingiustizia. Ci vuole un attimo a spostarsi dall’altra parte, secondo me un po’ è perché non conosciamo abbastanza oltre che la Vita, soprattutto la Morte, precludendoci forse moltissime cose. Ci fermiamo al pensiero di ciò che vediamo e da lì traiamo le nostre conclusioni. Quando invece chissà che succede. Molti poeti l’hanno descritta ‘dolce’ e c’è chi l’ha chiamata Sorella al pari dell’Acqua, al pari della Luna … per noi, intimamente, individualmente, com’è, come sarebbe se non avessimo pensieri al riguardo, se un uccellino la invitasse nelle nostre case come sarebbe starLa a guardare, magari tenendoLa fra le nostre mani? Pensiamo di aver capito tutto ma in realtà non ne sappiamo proprio un bel niente.

Lei è Lyla e dopo dieci minuti di agonia in cui io ho altalenato tra il terrore e i buoni propositi, la paura e l’amore, la tristezza e la fiducia, al mio “Sì, ci credo”, un po’ come le fate, ha ripreso a respirare normale, a cinguettare, a beccarmi la pelle, a bere a mangiare, a camminare, vispa e allegra e curiosa come sempre. Non so cosa sia successo, forse ha avuto semplicemente molto caldo all’improvviso ma, qualsiasi cosa sia stata mi ha mostrato come fossi disposta a riprendermi ogni pensiero di quella domenica mattina nonostante tutto quello che era accaduto dopo. In un attimo la testa aveva azzerato tutto e la mano fuggiva la morte in quell’uccellino che sembrava debole e malato, devo farci i conti con questo: dicevo di essermi affezionata, me ne prendevo cura eppure nel momento in cui, sofferente, Lyla, aveva cercato la mia mano il mio primo impulso è stato quello di toglierla, di allontanarla da me. Ha radici molte profonde il nostro non voler vedere e un uccellino che cade dal nido può essere una grande occasione per cominciare piano piano ad aprire i nostri occhi caccolosi e risvegliarci da uno stato di sonno comatoso, sia che lo si lasci per terra, sia che lo si porti a casa e cresca, sia che nella nostra casa muoia. E’ la Natura che ci fa visita che ci ricorda le regole del gioco a cui stiamo giocando, è la Vita che ci guarda da entrambi gli occhi e ci risveglia alla realtà e qualsiasi cosa accada non sarà niente di male perché Lei non è buona e non è cattiva, Lei ama e Lei è Lyla.

 

 

Uomo

in un corpo senza Dio

Uomo

Amore mio.

Curva è la tua schiena, rigida la tua corazza

e la tua voce, più non canta.

Uomo

in un corpo senza Dio

Uomo

Amore mio.

Con gli occhi così lontani dal sole

sulla tua pelle, non c’è più l’odore del fiore.

Uomo

in un corpo senza Dio

Uomo

Amore mio.

Il tuo piede, la terra, più non sente

e nel tuo seme c’è il sapore della mente.

Uomo

verrà il giorno in cui

il tuo corpo vorrà Dio.

Ed io ti aspetto. Amore mio.

L’universo si riempirà delle mie labbra

e nel mio bacio, sorgerà il respiro che la fronte scalda.

Limiti invalicabili ha la ragione

per chi nella testa costringe l’assoluzione.

Lascia che le mie mani ti bendino gli occhi

ti apro le porte, schiudi le ali e penetra l’Eterno orizzonte.

Prigioniero della sorte, non ho io il potere di renderti libero.

Ma che il mio mistero possa ispirarti e nella spirale guidarti.

Sappi che quel giorno, libero dalle catene,

ti riconoscerai audace cavaliere

allora più nessuna paura, nel tuo cadavere,

affonderà l’artiglio

perché al tuo fianco

come consorte

avrai scelto la morte.

Uomo

con il corpo gravido di Dio

Uomo

Cuore mio.

 

Lascia un commento