Cara Anna,
oggi sono arrivata in treno a Bologna.
“Bologna la Dotta, Bologna la Ghiotta, Bologna la Rossa”.
Una città a me cara, perché legata ad alcuni cantautori italiani che ascolto: Francesco Guccini e Lucio Dalla.
Ti ricorderai che avevo messo nella “lista delle cose da fare” la visita e il soggiorno in questa città. Purtroppo, l’imprevisto dell’operazione chirurgica per rimuovere la recidiva ha rimescolato le carte del destino. Poco importa, ora sono qui.
Ho scelto di viaggiare con un treno regionale per godere del paesaggio. Ho avuto anche la fortuna di trovare un posto isolato, vicino ai servizi igienici e di fronte a me uno schermo che mi aggiornava in tempo reale sulle fermate e i tempi di percorrenza. Mi sono rilassata a guardare fuori dal finestrino.
L’anno scorso sarei giunta a Bologna con la famiglia. Quest’anno viaggio da sola.
Prima di partire, ho riflettuto sul tema dell’eutanasia. Tu sai che sto applicando quella passiva che consiste nel non sottopormi né a radioterapia né a chemioterapia, poiché mi creerebbero ulteriori danni alla salute. Sei anche a conoscenza che pratico meditazione, recitazione dei mantra e la personale cura attraverso la visualizzazione del cerchio d’oro.
Al telefono ti ho raccontato di essermi informata sull’eutanasia che praticano in Svizzera. Ho visitato il luogo, che non è una clinica ma palazzi resi anonimi dal loro grigiore e che al loro interno sono attrezzati per dare la “dolce morte”. Tu, sei rimasta sconvolta. Mi hai pregato di riflettere e di desistere su questa decisione.
Anna, amica d’infanzia, compagna di avventure. Dovresti conoscermi. Non mi arrendo, ma non ho nessuna intenzione di diventare un vegetale: non è vita.
Ti sei commossa. Ti sei emozionata. Hai cercato di rispecchiarti nelle parole che ho scritto nel racconto che ti ho inviato. Vedi Anna, sono io la protagonista di quel racconto, non tu. Il cancro mi ha sconvolto la vita. Niente assomiglia alla mia vita prima della scoperta della malattia, né mai lo sarà dopo. Non parlo solo della vita esteriore. La vita intesa di ciò che fai, che ti piace fare e che dovresti fare. Ma anche la vita interiore. Lentamente e inesorabilmente s’insinua il senso di perdita della tua identità. Perché quello che fai t’identifica anche per quello che sei. Si comincia con la perdita del lavoro, la perdita del ruolo sociale. Perdita di relazioni e amicizie. Perdita dell’amore. Perdita degli hobby, dello sport. Non puoi programmare più nulla. L’agenda si riempie di appuntamenti per controlli, visite mediche ed esami. Ma soprattutto la perdita di me stessa. Non mi riconosco più, neppure allo specchio. Cambio di taglia, il corpo decade, i capelli cadono, la memoria che mi abbandona. A volte, spesso, non posso leggere per i forti mal di testa. Altre volte non riesco a scrivere perché non ho la forza nella mano o perché comincio a tremare. Così, ricaccio indietro le lacrime e sorrido. Non so più chi sono. Non so chi sarò. Vivo in un limbo. Mi sono rifugiata nei sogni. Ma poi, realizzi che i sogni sono illusioni, speranze, miraggi.
Quante volte a te capita di sentirti stanca, maledettamente stanca, ma devi andare al lavoro e poi riordinare casa, preparare i pasti, fare la spesa, ascoltare e seguire tua figlia? È difficile spiegare alle persone questa sensazione di precarietà quando non vedono il corpo con ferite esteriori.
A me è capitato di stare male, ma di essere comunque sorridente, positiva, propositiva e le persone non credono che io abbia il cancro. È complesso spiegare loro cosa ti sta succedendo senza farti compatire. Allora fingo e ripeto e mi ripeto: “Oggi sto bene, grazie”, “Ho il controllo il… poi si vedrà, grazie”.
Complesso spiegare che il mal di testa non ha orari.
Molto complicato comunicare alla famiglia e agli amici che hai scelto l’eutanasia, che hai scelto di non avere un futuro terreno.
Bene, sai come ho risolto? Ho scritto una lettera e l’ho messa sul tavolo da pranzo prima di partire. Non vedrò i loro volti quando la leggeranno perché io sono qui a Bologna.
Ho chiesto solo di abbracciarmi quando tornerò senza chiedermi nulla, senza rimproverarmi nulla.
Avevo pensato di andarmene di casa. Zaino in spalle e morire nel bosco. Poi ho pensato alle conseguenze ed ho scelto di tornare, ma alle mie condizioni.
A te, Anna, chiedo la stessa cosa: “Abbracciami quando ci incontreremo”.
Grazie. Un abbraccio di Luce.
Alice