Oggi il vento è il canto di un uomo.
Oggi la pioggia è il canto di una donna.
Entrambi cantano il perdono.
Sarebbe da scendere per le strade e lasciarsi soffiare e piovere addosso.
Placare le menti, aizzate a piacere da chi comanda, riportare luce nei corpi insozzati da chi produce.
Intima e personale è la storia di ognuno congiunta di punto in punto sulla punta d’ogni stella, non è diritto di nessuno additare, giudicare, manipolare, strumentalizzare quel che accade per un proprio affare, compito di tutti è invece quello di saper osservare e onorare gli eventi. Scegliere fra le infinite correnti che si muovono sotto, sopra e dentro di essi, per quanto tremendi possano essere, quale sia quella da seguire, da dire a cui dare rilievo, quella che è amore e verità. Quando questo ancora non è possibile allora si può solo fare silenzio. Almeno fare silenzio.
E’ stata violentata una ragazza. Altre donne e altri uomini ce ne raccontano e scrivono i particolari in televisione e sui giornali continuando a violentarla. Mentre altre donne di tutte quante le età vengono violentate ovunque e da ogni tipo d’uomo giorno dopo giorno. Di qualcuna se ne parla di molte altre no, dipende da quanto fanno comodo le circostanze, la scenografia, il teatro in cui lo spettacolo si è svolto e gli attori che vi hanno partecipato. Dipende dal pubblico a cui è rivolto e al messaggio che si vuole far passare, vendere, consumare.
La paura non è empatia, l’indignazione non è solidarietà, il dolore non è compassione.
Se ogni donna chiudesse gli occhi con l’intenzione di entrare in contatto con l’altra donna violentata, chiunque essa sia, potrebbe farlo, riuscirebbe a sentirla, attraverso l’utero. All’inizio ci si immedesimerebbe e questo darebbe paura, dolore, disgusto ma se poi si andasse oltre, se non ci si lasciasse coinvolgere da quello che al primo impatto sale, se lo si lasciasse diramare, si incontrerebbe altro e si riuscirebbe a creare un legame che sana, che riporta amore e guarigione. Empatia, solidarietà, compassione. In un altro spazio prenderebbe corpo una preghiera che va al di là del conosciuto. Non è patetico sentimentalismo, non è una tecnica di meditazione, di yoga, è qualcosa di molto serio e sacro che riguarda il coraggio e la spontaneità saggia del cuore.
Non finisce tutto fin dove riusciamo a vedere, c’è molto altro che si muove e che nonostante la nostra diffidenza agisce dentro di noi nel bene e nel male. L’ho notato su di me proprio mentre ascoltavo ai notiziari frasi come ‘stuprata dal branco per 12 ore” “La ragazza violentata e poi strangolata” per quanto non volessi ascoltare, la vibrazione di quelle parole, dette in quel modo, entrava nel mio utero, nel mio ventre, nel mio seno, nei miei occhi, nella mia vagina, come mattoni di vergogna, di dolore, di violenza. E mi indurivano e mi facevano venire paura e rifiuto di essere donna, senso di colpa per le forme accattivanti del mio corpo e mi facevano salire rabbia e terrore nei confronti degli uomini. Sono sicura che non accade solo a me. Che i nostri uteri sono pieni di quei mattoni, di quella masse nere appiccicate alle nostre carni, proprio perché possiamo sentire e sentirci l’un l’altra attraverso un corpo vivo comune, che se viene violato in una donna ha ripercussioni nell’intimo di ogni altra donna. E il fatto che non ce ne si accorga non vuol dire che non accada. Conoscerlo può proteggerci, conoscere questo può aiutarci ad imparare come renderlo una forza invece che una debolezza, uno strumento di guarigione invece che una malattia. Ma non si parla di questo, il centro dei discorsi si sposta su altro, su fatti apparentemente molto più concreti ma che invece deviano dalla verità, soffocano l’anima e alimentano la rabbia in nome di un senso di giustizia che invece è solo frustrazione.
Ignorare il nostro corpo, il nostro essere donna è la forma di violenza più grande che ci auto infliggiamo. Il resto si compie da sé. E fatti così devastanti lo portano alla luce in modo eclatante attraverso persone che vivendo la loro intima e personale storia, manifestano qualcosa che riguarda e parla a tutti. E l’atto di rispetto più profondo che possiamo compiere nei loro confronti è avanzare un passo dentro noi stessi, tirarci fuori dal caos che vi si è generato sopra e stare invece dentro, fare uno sforzo e allontanarci dalla testa che parla per stereotipi e titoletti di giornale che si immedesima e subisce e andare più giù nell’utero se siamo donne, nel cuore se siamo uomini. Perché riguarda entrambi. Seri e arresi. Riscoprire un modo intimo e personale di relazionarsi a ciò che accade. Umili e veri. Liberi da qualsiasi tornaconto personale o dal perbenismo catechesi male. Far affiorare qualcosa di sincero e di reale che riporti a un dialogo tra gli esseri umani, tra gli esseri umani e la Natura, tra gli esseri umani e Dio.
La donna ha la forza necessaria per illuminare il suo utero e pulirlo da qualsiasi mattone e masse nere e ha l’amore necessario per espandersi e sanare qualunque luogo lei voglia. Per prendersi cura come una madre di tutte quante le sue figlie e sorelle passando per altri regni. Che esistono. La donna può chiedere perdono per l’ignoranza protratta a cui ha costretto se stessa di generazione in generazione e può cominciare a guardarsi con amore a sentirsi protetta da ciò che la abita dentro e la avvolge fuori, può sentirsi sacra e giusta nelle sue forme, può smettere di compiacere gli altri (soprattutto sessualmente e non è un particolare da poco) per sentirsi bella o amata e cominciare invece a piacere a se stessa per scoprirsi bella e importante ai suoi soli occhi. Può portare una mano aperta sopra il ventre, in questi giorni, e dire ‘amore’ sentendosi stupida, lontana, giudicata da se stessa, mortificata … fino a quando come un tuono una voce di terra non le uscirà dal cuore.
Le nostre parole hanno perso il sangue, sono vuote e intaccate dai pensieri sociali, fare un passo dentro, tornare all’utero del primo sacramento ci riporta al sangue ad una conoscenza ancestrale che è delle stelle e delle voragini della terra.
L’uomo può chiedere perdono per la violenza che prendono i suoi desideri e le sue mani, per l’ignoranza che lo abita e la presunzione che lo castra. Può chiedere perdono per la forza usata nel modo più spregevole e indegno, per non farsi domande e non curarsi di niente al di fuori dell’erezione di se stesso. L’uomo può essere presente e moltiplicare i battiti del suo cuore in ogni gesto di tenerezza e di amore, nei confronti delle sue figlie, della sua compagna, di sua sorella, di sua madre, di sua zia, di sua nonna, della terra intera. Può esserci un uomo che nell’intimità del proprio silenzio decida in questi giorni di porgere un inchino alla madre, un inchino alla donna, un inchino alla luna per ogni crimine compiuto da qualsiasi altro uomo nei confronti della donna e nei confronti dell’uomo stesso.
Una donna che dice Amore con una mano sul ventre e un uomo che si inchina dinnanzi alla terra, già questo nell’angolo più remoto del mondo, taciuto da tutti, farebbe sbocciare la rosa della guarigione e del perdono. Nell’umiltà che onora e libera dall’odio gli eventi.
Ma siamo ancora così piccoli e poco evoluti da non avere nemmeno l’umiltà di ammetterlo, di vederlo. Vogliamo per forza fare i ‘grandi’. E’ difficile per noi comprendere le vie del cielo e la verità della terra, ce la prendiamo ancora con Dio e con chi è diverso da noi.
Ma la Natura chiama e adesso non è più in attesa di risposte. Accade.