Per Laura adattarsi al nuovo clima non era stata esattamente una passeggiata.
Aveva lasciato la calura romana morbidamente asfissiante e dopo appena tre ore di volo i dodici gradi le si infilavano in gola procurandole sollievo e allo stesso tempo la preoccupazione di beccarsi una tonsillite. Meno male che si era portata dietro il foulard di lana e il cappellino di pile, previdente, come sempre del resto. Non a caso aveva consultato innumerevoli portali di meteo nelle settimane precedenti, aveva scorso statistiche climatiche e letto pagine su pagine sulle temperature norvegesi.
“E’ come il nostro inverno”, cinguettò una tizia il cui nome le sfuggiva in continuazione, una signora dal vistoso accento campano, provvista di un altrettanto vistoso cappellino colorato, le mani quadrate vistosamente ingioiellate, il marito al seguito sul cui addome prominente penzolava una Nikon di ultima generazione. Quei due non li sopportava proprio, i loro continui esasperanti tentativi di fare conversazione la irritavano, la distraevano dall’osservazione del paesaggio, dall’attenta consultazione della guida pesante come un mattone che si ostinava a portare nella borsa a tracolla e che cavolo! Ma perché non stavano zitti? Perché insistevano a raccontare dei loro figli laureati e dei nipotini il cui numero, col passare dei giorni, sembrava lievitare?
Sorrise educatamente e guardò fuori dal finestrino con aria di estrema concentrazione mentre la signora indicava con lo smeraldo sull’indice destro una casetta dal tetto di ardesia “Caro, non ti ricordi dove abbiamo visto case uguali? In Albania forse, oppure a Cortina!” Il marito grugnì qualcosa e puntò l’obiettivo verso un paesaggio innevato scattando una serie di foto che sicuramente sarebbero venute una grande schifezza. La signora si sporse verso Laura:
“Lui ha lavorato tanto – fece con un cenno verso il marito e una smorfia di disgusto sulle labbra – ma io non appena potevo lo costringevo a partire. Viaggiare è fon…da…men…ta…le”.
Disse proprio così, sillabando, mentre Laura represse a stento un sospiro tenendo ostinatamente lo sguardo rivolto verso l’esterno del treno anche adesso che stavano entrando in galleria.
“E Lei invece di cosa si occupa?”, continuò la signora indifferente all’indifferenza di Laura. Per fortuna una voce gutturale li invase dall’altoparlante e il treno rallentò la sua corsa.
Erano saliti a Voss, in una giornata luminosa e gelida che faceva brillare le vette rotonde costellate di piccoli ghiacciai perenni. Qua e là le distese innevate catturavano i raggi del sole e si lasciavano pigramente sciogliere in rivoli che scendevano a valle circondati da nuvole di vapore.
Sempre dal solito altoparlante una flautata voce femminile di italica fattura invitò i passeggeri a scendere alle cascate di Kjosfossen, dal lato destro del treno… fare attenzione al terreno scivoloso. La signora rimase a bocca aperta:
“E’ così… così…”, disse restando per una volta senza parole.
“Inebriante”, suggerì Laura ma nessuno avrebbe potuto sentirla perché il fragore della cascata copriva qualunque altro rumore. Una pioggia di goccioline iridescenti l’avvolse in una nuvola profumata, l’acqua che scendeva era terribile, piombava nell’abisso con travolgente sicurezza, sembrava provenire direttamente dal cielo e rimbalzava sulle rocce frustandole mentre quelle rispondevano bucandola qua e là, costringendola a loro volta a deviazioni e a capriole antigravitazionali.
L’uomo si materializzò all’improvviso sulla sua destra, alto e allampanato, elegante nella sua divisa blu scuro, il mento piccolo rientrava nel collo mentre un naso aquilino fendeva l’aria con sicumera, i suoi occhi azzurri minuscoli e infossati la guardavano severi da sotto la visiera del berretto lucido a causa degli spruzzi della cascata.
“Buongiorno signora Naselli”, le disse con quello strano accento nordico che sembrava tagliato con l’accetta. Laura lo guardò stupita: come accidenti faceva quello lì a sapere il suo nome? Sul quel treno erano almeno in cento e tutti scattavano foto e selfies.
“E’ lei la signora Naselli? Non vorrei sbagliarmi”, aggiunse il signore che la scrutò con aria preoccupata. Laura annuì vigorosamente pentendosi subito dopo… quella richiesta poteva essere gravida di conseguenze, si disse incerta.
“Bene – continuò il signore e sfiorandosi il berretto aggiunse con un accenno di sorriso – mi presento, sono Hans Brenno, il capotreno, e la prego di seguirmi, la stavamo aspettando”.
La folla dei fotografi si aprì in due per lasciarli passare, alcuni li guardarono per un momento stupiti, un attimo dopo ricominciarono a scattare foto dimentichi di quella breve parentesi.
Laura seguì il capotreno nella nuvola di vapore, dovette accelerare il passo perché l’uomo teneva un’andatura piuttosto elevata… mi inzupperò fino alle ossa… pensò brevemente ma si accorse stupita di non essere bagnata. Per un attimo credette di averlo perduto e le si strinse il cuore; in mezzo a quella nebbia arcobaleno non sarebbe stato facile tornare al treno ma i contorni dell’uomo riapparvero e Laura si sentì meglio. Comunque Hans Brenno o come accidenti si chiamava era pur sempre il capotreno pertanto il treno non sarebbe partito senza di lui, si disse consolandosi. Così com’era iniziata la nuvola di vapore sparì e davanti a lei si aprì un bosco intricato. Laura si accorse sempre più stupita di trovarsi molto in alto, adesso era all’incirca a metà cascata, l’acqua scorreva ai suoi piedi precipitando verso il basso, il sole che stava diventando caldo la faceva esplodere in una serie di arcobaleni che si fondevano l’un l’altro. Wow… si disse e cercò lo smartphone quando si accorse di averlo dimenticato sul treno… questo poteva diventare un guaio ma il capotreno si stava già infilando nel bosco e se non voleva perdersi non gli restava che seguirlo.
“Scusi – provò a dire – scusi ho dimenticato il telefono sul treno, c’è modo di recuperarlo?” Il capotreno si girò ponendosi l’indice sulle labbra e fu lì che Laura si rese conto che tutto era silenzio, persino il fragore della cascata era cessato. Tacque arrossendo, sempre i soliti italiani caciaroni, pensò. Provò a guardarsi intorno, aveva la sensazione di essere scrutata ma nessuno faceva capolino dal fogliame, calpestava rametti ma non faceva rumore, le foglie sembravano spostarsi al suo passaggio. Hans Brenno la spaventava a morte ogni volta che spariva dietro un albero per poi farla sospirare di sollievo al suo riapparire… a proposito… che tipo di alberi erano quelli? Pini, abeti, forse anche querce e quelle con il tronco bianco… betulle, ecco. La botanica non era decisamente il suo forte. Poi, finalmente, il bosco si aprì su una radura e lì sorgeva una capanna di rami intrecciati. Hans si fermò rispettosamente sulla soglia e con un gesto del braccio la invitò ad entrare.
“Ha portato il cosciotto per il Fossegrimm?”, le chiese a fior di labbra mentre Laura si accingeva ad abbassarsi per varcare l’uscio della capanna.
Il che per chi?
Dentro l’aria sapeva di foglie, erba e rami, un vecchio dai lunghi capelli d’argento completamente nudo la fissava seduto su una pila di cuscini fatti di rami intrecciati, le gambe magrissime penzolavano scompostamente e facevano il paio con delle braccia lunghe e scarne. Laura distolse educatamente lo sguardo dalla nudità piuttosto repellente dell’anziano e si concentrò sul viso, stempiato, grigio e magro come tutto il resto. Nella penombra non riuscì a scorgere gli occhi ma si sentiva osservata, accanto a lui c’era un violino. Il vecchio prese il violino e suonò e Laura comprese che mai e poi mai avrebbe più sentito un suono così, una musica che le riempiva l’anima trasportandola in una dimensione magica, che la faceva dilatare e fondere in un tutt’uno con quello strano bosco silenzioso. Gli alberi, l’acqua e il vento erano tutti dentro l’armonia che scaturiva dal violino millenario e lo accompagnavano vivificati dal suono. Nulla poteva esistere al di fuori di quelle note. Poi il violino tacque e Hans Brenno entrò nella capanna, si inchinò davanti al vecchio e si rivolse a Laura.
“Il cosciotto di maiale per favore e il Fossegrimm le consentirà di rimanere in eterno qui ed imparare a suonare il violino”.
Per sempre lì, a suonare il violino e fare sorgere cascate e fiumi e sbocciare fiori e invecchiare foglie. L’eternità, mai più preoccupazioni, il tempo cristallizzato, l’età di cui non importa più nulla, l’oblio della morte sconfitto. All’improvviso si sovvenne del sogno di alcuni anni prima, di un tizio che somigliava proprio a quell’Hans Brenno che l’aveva invitata a tenere sempre sotto mano il dono, un giorno ne avrebbe avuto bisogno. Il sogno l’aveva talmente stupita da indurla a prendere appunti nel suo quaderno dei sogni, poi se ne era dimenticata. E comunque l’offerta era vantaggiosa certo ma sparire così, all’improvviso, senza lasciare traccia, senza accomiatarsi da sua sorella, dai nipoti, lasciando gli altri nella dolorosa incertezza. No, non se la sentiva proprio. Ferma sull’abisso del salto quantico, quello che inseguiva da sempre, non aveva il coraggio di lanciarsi.
“Mi dispiace, l’ho dimenticato – rispose allargando le braccia e aggiunse – per favore adesso vorrei tornare al treno”.
Si ritrovò nel bosco, tutti spariti: violino, Fossegrimm e, oh no! Anche il capotreno! Come fare a tornare indietro? Non conosceva la strada e il fragore della cascata era ricominciato e la faceva impazzire confondendole i pensieri mentre un ramo continuava a frustarle la spalla… la spalla… basta mi fai male! Il viso della signora dal cappellino colorato si disegnò davanti ai suoi occhi sbarrati mentre la signora continuava a scuoterla per il braccio.
“Signora, signora, si svegli, siamo arrivati! Che bellezza dormire così profondamente! Sapesse come la invidio!”
La Norvegia è popolata da creature magiche, averne incontrata una è stato un grande onore per me, credetemi. Magari può accadere anche a voi.
Laura Naselli
4 Commenti su “Norvegia”
Il maestoso scenario delle cascate descritto in modo mirabile riesce ad essere percepito dall’autrice solo attraverso la dimensione onirica catalizzata dall’incontro reale con un personaggio da favola ,il capotreno.
Nel racconto, lo squallore degli accompagnatori di viaggio, la cui presenza serve a svegliarti dal sogno,
sembra più importante degli autentici spettacoli di magia e di bellezza e di emozioni che la Norvegia sa offrire.
Buonasera Rosa grazie per le gentili parole….leggendo il tuo commento mi sono ricordata dello yoga del sogno tibetano che ci induce a riflettere su una cosa: e se quello che viviamo come sogno fosse la realtà mentre quella che riteniamo la vita vera fosse il sogno?
Magari sono ancora ai piedi del Fossegrimm a studiare musica e non me ne sono accorta!
Sono felice di aver condiviso con te esperienze magiche un bacio
laura
Sapiente connubio tra realtà e onirico. “Indifferente all’indifferenza”: bellissimo!
Io sarei curiosa di vedere le foto del signore grugnente…magari non sono poi così male!