La trama è semplice, per certi versi scontata. Niente peripezie giudiziarie, nessun cadavere da identificare, assenza totale di dettagli erotici o di sfumature variamente colorate. Una lettura veloce, molto scorrevole e, soprattutto, un ottimo uso della lingua italiana. Eppure questo breve romanzo ti conquista dalla prima all’ultima pagina e il motivo è presto detto: ti fa riflettere.
Di storie sui viaggi alla ricerca di se stessi ne sono state scritte e lette a bizzeffe, certo, e chi è amante di questo genere può trovare in Tè bancha, di Alberto Beltrame, un nuovo pezzetto da aggiungere al complicato mosaico della consapevolezza oppure, molto più prosaicamente, ha un altro libro da riporre sullo scaffale dedicato al genere “letture spirituali”. Il libro, però, proprio per la sua scarna essenzialità consente anche a chi preferisce altri generi di letteratura di fermarsi un istante e di pensare.
I protagonisti principali sono due fratelli e, come spesso accade, non si potrebbero immaginare due persone più diverse. I due condividono una buona parte del loro patrimonio genetico e la loro famiglia di origine, ma per il resto ciascuno dei due ha seguito strade diametralmente opposte.
Il primo, Giovanni, è ben radicato in questo mondo, si è dedicato tutta la vita al dovere che l’azienda di famiglia gli ha imposto rimanendo nel solco della tradizione e fabbricando successo e denaro. Tommaso, invece, è partito alla ricerca del suo talento, il “daimon” e questo gli si manifesterà in tempi e modi che lascio al Lettore il piacere di scoprire.
Alla fine del romanzo mi sono chiesta quanto di Giovanni e di Tommaso ci sia nei miei sessantadue anni di esistenza terrena: ma forse questa vita non basterà a darmi una risposta. Leggete Tè bancha e ponetevi la stessa domanda e poi rimanete in ascolto. Potrebbe rivelarsi un’avventura molto interessante.
Grazie
Laura Naselli