Da sempre inseguo la creatività, elusiva e sfuggente come una farfalla in primavera, che non si lascia prendere, ma si posa di sua spontanea volontà sulla mia mano quando meno me l’aspetto.
E così, di esperienza in esperienza, di sogno in sogno, di incontro in incontro, ho scoperto di essere in buona compagnia nella mia ricerca: come me, molte persone cercano quella dimensione al contempo fertile e ombrosa in cui le idee migliori nascono e portano soddisfazione e gioia.
Credo che la creatività sia esperienza e processo, qualcosa che si vive e si sperimenta nella vita di tutti i giorni come risultato e anche come modo di essere e di arrivare a un certo risultato. Tutta la nostra persona è coinvolta nel processo creativo, che spesso dà più soddisfazioni del risultato, per quanto originale esso sia.
Essere creativi che cosa significa? Confesso che la mistica della creatività e del genio ha un certo fascino, ma non è sostenibile e spesso è distruttiva: nel momento in cui crediamo che solo alcuni eletti siano creativi, ci priviamo di un nostro diritto naturale e di una prerogativa spirituale.
E quindi, quando siamo totalmente assorti nel creare, un piatto speciale, un dipinto, una storia, una composizione floreale, un pezzo musicale, un video o qualsiasi altra cosa che amiamo, persino la nostra vita, stiamo usando la creatività. Non dico la “nostra” creatività, perché la creatività non ci appartiene, fluisce in noi e il nostro compito è di canalizzarla ed esprimerla in modo fattivo e concreto.
Per questo la creatività chiede di essere invitata attraverso pratica costante e dedizione alla nostra arte, ma oltre ciò, non possiamo sforzarci di essere creativi: sarebbe una contraddizione in termini e un ossimoro. Possiamo solo essere pronti ad accogliere la creatività quando ci viene incontro.
La nostra prima parola d’ordine, dunque, è “presenza”. Di che tipo di presenza si tratta? Consapevolezza, l’atto di rendersi conto e di essere ricettivi. Solo attraverso la ricettività possiamo vivere l’esperienza fisica, prima, e spirituale poi, della creatività, che è attività, pratica illuminata dall’intuizione e dalla devozione, dall’amore e dalla necessità di dedicarsi all’impresa creativa.
Se la creatività è un fare e un pensare, un vedere in modo diverso, è chiaro che è anche interazione con l’ambiente che ci circonda, con il nostro sé e con dimensioni transpersonali. La creatività è il punto d’incontro di sacro e mondano, di fisicità e spiritualità, e come tale è la prerogativa umana più affascinante e divina.
Ho sempre pensato che i limiti della creatività nella vita di tutti i giorni siano dovuti all’assuefazione in cui spesso ci adagiamo. Riconoscendo che la creatività ha molti aspetti e pratiche, che è esperienza, processo e tecnica, possiamo stimolarla ed esprimerla quotidianamente. Tuttavia, non possiamo mai svelarne il mistero, e questo è un bene, perché così continuiamo a ricordarci della sua origine numinosa.
Per essere creativi possiamo lavorare con l’immaginazione, le sensazioni e le emozioni. Infatti, usare tutti i nostri sensi, non solo la vista, che è il senso predominante nella cultura moderna, ma anche l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto. Attraverso la manipolazione di oggetti e materiali, scopriamo dettagli e sensazioni nuove, che ci danno emozioni nuove. Anche immaginare un evento, una circostanza, chiedendoci “che cosa succederebbe se…” e usando tutti i sensi, è un modo ottimo per invitare la creatività nella nostra vita.
Quando immaginiamo, non basta usare l’occhio interiore. Se così fosse, le persone che non sono particolarmente dotate di immaginazione visiva, avrebbero difficoltà insormontabili, ma non è così: possiamo immaginare con gli altri sensi, evocando suoni, sapori, sensazioni tattili. Personalmente sono cinestetica, per cui la mia immaginazione è molto stimolata dalle sensazioni tattili e dalla loro evocazione.
Ognuno di noi ha un canale sensoriale privilegiato, una sensibilità unica e, quindi, un’immaginazione del tutto particolare. Conoscersi da questo punto vista può aiutare a scegliere e a creare esercizi e meditazioni adatti a sé, così da sviluppare il senso della propria autoefficacia. La creatività è gioco, ma questa parola non è sinonimo di “non importante”.
Prendiamo spunto dai bambini, dalla serietà con cui si immergono nell’attività ludica. Sono consapevoli che stanno giocando, eppure in questo momento magico nulla è più importante e l’attenzione che dedicano al gioco è totale, indivisa, la concentrazione è massima. Direi che la creatività è un’integrazione divergente, quasi contro-intuitiva, di pensiero, intuizione, e incontro con l’ambiente circostante.
C’è un aspetto olistico, per cui il risultato creativo è più della somma delle componenti. Pensare di solito si traduce in associazioni casuali e distrazioni, oppure, all’altro estremo, significa ragionare in modo logico, con tutte le varianti intermedie. Eppure, la creatività sfugge a un approccio lineare o meccanico, e fiorisce nel pensiero inteso come intuizione e conoscenza profonde, non-lineari, della natura di un certo fenomeno. Spesso nasce dalla contemplazione, dall’osservazione senza pregiudizi di ciò che si presenta davanti ai nostri occhi o alla nostra vista interiore.
La seconda parola d’ordine, dunque, è “flusso”. Seguire il flusso della consapevolezza, osservare a mente chiara, e testimoniare le nostre emozioni nel momento in cui le sentiamo, equivale a meditare: non importa se siamo seduti in una certa posizione oppure stiamo passeggiando, o lavando i piatti. Quello che conta è riconoscere e coltivare questo stato di coscienza, perché è proprio coltivandolo che apriamo le porte interiori alla creatività.
Sempre, prima di scrivere o dipingere, mi raccolgo in un silenzio fecondo che mi regala la possibilità di ascoltare e tradurre, più o meno fedelmente, emozioni, sentimenti e visioni. Il pensiero può essere qualcosa di profondamente diverso dallo stato mentale di distrazione, confusione, ragionamento o calcolo, a cui siamo per lo più abituati. Il nesso fondamentale tra pensiero, voce e intuizione non è adeguatamente riconosciuto.
Quando sono assorta nel pensiero contemplativo, osservo situazioni e circostanze con cura, registro le emozioni che mi suscitano, e nel farlo penso ad alta voce. Così facendo, stimolo i centri energetici corrispondenti al quarto, quinto e sesto chakra: è un’ottima pratica per imparare a comunicare profondamente con il proprio sé e con l’ambiente, attraverso il riconoscimento, l’articolazione e l’espressione della propria voce interiore.
Succede allora che un pensiero diverso, vivo, intuitivo mi balena nella mente ed è l’inizio del processo creativo. Parlare ad alta voce, descrivendo e facendomi delle domande, mi consente di ascoltare: ascoltare le risposte che vengono dall’intuizione e dal Silenzio.
La terza parola d’ordine, dunque, è “ascolto”. Se volete, provate anche voi, e condividete le vostre esperienze con me o con persone che non ridano delle vostre bizzarrie. Attraverso la pratica costante della presenza e dell’ascolto, arriviamo a volte al contatto con la dimensione transpersonale, spirituale. Qui ognuno di noi sperimenta in modo unico l’universale. Tutto è paradossale, ineffabile eppure iper-reale, inesprimibile se non attraverso approssimazioni, eppure tanto incantevole da spingerci a tentare.
E le parole, le immagini, le storie, i suoni, come per miracolo, arrivano. Qui e ora il tempo non esiste, se non come tempo dilatato dell’immaginazione e lo spazio si espande all’infinito: anche se non possiamo percepirlo con i sensi, lo sentiamo, lo intuiamo, e ci sentiamo finalmente parte dell’universo. Le storie che portiamo con noi al ritorno da questo viaggio antico e sempre nuovo, sono imbevute di bellezza e nostalgia, il che ci spinge a intraprendere il cammino più e più volte ancora.
Sono questi brevi momenti, fugaci come una farfalla, a darci fiducia.