Queste parole le sento dentro più del sangue che mi circola nelle vene, da quando qualcosa di speciale si è sprigionata dal mio cuore in una consueta domenica di qualche anno fa. E se le sento io che sono semplicemente chiunque, è meravigliosamente ineluttabile che una nuova coscienza stia emergendo spontanea ed irrefrenabile. Dico questo perché non mi chiamo Osho o Krishnamurti o Paramahansa Yogananda. Il mio nome potrebbe essere Giovanna, o Antonella o Francesca o Fabiola… Ecco, Fabiola, mi hanno chiamato così in un giorno di maggio, in assoluto il primo della mia presente vita.
Fabiola è la più semplice delle persone, la più terrena. Quella che ha sempre vissuto in balìa delle emozioni più devastanti e della nostalgia più struggente; quella sistematicamente dominata dagli slanci del cuore costantemente soffocati dalla ragione; quella del senso del dovere all’ennesima potenza; quella che ha sempre cercato di barcamenarsi tra le ferree regole umane del GIUSTO e dello SBAGLIATO marchiate indelebilmente sulla vita come quando a scuola, negli anni Sessanta, qualcuno faceva stridere il gesso sulla lavagna scrivendo le parole BUONI e CATTIVI divise da una linea tracciata sull’esatta metà dello spazio a disposizione.
Eppure, in un giorno qualunque di una vita come quella di tutti, Fabiola si è chiesta improvvisamente cosa ci faceva dentro una realtà ove correva ogni giorno insieme ad un perché apparentemente evidente e drammaticamente scontato. Si è fermata così di botto, superata da un fiume prorompente di gente cieca, sorda, indifferente al suo arresto, ed è uscita dagli argini laterali per osservare con attenzione, per la prima volta, tutto ciò che le si disegnava intorno, molto lentamente, con gli occhi più grandi di come mai avesse avuto. E, sentendosi per un tempo imprecisato come distaccata da qualsiasi razionale definizione di se stessa e del mondo che in quel momento la circondava, inconsapevolmente in contatto con la parte più profonda di sè, si è chiesta semplicemente: “Chi sono?”
Da giorni, dalla domenica da poco trascorsa, sentiva come una specie di vertigine, un senso di smarrimento, anche se probabilmente era esattamente il contrario e per la prima volta stava per ritrovare il giusto sentiero. Fu una scintilla a provocare quello strano giramento alla testa, una fugace fiammella che per un attimo le aveva illuminato la maniglia di una porta da aprire: una lezione di fisica quantistica ascoltata per caso, navigando su internet. Una frase, un titolo interessante ed un click con il mouse.
Era sempre stata lì Fabiola, nell’angolino in cui si trova la sua vita di tutti i giorni, negli spazi ove si muove da sempre circondata da un’umanità convinta come era lei, che tutto è così come appare e reale come ci sembra, come ci hanno detto. Che le cose hanno un nome e che sono belle o brutte, buone o cattive, giuste o sbagliate. È così che le definiamo e le giudichiamo secondo ciò che ci è stato insegnato, disegnandoci una realtà, dentro cui siamo, che non sappiamo veramente com’è perché crediamo che sia come ce l’hanno presentata e la diamo per scontata, senza porci domande rendendo quindi vano ed insignificante il senso delle nostre azioni e mai immaginando che la verità ha tutta un’altra logica.
Quella domenica rimasi folgorata dall’ormai famosissimo esperimento della doppia fenditura, ove i fisici si aspettavano che gli elettroni lanciati come biglie si muovessero come tali e così accade. La cosa strabiliante però fu per me venire a conoscenza del fatto che essi, quando non sono osservati, si comportano come onde. Le parole che ascoltai mentre veniva esposto dettagliatamente questo concetto, riecheggiarono dentro di me producendo una strana intuizione per nulla ben definita, che poco chiariva ed apparentemente niente cambiava, eppure, sembrava incrinare la mia idea di realtà fino a quel momento percepita. Mi guardavo intorno e vedevo i soliti colori e le medesime forme, ma qualcosa mi turbava: li osservavo con la sensazione che nulla è come appare. Cominciai a seguire conferenze di fisici come Massimo Teodorani, Vittorio Marchi ed altri, che spiegano, con competenza e chiarezza, quanto fisica quantistica e spiritualità viaggino parallele ognuna sul proprio binario verso la medesima stazione d’arrivo.

Di sicuro mi sentii un po’ sola inizialmente, e quando, ad alcune tra le persone che frequentavo, raccontavo l’esperimento, la risposta era sempre la stessa: “Ok va bene e allora? Si va beh ma questo che cambia? Io domani andrò al lavoro, timbrerò il cartellino, mi arrabbierò comunque con qualcuno, verso sera con la stanchezza solita dovrò fare la fila alla cassa del supermercato per provvedere alla cena…” Possibile che solo io trasecolai ascoltando quella famosa esperienza scientifica? Possibile che, nonostante anch’io avessi fatto la fila al supermercato il giorno dopo, sentissi, senza poterlo razionalmente spiegare neanche a me stessa, che qualcosa era cambiato persino tra i carrelli della spesa? Ma poi era veramente mutato qualcosa? Si chiedeva nonostante tutto la mia parte più razionale, da sola o per mezzo dei miei conoscenti che le davano voce; e spesso mi tirava a sé trascinandomi in totale disarmonia interiore. Si comunque, qualcosa era cambiata. Sicuramente il fatto che ormai era diventato impossibile non farmi domande; insostenibile la convinzione di essere soltanto ciò che i nostri sensi ci possono far percepire; inconcepibile che la nostra esistenza sia un caso ed assolutamente plausibile il fatto che siamo molto più di quel che crediamo di essere e che chiunque di noi (visto che è successo anche a me) può intuirlo nonostante la cecità a cui apparentemente siamo costretti.
Intanto però continuavo ad essere altalenante tra cuore e ragione. Vivevo la normalità di tutti i giorni più o meno come sempre ed a momenti cominciavo a prestare attenzione a cose in passato da me molto trascurate. Iniziavo a notare come la vita in un certo senso sembrava parlarmi attraverso gli accadimenti anche se non ero ancora del tutto capace di ascoltarla profondamente. Un giorno, accadde qualcosa di incredibile secondo il mio punto di vista di quel tempo, direi magico ormai con gli occhi di adesso, considerando la magia una cosa normale o la normalità una magia se riesci a coglierla in essa. Mi capitò di leggere la teoria di qualcuno che asseriva che potremmo interagire in maniera attiva col nostro inconscio semplicemente ricordandoci, mentre stiamo sognando, di chiedere ai personaggi che incontriamo il perché sono lì e cosa in realtà ci vogliono dire: volli provare.
Inizialmente lo feci senza tanta convinzione ritrovandomi come al solito sempre a fare i conti con la mia zona mentale: come posso credere di poter interagire volontariamente in un sogno ponendo domande così importanti e soprattutto ricevere una risposta altrettanto profonda? E poi, mentre dormi… ma chi si ricorda! Non ci riuscirò mai. Prima di addormentarmi tuttavia, mi ripromisi più volte, quasi per gioco, di interrogare i protagonisti che avrei incontrato e devo ammettere che, con uno stupore che mi fece girar la testa per tre giorni, così accadde.
Sognai di camminare in esterno e vidi, o almeno credetti di vedere, la mia collega Lidia, ne riconobbi la fisionomia, il viso ed i suoi capelli neri lunghi e scalati. Mi ricordai subito dei miei propositi, andai verso di lei e le chiesi direttamente: “Come mai sei dentro il mio sogno?”
“Così, volevo stare un po’ con te” mi rispose.
“Si ma perché sei qui? Cosa vuoi dirmi?” insistetti.
“Guardami” disse dolcemente sorridendomi. “Io non sono Lidia, guardami bene”.
Effettivamente in quel momento esatto mi accorsi che non era lei, il suo viso era diverso ed a me sconosciuto, eppure pochi istanti prima ero così certa del contrario! Cominciai a sentire delle gocce di pioggia e pensai che non volevo farla bagnare a causa delle mie domande, poi però mi ricordai di qualcosa e le dissi: “Ma è un sogno, non possiamo bagnarci in verità” e lei confermò annuendo con un sorriso dolcissimo.
A quel punto vidi un gruppo di ragazze sconosciute più in là ed andai direttamente da loro. Mi rivolsi ad una di esse, quella bionda, con le stesse domande poste all’altra poco prima, mentre cominciava a camminare per avviarsi da qualche parte. Quando le chiesi, seguendola, cosa volesse dirmi con la sua presenza nel mio sogno, rispose di tutta fretta attraversando un uscio che delimitava la strada in cui ero io da quella che stava per intraprendere lei e disse: “Osserva, osserva e osserva la realtà.”
“In che senso? Che vuoi dire?” chiesi tentando di seguirla oltre quella soglia e lei, facendomi capire con un cenno che non potevo attraversare quel limite, ancora una volta ripeté: “Osserva e osserva la realtà” e mi chiuse definitivamente il passaggio tirando a sé la porta e scomparendo dietro di essa.
Mi svegliai incredula per ciò che mi era accaduto, ma il significato mi sembrava chiaro: una parte più consapevole di me mi invitava a non rimanere in superficie, ma a vedere con attenzione la realtà per non essere ingannata da uno sguardo frettoloso. Così mi era accaduto con il volto di quella donna mora che credevo ciecamente appartenesse alla mia collega Lidia ed invece, attraverso il suo richiamo all’attenzione, immediatamente notai che si trattava di qualcun altro. Era un messaggio, un suggerimento, un aiuto. E da parte di chi se non di qualcuno che mi conosce in maniera viscerale? E chi può sapere più di Fabiola ciò che mi riguarda così profondamente? Ovviamente Me, il mio vero me. Quel che con una parte di sé, l’anima, attraverso Fabiola vive ancora una volta l’esperienza nella vita dei sensi e delle emozioni; quel che al di fuori di questa realtà terrena è il mio Se più consapevole, quel che conosce radicalmente il motivo per cui sono qui: il mio Sé superiore.

Dopo questo episodio, riuscii piano piano ad entrare in contatto più diretto con quel Me di cui qui è solo una parte ed è un dialogo straordinario che mi aiuta, ormai da tempo, a capire il significato delle cose che mi accadono in quanto esse sono in relazione con il perché sto vivendo la mia attuale esistenza. Questa comunicazione mi ha anche insegnato a stravolgere il senso che noi diamo ad ogni cosa, perché tutto ha un’altra logica.
Ho imparato a riconoscere la magia della vita dal momento in cui ho capito che quest’ultima ci parla in continuazione e che è dalla nostra parte sia che porti con sé gioia, sia dolore, poiché conosce la ragione per cui siamo qui ed ogni cosa che accade è finalizzata alla realizzazione di ciò, attraverso una comprensione profonda. Di conseguenza, ho capito cos’è la gioia interiore e che si distingue da quella che siamo abituati umanamente a concepire dal fatto che mai può arrivare da qualcosa o qualcuno di esterno a noi e che mai si contrappone al dolore ma anzi lo comprende. Ho intuito che nulla succede per caso ed è per ciò che le persone che arrivano nella nostra vita, per un momento, un’ora, alcuni anni o fino alla fine, ci sono, anche se inconsapevoli, con uno scopo ben preciso. E sia che ci facciano soffrire sia che ci donino serenità, sono comunque qui per aiutarci a portare a termine quello per cui siamo nati.
Attraverso quest’ultimo concetto, ho anche imparato profondamente il valore delle parole “assenza di giudizio” essendo quindi chiaro che ognuno nasce per percorrere il proprio cammino e nuota in questo mare come me per imparare qualcosa. Ora so anche che è per tutti questi motivi che non può esistere una verità assoluta e che ciò che il singolo vive nel presente, può essere irrilevante per un’altra anima che ha cose diverse da sperimentare e quindi, ogni aiuto che arriva dal proprio Sé superiore vale solo per se stessi.
Ho compreso che non sarà la ragione a sollevarmi da quel che pesa in me come la zavorra all’interno di una mongolfiera perché, anche se ora, attraverso l’aiuto del mio Sé, ho capito qual è la sua causa, a nulla servirebbe impegnarmi con fatica per adottare il comportamento che razionalmente so essere quello ideale per il mio vero bene. Saperlo è un grande passo avanti, significa averlo inteso, potermi osservare un po’ distaccata quando agisco istintivamente in balìa di esso, ma, una consapevolezza profonda mai nasce da un ragionamento o da uno sforzo, essa viene dal cuore e quando arriva non te ne accorgi nemmeno, stai bene senza chiedertelo semplicemente perché quel peso non lo senti più.
Mai avrei compreso tutto ciò se questa comunicazione aperta con il mio Sé superiore non mi avesse indotto a tirarlo fuori ed a vederlo chiaramente, e quel che mi accade è pazzesco, straordinario, magico e lo stupore mi rapisce poiché io… non mi chiamo Osho o Krishnamurti o Paramahansa Yogananda. Il mio nome potrebbe essere Giovanna, o Antonella o Francesca o Fabiola… Ecco, Fabiola, mi hanno chiamato così in un giorno di maggio, in assoluto il primo della mia presente vita.