Una storia potente
Una sorta di nuovo Siddharta
All’età di nove anni James vede morire in un tragico incidente l’amica Sarah. Una morte di cui si sente responsabile e il cui ricordo lo inchioda anche ora che è un brillante professore universitario. Finché un giorno, come spinto da una voce interiore, decide di mollare tutto e partire per il South Dakota, determinato a raggiungere il Crazy Horse Memorial, il monumento a Cavallo Pazzo. Arrivato a destinazione, si imbatte in Wanbli Cante, un medicine man lakota.
Sotto la guida di Wanbli Cante e attraverso un lungo apprendistato James compirà una vera e propria discesa dentro se stesso e finirà per ritrovare Sarah, anche se non gli sarà facile riconoscerla a prima vista. Ma finirà anche per scoprire molto di più…
Enzo Braschi fa ricorso agli ingredienti del classico “road movie” arrivando a fondere magistralmente numerosi generi: dal thriller psicologico al romanzo d’avventura, dal romanzo di formazione a quello di anticipazione.
Prologo
Nella bellezza io cammino
Là dove il sole nasce
Nella bellezza io cammino
Là dove il sole compie il suo viaggio
Nella bellezza io cammino
Là dove il sole va a morire
Nella bellezza io cammino…
Tutto intorno a me la terra è bellezza
Nella bellezza io cammino.
Canto Yebechi (Navajo)
Stato del Colorado (USA), 4 giugno 2005
Aspirò avidamente un’ultima boccata di fumo. La brace era rovente e il fumo gli arse il palato, una lama che gli trafisse la gola e si conficcò nei polmoni. Fece uscire il fumo di bocca fissando il soffitto, poi lasciò cadere il mozzicone nel water.
Al contatto con l’acqua la brace sfrigolò per un breve istante, il mozzicone galleggiò.
Tirò la catena.
Da quanto stava chiuso in bagno? Guardò l’orologio. Le dieci e trenta di una mattina come tante altre, ma non era una mattina come tutte le altre. Si ricordò che non aveva guardato l’ora al momento di chiudersi in bagno e che prima di accendersi la sigaretta aveva trascorso un po’ di tempo a pensare, la schiena appoggiata alla parete di mattonelle verdi.
Il detersivo con cui pulivano i cessi aveva l’odore di chewing gum. Pensò che dovevano fare davvero bene il loro lavoro, perché aveva visto Frank chiudersi in bagno prima di lui e sistemarsi i pantaloni uscendone. Segno che Frank l’aveva fatta. Eppure quando era entrato lui, nel cesso non c’era puzza. Fantastico.
Era una splendida mattina di giugno, con un bel sole caldo che preannunciava un’estate di quelle come piacevano a lui, con cieli senza nuvole e notti fatte di birre gelate e feste e rock’n’roll e tutte quelle belle fighette da scopare sull’erba al chiarore della luna. Eppure non era una mattina come tutte le altre. Gli avevano appena consegnato la pagella coi risultati dell’ultimo trimestre. Quattro materie da riparare, di cui due con un voto così basso che non gli sarebbe bastata l’intera estate chino sui libri.
– Fanculo Matematica e Fisica – disse tra i denti picchiando il pugno contro il muro. Non gli entravano in testa Matematica e Fisica, tutto lì. Aveva anche provato a studiarle con impegno ma non c’era stato nulla da fare: i compiti in classe erano ogni volta uno schifo e durante le interrogazioni non aveva spiccicato che un paio di parole in croce.
– Fanculo Matematica e Fisica – ripeté con rabbia.
“Perché poi uno dovrebbe studiare cose di cui non gli frega un cazzo? Finito il liceo mica voglio fare l’ingegnere o l’architetto o il ragioniere di banca!” pensò. “Per non parlare poi dei professori. Se devono fare i loro fottuti corsi d’aggiornamento e si assentano da scuola magari per un mese è tutto ok, ma se perdo un paio di giorni io perché m’è venuto il colera mi riempiono di compiti a casa anche la domenica. Si fottano tutti, i professori!”
A lui piaceva suonare la chitarra e il suo sogno era quello di metter su una band tutta sua e di fare rock duro e blues “tirato” come si deve e urlare dentro un microfono fino a restare senza fiato che ne aveva abbastanza di quella vita senza senso.
Famoso. Voleva diventare famoso. Uno che lasciasse il segno. La strada. On the road fino alla fine, a sbattersi con la sua band. Che poi i suoi giorni sarebbero stati quelli di una vera “rockstar”: intensi, folgoranti, una candela che avrebbe bruciato da entrambi i lati.
Matematica, Fisica, Chimica e Scienze.
“Che cazzo me ne frega del sodio, della silice o del potassio… o della capitale delle Filippine o di quanto è grande la Siberia e cosa produce? Gulag, produce, e poveri scemi che ci sono marciti dentro all’epoca dei Soviet!”
– Fanculo i Soviet, Lenin, la Rivoluzione d’Ottobre e tutti quei coglioni che volevano cambiare il mondo! – ringhiò con uno sguardo affilato. Poi pensò che il mondo non sarebbe mai cambiato e che la vita era una gran fregatura.
Fece un’ultima cosa: si calò la zip dei pantaloni, pisciò e tirò lo sciacquone, quindi uscì dalla toilette.
Si ritrovò nel corridoio della scuola. Il corridoio era deserto. Aveva ancora due ore di lezione, ma per quel che lo riguardava la cosa per lui era bella e finita. Avrebbe lasciato i libri sul banco. Aveva in mente ben altro che raccogliere degli stupidi libri che non gli servivano a niente. Sarebbe uscito dalla scuola, sarebbe salito sul solito autobus di tutti i giorni e sarebbe tornato a casa, quasi tre ore in anticipo rispetto a sua madre e a suo padre.
Aveva preso la sua decisione e avrebbe avuto tutto il tempo necessario per fare le cose per bene.
Richard aveva sedici anni, era alto un metro e settantadue e pesava sessanta chili, le ginocchia così aguzze da strappare i jeans, un paio di cosce secche, i capelli tirati su col gel, gli occhi appesi a un sogno e guance scavate.
L’autobus superò l’incrocio fra la Madison e la Newcastle. Il traffico lì era incasinato a tutte le ore.
Richard lanciò un’occhiata oltre il finestrino. Il Music Store, il negozio di strumenti musicali dove aveva comprato la sua Fender Stratocaster rossa del ’79, aveva messo in vetrina una scintillante Rickenbacker nera con battipenna bianco, Modello John Lennon. Il cartello del prezzo diceva: “1968. Milleduecento dollari. Vera occasione!”
Richard s’illuminò. “Cazzo! Bella da morire!”
La Rickenbacker svanì, cancellata da un pick-up verde ramarro tutto scassato con un grassone alla guida col cappello da cowboy.
L’autobus si immise sulla Lincoln. Sfilarono la ciminiera della vecchia cartiera abbandonata e il lungo edificio a due piani con tutti i vetri rotti. Si rammentò di una gara fatta con Terry e Philip, una sera di luglio dell’anno prima, una mano su un occhio per vedere chi aveva più mira. Lui ne aveva rotti dodici di vetri. E avevano anche bevuto parecchie birre quella sera. Memorabile.
Fu poi la volta della fabbrica di zucchero di mattoni rossi che marciva da più di dieci anni, e dell’antica segheria McCormick – Established in 1889, definitivamente chiusa dopo l’ennesima crisi economica, con le rotaie del treno arrugginite e l’erba alta fin sopra le ginocchia. E del distributore di Otis, con le pompe così sgangherate da sembrare lugubri spaventapasseri, e del ristorante Clark’s Recipes distrutto da un incendio, e della McGovern Farming Equipment annegata in un mare di debiti…
Com’è che era bruciato il Clark’s Recipes? Ah, sì, gliel’aveva raccontato sua madre. Lui era piccolo e quella fu un’estate che tutti ricordavano ancora come la più torrida a memoria d’uomo, e a un tratto, dal niente, sbuca quest’autocisterna piena di liquido infiammabile che si capovolge per evitare una macchina che le aveva tagliato la strada, e il liquido infiammabile schizza fuori dalla sua grossa pancia squarciata e si rovescia sul campo di mais vicino al ristorante e entra anche nel ristorante e poi il liquido prende fuoco. Bum! Una bomba! Un mare di fiamme che avevano reso l’aria ancora più irrespirabile. La gente si rammentava ancora di avere visto i camerieri precipitarsi fuori dal ristorante con gli abiti e i capelli in fiamme, e delle urla di raccapriccio, e dell’arrivo dei vigili del fuoco e delle ambulanze con le sirene che laceravano l’aria infuocata. Un vero inferno. Richard a quell’epoca era solo un bambino, eppure quel che restava di Clark’s Recipes stava scorrendo ancora una volta davanti ai suoi occhi, uno scheletro senz’anima, un albero pietrificato dai neri rami contorti, erbacce ovunque.
Il mais, da allora, non era più cresciuto nel campo e di Clark nessuno sapeva dire che fine avesse fatto.
Richard considerò che metà della sua città era divorata da un passato che l’azzannava alle spalle, e che anno dopo anno era cambiato in peggio il volto del suo mondo di quand’era bambino, l’età in cui i colori erano veramente colori e i giorni erano intessuti di musica e tutti gli sorridevano per strada e c’era un perché in ogni cosa e il domani era un altro giorno, con tante cose meravigliose da scoprire.
Anche lui era divorato dai pensieri. I suoi genitori erano quanto di meglio un figlio potesse avere e lo amavano sopra ogni cosa e non gli avevano mai negato nulla. La Fender Stratocaster e l’amplificatore Marshall erano stati il loro regalo di Natale e Richard aveva toccato il cielo con un dito.
Sapeva che i suoi genitori si aspettavano che passasse brillantemente l’anno scolastico. Il padre gli aveva promesso di lasciarlo andare in campeggio col resto della classe sulle Montagne Rocciose se fosse stato promosso. Ma lui gli aveva mentito. Aveva mentito giurandogli che a scuola tutto andava a gonfie vele e che i professori erano contenti di lui. Aveva falsificato la firma di suo padre sulla pagella per i primi due trimestri perché, al contrario, i voti erano scadenti. E ora il preside voleva parlare con suo padre. La verità sarebbe venuta a galla. Conosceva lo sguardo di suo padre, avrebbe visto in quello sguardo tutta la delusione per aver tradito la sua fiducia. I nodi venivano al pettine.
Come ogni giorno l’autobus lo lasciò all’imbocco di Aspen Boulevard, dove abitava al numero 23. Le villette si succedevano le une alle altre, i giardini con l’erba perfettamente rasata traboccavano di rose, gladioli, azalee. Il viola dei glicini spioveva dai muri fino a terra. Lungo entrambi i lati del boulevard le foglie degli alberi tremavano al vento di giugno mostrando due facce, quella verde e quella argento. I pioppi parlavano col vento, il vento sommessamente vibrava le sue risposte a chiunque avesse avuto voglia di ascoltarle.
Richard entrò nel garage. Fra poco più di due ore sarebbero arrivate la Toyota di sua madre e la Saab nera di suo padre.
Lungo la parete di destra ritrovò l’amplificatore Marshall da duecento watt e la Fender Stratocaster rossa ai suoi piedi. Tirò giù la porta del garage, girò la maniglia chiudendosi dentro e accese la luce. Accanto all’amplificatore c’erano la panca e i bilanceri che usava per fare ginnastica. Anche quegli attrezzi erano un dono dei suoi genitori. Si avvicinò all’amplificatore, afferrò la chitarra, se la mise a tracolla e accese il potente Marshall che emise uno schiocco metallico. Pizzicò le corde della chitarra, la accordò con cura, e attaccò col riff di “Satisfaction”, il glorioso cavallo di battaglia dei Rolling Stones, sul quale iniziò a cantare: “I can’t get no satisfaction… I can’t get no satisfaction… and I try and I try and I try and I try… I can’t get no… I can’t get no, I can’t get no… satisfaction, no satisfaction, no satisfaction…” […]

Enzo Braschi dopo la laurea in Filosofia con una tesi sulla spiritualità dei Nativi americani delle Grandi Pianure, si dedica al mondo dello spettacolo divenendo un apprezzato attore televisivo e cinematografico. Autore di vari documentari sugli Indiani d’America, dal 1996 al 2003 prende parte alla Danza del Sole – la cerimonia più sacra dei Nativi – fra i Lakota di Cheyenne River e Rosebud. In seguito a una visione riceve il suo nome indiano, “Bisonte Che Corre”, dal capo della Nazione Blackfoot Rufus Goodstriker. Qualche tempo dopo, dall’apache Danny “Many Horses” Rael riceverà il suo secondo nome: “Uomo il Cui Spirito si Solleva al di Sopra delle Nuvole”.
Ha pubblicato, fra gli altri, Il popolo del Grande Spirito, Sono tra noi, Il cerchio senza fine (Mursia), Vicini alla creazione e Figli del tuono (Idea Libri), Di terra e di luce e 2012 l’anno del contatto (Barbera edizioni). Per Verdechiaro Edizioni ha pubblicato 2013 L’alba della Nuova Era, La conoscenza segreta degli Indiani d’America, Mi chiamo Bisonte Che Corre (2015), Oltre (2019), La dea dei golosi (2021), L’ultima donna (2021) e oggi Di terra e di luce (2022).
Un Commento su ““Di terra e di luce – romanzo””
Grande viaggio iniziatico. Enzo come sua natura riesce ad arrivare direttamente all’anima. E’ stato anche un onore incontrarlo di persona durante i suoi seminari e i suoi libri confermano sempre la sua grande umiltà e grandezza. grazie ancora. Federico Cambiati, Reggio Emilia.