COEDIZIONE VERDECHIARO-NEXUS
Leonardo e il segreto dei Magi
Quali sono i segreti nascosti nella famosa raffigurazione dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci? Chi ha tradito Gesù e perché?
Dopo la mappa astronomica scoperta sulla più antica scena completa del Presepe (recensita anche da giornali e tv nazionali), l’autore realizza un nuovo studio sull’Ultima Cena di Leonardo. Dieci le particolarità individuate: specifici numeri e simmetrie nell’impianto scenico; una tripletta di apostoli del tutto disallineata rispetto alle altre; la mano sinistra di Pietro non chiede a Giovanni il nome del traditore ma indica un altro apostolo che non è Giuda; un astro ignoto illumina lo sfondo della scena; e molto altro ancora. Tutti elementi che, uniti tra loro, compongono il codice di un preciso messaggio.
Un libro per tutti coloro che, credenti o non credenti, amano la ricerca della verità e vogliono saperne di più sulla misteriosa figura di Leonardo e su una condanna, quella di Gesù, che ha cambiato la storia.
PRESENTAZIONE
NOTE INTRODUTTIVE
PREMESSA – LA SAPIENZA, IL COSMO E L’UOMO
I – LA TRADIZIONE DEI MAGI
1.1. Le origini
1.2. Il ritorno alle origini
1.3. I Rosacroce e il cristianesimo originario
II –I MAGI E IL SEGRETO DELLE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO
2.1. La Stella del re dei giudei
2.2. Il Crismon e la Stella Ebraica
2.3. Il magico Sator
2.4. Il sigillo messianico della Chiesa di Gerusalemme
2.5. La decifrazione della “stele di Boville”
2.6. L’identità dei Magi di Gesù e il loro titolo di re
2.7. Annunciazione e incarnazione: la vera nascita
2.8. La Porta dei Magi e Rennes-le-Château
III – INRI: IL VERO MOTIVO DELLA CONDANNA DI GESÙ
3.1. Verità in codice e verità esplicite
3.2. Gesù sacerdote dell’aristocrazia del tempio
3.3. Gesù Nazareno Re dei Giudei
3.4. Una condanna religiosa
3.5. La grande questione teologica che divise i giudei
3.6. La data della crocifissione e l’errore del calendario Giuliano
3.7. Un’esecuzione rituale nel giorno più sacro
3.8. La Chiesa dell’Impero romano
IV – LA MISSIONE DI LEONARDO A MILANO
4.1. I Medici, Leonardo e il progetto ermetico
4.2. L’arrivo di Leonardo a Milano
4.3. Le città del Sole: rivoluzione ermetica o copernicana?
4.4. Il tempio del Sole di Ludovico il Moro
V – LEONARDO E IL SEGRETO DEI MAGI
5.1. La tradizione dei cenacoli e la novità di Leonardo
5.2. Il gesto di Giuda
5.3. L’identità di Giovanni
5.4. Il momento e la geometria della scena
5.5. La tripletta fuori dalle regole
5.6. La postura egiziana di Pietro
5.7. L’uomo che accusa
5.8. L’apostolo che si difende
5.9. Il dubbio di Filippo
5.10. Una fonte di luce ignota
5.11. I «moti de’ muti»: espressioni e gesti dei personaggi
CONCLUSIONI – L’IDENTITÀ DI LEONARDO
BIBLIOGRAFIA
Sitografia
Abbreviazioni bibliche
Presentazione
L’Ultima cena di Leonardo da Vinci è senz’altro uno dei capolavori più affascinanti che l’arte italiana abbia mai prodotto. Almeno per me, ma credo per molti, quest’opera non è come tutte le altre rappresentazioni religiose, ha qualcosa di diverso, di inafferrabile che ci attira e ci inchioda ad ammirarla, un po’ come la Gioconda, ritratto di donna che però, a differenza delle altre, ha un fascino segreto che molti da tempo cercano di scoprire.
E così questo nuovo studio di Teodoro Brescia non mi meraviglia, né mi ha meravigliato al momento in cui me l’ha esposto per coinvolgermi, ancora una volta, in un’appassionate caccia all’indizio simbolico, all’ipotesi audace, che prima emerge come incredibile, per poi affermarsi limpida quanto apparentemente ovvia.
Così un capolavoro d’ìmpari bellezza si trasforma nell’affascinante mappa di una disputa teologica che ha determinato la storia religiosa e politica di oltre due millenni. Come non lasciarsi catturare da un affastellarsi di dettagli apparentemente privi di significato, che acquistano via via, sotto la lente dell’antropologo esperto, una valenza simbolica evidente se osservati sotto una luce diversa, con mente aperta e indagatrice come quella dell’Autore.
Così gli apostoli rappresentano forme e posizioni geometriche e stellari che esprimono concetti forti come l’affiliazione o meno di Cristo alla Trinità, a Dio Padre, il tradimento di Giuda come logica conseguenza di una lotta tra il Bene e Male, tra schiere di eletti e reietti, in una storia che è iniziata prima di Cristo e non ha trovato, ancora oggi, una fine.
Rimane, per ora, un’unica possibile incertezza in questa decifrazione: l’astro novo, la stella o la meteora apparsa per breve tempo illuminando a giorno il cielo. Forse Leonardo l’ha davvero voluta rappresentare in un gioco di colori tra la luce che illumina la stanza e la finestra sul fondo che induce a pensare a un tramonto. Difficile a dirsi, certo è che un bolide che attraversa il cielo può senz’altro illuminarlo intensamente, fino a trasformare per un istante la notte in giorno. Leonardo, fine intenditore anche di scienze naturali, potrebbe non essersi fatto sfuggire questo chiarore di stella. Difficile a dirsi, come affermavo, ma sicuramente nello stile del genio di Vinci.
Questa nuova ricerca di Teodoro Brescia s’inserisce così in un continuum logico storico, in un percorso che l’autore continua a tracciare nei suoi libri, seguendo la pista di indizi nascosti nelle opere di uomini di conoscenza, partendo dapprima dal cielo per arrivare poi alle mappe che lo rappresentavano, nascoste in opere d’arte come il sarcofago di Boville e ora l’Ultima cena. Una ricerca che somiglia a un romanzo, che sorprende a ogni nuovo indizio, che tiene con il fiato sospeso pur trattandosi di realtà e non di finzione letteraria. Un percorso che ci permette di comprendere meglio una storia ufficiale che lascia con molti punti interrogativi chi è abituato a porsi domande.
Teodoro Brescia offre una chiave di lettura difficile da non condividere, perché basata su evidenze, su un lavoro di ricerca meticoloso e scientifico che sinora sembra aver prodotto un quadro molto chiaro e di grande solidità.
Emanuele Pace
(Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Polifunzionale del Chianti e docente di Laboratorio di Astrofisica all’Universita di Firenze.)
I
La tradizione dei Magi
Dalle origini al Rinascimento
Erano detti Magi dai Persiani coloro che gli Ebrei
chiamavano scribi, i Greci filosofi e i latini savi.
(Ludolfo di Sassonia, XIV sec.)
1.1. Le origini
L’antichissima tradizione dei Magi (magusèi in aramaico), sapienti studiosi delle stelle e dai poteri prodigiosi, ha radici orientali (e origini prediluviane, secondo i miti). Comunemente siamo stati abituati a collegarla all’episodio della “stella cometa” alla nascita di Gesù e a farla risalire alla cultura persiana (fig. 1), facendo riferimento ai racconti di Erodoto1 (V sec. a.C.) ritenuto il più antico storico greco.
«Il termine magi (magoi), nelle relative fonti, ha una notevole gamma di significati, che si estende da un senso molto positivo fino ad uno molto negativo»2, sempre inerente la dimensione del sacro. In realtà, ha «quattro significati principali»3, uno solo dei quali è negativo: casta sacerdotale; rappresentanti della religione autentica; dotati di saperi e poteri sovrannaturali; seduttori e imbroglioni. Fattezze e abiti con cui vengono da sempre rappresentati lasciano appunto intendere che i Magi fossero iniziati ad una tradizione orientale. Anche «oro, incenso e mirra» (Mt 2,11), che essi offrono a Gesù, sono ritenuti doni sacri tipicamente orientali. Nei miei primi studi4 ho ritrovato le più remote tracce della tradizione dei Magi nella millenaria cultura cinese taoista. La Rivelazione dei Magi5 – un manoscritto in siriaco antico dell’VIII sec., ritrovato negli Archivi Vaticani – conferma che quella tradizione origina dallo Shir, la Cina antica.
Di certo, «l’interrogazione sapienziale degli astri lega tra loro praticamente tutti i popoli, tutte le religioni, tutte le epoche. Africa, Asia, America precolombiana, mondo islamico, buddhista, confuciano, animista, induista, taoista […]. Non c’è tradizione che ignori quell’arte o conoscenza che fu dei Magi […], una prospettiva condivisa in modo universale»6. In altri termini, la tradizione dei Magi, seppur originaria dell’Oriente, si è diffusa poi nel mondo intero: dalla Cina all’Egitto, dalla Persia ad Israele, dalla Grecia a Roma, ecc. È un “filo rosso” che unisce le maggiori filosofie e religioni della storia, ebraismo e cristianesimo compresi. Ludolfo di Sassonia (1295-1377), nell’opera Vita di Cristo, pur convinto ormai che si trattasse di sapienti pagani scrive che «I tre re […] vennero chiamati Magi non perché fossero versati nelle arti magiche, ma per la loro grande competenza nella disciplina dell’astrologia. Erano detti Magi dai Persiani coloro che gli Ebrei chiamavano scribi, i Greci filosofi e i latini savi»7.
In sintesi, lo sostengono ormai molti studiosi, anche “i Magi di Gesù” non erano pagani venuti dal lontano Oriente, come ancora siamo abituati a credere, ma ebrei (per meglio dire giudei, cioè appartenenti all’aristocrazia del Tempio), probabilmente esseni, che osservavano i segni del cielo vivendo in modo ascetico sui monti. C’è infatti chi sostiene che appartenessero a «colonie mazdee, situate anche in zone vicine alla Palestina e dedite agli studi astrologici […]. Tutto questo rende plausibile l’ipotesi che i Magi provenissero da simili gruppi di credenti, i più vicini al monoteismo giudaico»8; e c’è chi «ha reso [anche] molto più “domestici” i Magi considerandoli come membri esseni, quella setta giudaica nota soprattutto per il suo monastero di Qumran, posto sulle rive del Mar Morto: essi infatti si interessavano moltissimo di “oroscopi” messianici e nei loro scritti i doni dei Magi sono citati assieme al simbolo della stella del Messia»9. In effetti, «fra gli ebrei dell’epoca era viva la preoccupazione di determinare sotto quale Stella egli sarebbe nato»10 e, tra il 1947 e il 1956, in undici caverne nei pressi di Qumran sono stati recuperati i cosiddetti Rotoli del Mar morto (o di Qumran appunto) appartenenti proprio alla setta giudaica degli esseni. Si tratta di testi databili tra il 150 a.C. e il 70 d.C. e in essi sono stati ritrovati tre oroscopi messianici, uno in ebraico e due in aramaico, e precisamente in 4Q 186, 534-536 e 561 (cioè nella quarta caverna di Qumran ai rispettivi capitoli). Il secondo oroscopo, in realtà, anche noto come «4Q Mess ar era stato inizialmente identificato con un oroscopo messianico […]. Sulla base del riferimento ai Vigilanti e al Diluvio nella colonna II, il misterioso protagonista del testo è stato [poi] identificato con Noè»11 e quindi inserito nell’omonimo Libro di Noè. Sempre nella quarta caverna sono stati trovati versi riguardanti Le fasi della Luna (317), Un calendario zodiacale (318) e l’Apocalisse messianica (521) e aramaica (246).
Tutto ciò sembra confermare che la tradizione messianica sia la stessa da Abramo a Noè e Mosè, da Davide al Messia atteso ai tempi di Gesù di Nazareth. In effetti basterebbe ricordare che Abramo, con cui nasce tutta la tradizione della Bibbia, era di Ur dei Caldei (Gen 15,7), popolo la cui nomea di ‘cultori delle stelle’ è tale che, durante l’ellenismo (334-31 a.C. ca) e oltre, si crea un «gioco di prospettive, che fonde Caldei e Magi»12. Filone Alessandrino (20 a.C.-50 d.C.), nell’opera La vita di Mose13, scrive che anche Mosè «era un caldeo e che era nato in Egitto perché i suoi genitori erano scesi là a motivo di una carestia che colpiva Babilonia e le regioni limitrofe»14.
Abramo, secondo al Bibbia, è della discendenza di Adamo (Lc 3,36-38). A sua volta, «Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda» (Mt 1,2). Dalla lunga discendenza di Giuda nascerà «Iesse [che] generò il re Davide […] dalla quale [stirpe] è nato Gesù chiamato Cristo» (Mt 1,5-16). Era scritto e quindi profetizzato che da quella stirpe doveva nascere il Messia: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore» (Is 11, 1-2). E sempre secondo la Bibbia, «Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abramo con queste parole: “Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra”» (Gen 14,18-19). Questi versi dimostrano, intanto, che la cerimonia del pane e del vino è un antichissimo rituale sacerdotale, che Gesù utilizzerà nell’ultima cena per benedire i suoi apostoli prima di morire. Secondo l’esegesi biblica, Melchisedek andrebbe identificato con Shem, figlio di Noè. La città di Salem, a sua volta, sarebbe l’antica Gerusalemme. Quei versi attestano quindi che la stirpe di Giuda (i giudei) si descrive da subito nella Bibbia come portatrice della sapienza (la tradizione dei Magi) e predestinata da Dio a regnare sul mondo fino all’apocalisse: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli» (Gen 49,10). Così come il leone è il re naturale degli animali, così la stirpe dei Giudei è rappresentata nella Bibbia come sovrana degli uomini e del mondo: «Un giovane leone è Giuda» (Gen 49,9).
In realtà, la tradizione dei Magi non è una prerogativa giudea (ovvero della Bibbia) e la stirpe aurea di cui questa tradizione ci parla è, come vedremo, una stirpe rediviva. Andrebbe intesa, cioè, come una ‘linea di spirito’ prima che ‘di sangue’: gli esseri umani che, in un percorso lungo più vite (reincarnazione), raggiungono uno sviluppo morale e spirituale profondo, ritornerebbero sulla terra con specifici carismi, in base al livello spirituale raggiunto: eroi, profeti, santi… Messia. Inoltre, quello sviluppo spirituale profondo si manifesterebbe pure esteriormente attraverso alcune caratteristiche fisiche e psichiche ritenute sacerdotali (ierofania).
Anche l’intera filosofia della Grecia antica sarebbe nata dalla tradizione dei Magi. La sofia era la cosiddetta “scienza sacra”, sapienza o filosofia naturale che indagava le leggi materiali e spirituali del cosmo. Era una scienza geoaritmetrica15, cioè credeva all’esistenza di leggi universali di tipo geometrico, aritmetico e ritmico (musicale) insieme come “linguaggio macchina” della natura e non come un’invenzione dell’uomo (si chiama realismo matematico). Nel Medioevo quelle discipline verranno chiamate Arti Reali o del Quadrivio16, in cui l’astronomia può essere considerata la geoaritmetrica degli astri. Non a caso, i primi filosofi greci erano detti filosofi naturali e Talete (630-547 a.C. ca), considerato da Aristotele17 in poi il primo dei filosofi greci, come scrive Apuleio (123-180 d.C. ca) «fu senza dubbio il più importante tra quei sette uomini famosi per la loro sapienza18 […], tra i Greci fu il primo scopritore della geometria, l’osservatore sicurissimo della natura, lo studioso dottissimo delle stelle»19. Secondo Aristotele, inoltre, «i riti intorno agli dei e quanto riguarda i costumi dicono che [Pitagora (…)] li apprese dai Magi»20 e fondò una sorta di «antico ordine monastico»21, la cui sapienza «includeva la geometria, l’aritmetica, l’astronomia e la musica»22, e «insegnò che i numeri sono l’essenza di tutte le cose»23. Seneca (4 a.C.-65 d.C.), a sua volta, ricorda che «Platone morì esattamente il giorno del suo ottantunesimo compleanno. Perciò dei Magi, che per caso si trovavano ad Atene, celebrarono un sacrificio in onore del defunto: secondo loro gli era toccato un destino superiore a quello umano, perché i suoi anni assommavano a un numero perfettissimo: il risultato di nove per nove»24. Platone, iniziato alla filosofia naturale, poi socratica e infine ritornato al naturalismo matematico pitagorico, si esprime esattamente nel linguaggio classico della tradizione sapienziale (mito e dialogo) e conferma in modo esplicito sia il rapporto tra religione, mito e astronomia sia l’origine della filosofia stessa come matematica celeste, ovvero come tradizione dei Magi:
Le osservazioni del giorno e della notte, dei mesi e dei periodi degli anni, degli equinozi e dei solstizi hanno procurato il numero, e hanno fornito la riflessione sul tempo e la ricerca sulla natura dell’universo: da queste cose abbiamo ottenuto il genere della filosofia, di cui nessun bene più grande giunse, né giungerà mai alla stirpe mortale come dono degli dèi […]25.
Quella storia che presso di voi si racconta, vale a dire che un giorno Fetonte, figlio del Sole, dopo aver aggiogato il carro del padre, incendiò tutto quel che c’è sulla terra, e lui stesso fu ucciso colpito da un fulmine, viene raccontata sotto forma di mito, ma in realtà si tratta della deviazione dei corpi celesti che girano intorno alla terra e che determina in lunghi intervalli di tempo la distruzione, mediante una grande quantità di fuoco, di tutto ciò che è sulla terra26.
Queste parole di Platone ci spiegano anche che le tradizioni sapienziali sono sempre state iniziatiche (esoteriche), cioè hanno trasmesso in codice le conoscenze che reputavano più importanti e non divulgabili, nascondendole nel linguaggio dei miti che servivano, a loro volta, per indottrinare i popoli e alimentare la loro fede. Testi e opere sacre in genere erano dunque ricchi di messaggi in codice per tramandare in segreto conoscenze riguardanti l’alchimia (i cicli) della materia e dello spirito ovvero la matematica della natura umana, terrestre e celeste. Ciò implica che «nello studio delle tradizioni sacre ed iniziatiche il metodo esegetico non può non tener conto della possibilità che esse adottino un linguaggio in codice e, dunque, che anche la ricostruzione linguisticamente più corretta può non bastare a comprendere il significato ultimo delle parole. In questo caso, peraltro, il codice è [di solito] scientificamente verificabile sia come dato astronomico sia come termine astronomico presente negli antichi testi»27. E inoltre, come dicevamo, proprio «l’arte è e rimane il luogo privilegiato oltre che epifanico delle tradizioni sacre, ricche di codici, allusioni e potenzialità nascoste»28.
De Santillana ben sintetizza lo scenario della filosofia primigenia: «Sapere “sacro” […] da non rivelare ai non iniziati […], comunicavano “in mitico” […]. Questo è quanto era noto a Platone, che sapeva ancora parlare la lingua del mito arcaico […]. Dietro Platone si erige il corpus imponente delle dottrine attribuite a Pitagora […], custodi di tradizioni arcaiche che ricordavano la civiltà superiore dell’Oriente antico […], la “fonte” dalla quale avevano attinto tutte le culture appartenenti alla “cerchia delle civiltà superiori” […], un vero e proprio edificio, una specie di matrice matematica»29.
Quel sapere sacro aveva dunque a che fare con la cosiddetta astrologia sacerdotale. Ciò che i miti degli antichi ‘testi di religione’ custodivano era la scienza dei Magi con la loro teoria dei segni del cielo, in grado, secondo quella tradizione, di indicare all’uomo l’avvento di ere apocalittiche (tra cui quelle diluviane) e di ere profetiche, messianiche, ecc., e non solo. A questa alchimia spirituale si aggiungeva l’alchimia materiale (che comprendeva la trasformazione dei metalli vili in oro). E infatti, sulla stessa linea di pensiero, Bibbia e Vangeli affermano che a Salomone, figlio di Davide, Dio avrebbe «concesso la conoscenza infallibile delle cose […], il principio, la fine e il mezzo dei tempi, l’alternarsi dei solstizi e il susseguirsi delle stagioni, il ciclo degli anni e la posizione degli astri […], i poteri degli spiriti» (Sap 7,19-20). «Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella”» (Mt 2,1-2).
Il termine alchimia, secondo alcuni, deriverebbe dall’arabo al e kimìa cioè “il segreto”; secondo altri, dal greco copto Allah-chemeia o “fusione col divino” (da qui il concetto di chimica come processo di fusione e mescolanza tra elementi). Esistono anche il termine egiziano kêmi (terra nera), riferito al “miracoloso limo” del Nilo che produceva fertilità (tant’è che «gli Egizi […] avevano dato il nome di Chemia al loro paese»30), e il termine cinese kimiyà (fluido per fare l’oro), inteso sia come alchimia esterna (la materia d’oro) sia come alchimia interna (lo spirito d’oro, da cui, come vedremo, la stirpe aurea). Nella cultura araba, alchimia diviene «uno dei nomi del reagente per la trasformazione dei metalli, detto in Occidente lapis philosophorum o pietra filosofale»31. In ogni caso, è evidente il legame tra l’alchimia e la tradizione sapienziale, la “scienza sacra” di Ermete Trismegisto e dei Magi, i quali lessero nei Cieli anche il segno dell’avvento del messia Gesù.
Era questa la scienza sacra dei Magi, la sapienza (sophia) o scienza divina. Perciò «Pitagora respinse la parola sophia, perché troppo pretenziosa e preferì l’indicazione molto più modesta di filosofia (philosophía), o amore della sapienza»32. […]
1 Erodoto racconta che il regno dei Medi (che con quello della Persia occupavano le terre dell’attuale Iran) era diviso in sei tribù: Busi, Paretaceni, Strucati, Arizanti, Budi e Magi. Quella dei magi era la casta sacerdotale, in realtà sia dei Medi sia dei Persiani (cfr. Erodoto, Storie, I, 101). Attualmente, le prime tracce archeologiche della civiltà dei Medi risalgono al II millennio a.C. e la prima menzione scritta al 835 a.C., in iscrizioni assire. Nel VI sec. a.C. i Medi crearono, per circa 50 anni, un grande impero che fu rivale degli assiro-babilonesi e dei Lidi.
2 Benedetto XVI (2013), L’infanzia di Gesu, Rizzoli-Lev, Milano, p. 108.
3 Ibidem.
4 T. Brescia (2000), Il Tao dello Spirito. Bibbia, Tao e scienza: sintesi di verità, Hermes, Roma.
5 B. Landau (2010), Revelation of Magi: The Lost Tale of the Wise Men’s Journey to Bethlehem, Harper Collins, New York.
6 V. Messori (2006), Emporio Cattolico, SugarCo, Torino, p. 307.
7 Ludolphus de Saxonia (1472), Vita Christi, m. 1378 (prima edizione a stampa del 1472, più volte ristampata dal 1570 in poi, per un totale di pp. 618 consultabili online presso: http://badigit.comune.bologna.it/books/ludolfo/scorri.asp?Id=1).
8 C.M. Martini (1968) (a cura di), Il messaggio della salvezza, vol. IV, Nuovo Testamento-Vangeli, Elledici, Torino, p. 183.
9 G. Ravasi (1993), Vangeli del Dio con noi, Paoline, Milano, pp. 122-123.
10 T. Palmidessi (1972), Astrologia e sopravvivenza dell’anima, in “Linguaggio astrale”,a. II n. 9, p. 15.
11 V. Gašpar (2000), Cristologia pneumatologia, Editrice Pontificia Gregoriana, Roma, p. 30.
12 S. Ponchia (2004), Scienza e fama dei Caldei dalla Mesopotamia a Roma, in H.-J. Gehrke, A. Mastrocinque (a cura di), Roma e l’Oriente nel I sec. a.C., L. Giordano, Cosenza, p. 256.
13 Filone Alessandrino (1998), La vita di Mose, tr. it., Rusconi, Milano.
14 D.T. Runia (1999), Filone di Alessandria nella prima letteratura cristiana: uno studio d’insieme, Vita e Pensiero, Milano, p. 431.
15 T. Brescia (2014), Il numero 9 e il magico teorema Luoshu, in “Puntozero” n. 9, supplemento al n. 112 di “Nexus New Time”,a. XXI, Battaglia Terme (Pd), pp. 60-79.
16 A queste si aggiungevano le Arti Sermocinali o del trivio: grammatica, retorica e dialettica. In totale erano le 7 Arti Liberali, come i 7 pianeti dell’astrologia sacerdotale.
17 Cfr. Aristotele, Metafisica, 983b 20-21.
18 Platone fu il primo a enumerare i cosiddetti Sette Savi: Talete di Mileto, Solone di Atene, Biante di Priene, Pittaco di Mitilene, Cleobulo di Lindo, Chilone di Sparta e Misone di Chene. Il loro modo di vivere e di esprimersi era quello della sapienza, fattivo e spartano, brevi metafore e aforismi non di lunghi scritti concettuali per intellettuali: «costoro erano tutti ammiratori, amanti e seguaci dell’educazione spartana […]. Riunitisi insieme, essi consacrarono come primizia della loro sapienza ad Apollo nel tempio di Delfi queste iscrizioni che tutti celebrano: “Conosci te stesso” e “Nulla di troppo”. Per quale motivo dico queste cose? Perché questo era lo stile della filosofia degli antichi: una brevità spartana» (Platone, Protagora, 343).
19 Apuleio, Florida, 18.
20 Aristotele, Metafisica, I, 5, 985 b 23. Aristotele «parla de “i cosiddetti pitagorici” […] per indicare il comune lavoro di ricerca svolto dalla fine del VI all’inizio del IV secolo [a.C.] da un gruppo solidale nell’attività di ricerca come nella fede religiosa e morale» (N. Abbagnano, G. Fornero, Itinerari di filosofia, Paravia-Mondadori, Milano 2002, vol. 1A, p. 48).
21 R.H. Major (1959), Storia della medicina, Sansoni, Firenze, p. 95.
22 Ibidem.
23 Ibidem.
24 Seneca, Lettere a Lucilio, lettera 58, passo 31.
25 Platone (1997), Timeo, 47a-e in Platone, Tutte le opere, Newton, Roma, p. 581 (mio il corsivo).
26 Idem, 22c-d, p. 545.
27 M.T. Laporta (2014), Nota a T. Brescia, La Stella dei Magi e il sarcofago decifrato, Nexus, Battaglia Terme (Pd), p. 164.
28 G. Mongelli (2014), Nota a T. Brescia, La Stella dei Magi e il sarcofago decifrato, cit., p. 163.
29 G. de Santillana, H. von Dechend (2009), Il mulino di Amleto (1969), Adelphi, Milano, pp. 14-27.
30 G. Mongelli (2006), Prefazione a T. Brescia, I Misteri del cristianesimo, Mir, Montespertoli (Fi), p. 12.
31 http://www.treccani.it/enciclopedia/alchimia (consultato in data 04/08/2014).
32 H. Major, Storia della medicina, cit., pp. 94-95.
Teodoro Brescia, noto studioso di olismo e simbologia sacra, insegna Antropologia filosofica all’Università di Bari. Premio della Cultura (2001), Socio Onorario UNSA (2003), Premio Achille-Cucurachi (2010), socio SIA (Società Italiana di Archeoastronomia), è autore di numerosi articoli e volumi, tra cui Il Tao dello spirito (2000), Il Tao della medicina (2001), Le Eterne leggi dell’Anima (2004), I Misteri del cristianesimo (2006), Olos o logos: il tempo della scelta (2011), Il Segno del Messia: l’enigma svelato (2012), La Stella dei Magi e il sarcofago decifrato (2014).