La storia che cambiò se stessa
romanzo
Prefazione di Ugo Mattei
L’acqua se ne è andata per sempre. Il mondo è divenuto un deserto e i sopravvissuti vivono tra le mura di un’unica Città, frustata dalle tempeste di sabbia. Fin da bambini gli abitanti della Città ricevono un farmaco, un vaccino capace di annientare la personalità, che impedisce loro di essere attratti dalla Biblioteca nel mezzo del deserto, edificata da un vecchio saggio di nome Abel.
Un Mago incapace e un Inventore condannato a morte, inseguiti dall’esercito cittadino, fuggono nel deserto e si perdono in una minuscola oasi che si rivela un bosco labirintico, al cui centro riposa un Lago senza fine, il luogo dove si è ritirata l’acqua, e la vita. Su questo paesaggio, alto fino al cielo, domina l’antico padre dei boschi, Eternalbero.
Quattro popoli vivono attorno al lago: Orsi che parlano attraverso i segni, Leoni che ricordano il passato e il futuro, Gufi che scrivono, Delfini che tutto sanno e che tutto dimenticano. Gli umani potranno comunicare con tutti loro grazie alle virtù dell’erba fumina, che un Gufo indisponente va fumando in volo. I sogni di un Drago addormentato in fondo al Lago faranno vivere questo mondo in un altro tempo. Esso è qui, non nel nostro “ora”. E quando un malaugurato incidente sveglierà il Drago avrà inizio una guerra, che rischierà di spazzare via tutto questo per sempre. Ma forse questa storia non è ancora accaduta, forse grazie a un misterioso Quinto popolo, la storia cambierà se stessa.
LA STORIA CHE CAMBIÒ SE STESSA
LE NUOVE FOGLIE DI ETERNALBERO
ROTOLO 1 Il giorno in cui Grande Orso si scontrò col nuovo venuto
ROTOLO 2 Nelle terme di Sottoterre
ROTOLO 3 La Biblioteca di Sabbia
ROTOLO 4 Qualche problema con l’Arrampicasa
ROTOLO 5 Un tè al centro del Lago
ROTOLO 6 Calù non attraversa il fuoco
ROTOLO 7 Coloro che ricordano
ROTOLO 8 Il canto dei Leoni
ROTOLO 9 Nel mondo di sotto
ROTOLO 10 Sentieri che si biforcano
ROTOLO 11 La Confraternita dei giusti
ROTOLO 12 Vecchi
ROTOLO 13 Come fu che Pennabianca non aderì all’ordine dei Gufi e non fu depennato
ROTOLO 14 Lo spirito dello scoiattolo
ROTOLO 15 Il prato volante
ROTOLO 16 L’incidente
ROTOLO 17 Il Nocchiere dell’Erramonte
ROTOLO 18 Un messaggio da lontano
ROTOLO 19 Il giuramento
ROTOLO 20 La Celeste Azzurra
ROTOLO 21 Le Sirene
ROTOLO 22 La Torre Medica
ROTOLO 23 Ferètimil
ROTOLO 24 Grandi rupi
ROTOLO 25 Mariam
ROTOLO 26 Barborso
ROTOLO 27 L’alba delle Magimacchine
ROTOLO 28 Il Quinto Popolo
ROTOLO 29 Il Diavolo Rosso
ROTOLO 30 Inu Tot il molteplice
ROTOLO 31 Il confine è rotto
ROTOLO 32 All’ombra dell’Alberuomo
ROTOLO 33 Il Popolo dei cuccioli
ROTOLO 34 Pioggia di sangue
ROTOLO 35 Il segreto del Drago
ROTOLO 36 L’Ottavo trono
ROTOLO 37 Le foglie nuove di Eternalbero
EPILOGO Il libro perduto delle cose perdute
Glossario
Prefazione
di Ugo Mattei
Il lettore che ha in mano una copia del libro, merita in primo luogo di conoscere a che titolo un giurista, che di Tutino si sente fratello, sia chiamato a scrivere una prefazione. Il genere del libro è assai lontano da quelli normalmente frequentati da me, uso come sono a riflettere sulle istituzioni e a utilizzare il pensiero logico-razionale per proporre soluzioni ermeneutiche di testi ufficiali.
Il volume di Tutino è una meravigliosa fiaba, direi un romanzo fantastico con radici nel mito: un racconto arricchito e animato dalla fantasia e originalità del narratore. Come un cantastorie, Tutino arricchisce la sua trama, quella di due curiosi protagonisti persi al confine fra la triste realtà e la gioiosa possibilità, con dettagli, pensieri, immagini, allusioni che ne fanno una grande metafora politica del “presente”. Nascosta dietro l’allegoria c’è infatti una tesi profondamente politica e genuinamente rivoluzionaria, cosa che giustifica la mia marginale partecipazione a questa sua impresa editoriale: si tratta della visione che al centro pone le generazioni future.
Da filosofo consapevole, Tutino fa pienamente i conti con la dimensione dinamica del presente, fino al punto da “negarne” coerentemente l’esistenza. In una società spettacolare in cui regna l’eterno presente, in cui la politica risponde al sondaggio del momento, in cui le decisioni delle oligarchie finanziarie che comandano il mondo dipendono da oscillazioni di indici valutabili in frazioni di secondo, in cui la memoria storica, e perfino la memoria della settimana prima, si perde nella cacofonia mediatica, Tutino rifiuta infatti l’idea ordinaria del presente. Si tratta di un atto rivoluzionario. Non esiste il presente come momento di separazione dal passato e dal futuro, esiste invece la Presenza della Coscienza, ponte che unisce un passato e un futuro che avvengono e che cambiano esattamente ora. Ora cambia il passato. Ora cambia il futuro. Nell’ora in cui il presente scompare, come un ponte illusorio, l’intero del tempo si trasforma, e in questo istante tutto ciò che è già avvenuto avviene e diviene, così come ora avviene e diviene l’avvenire.
Tutto si fa ora, e questo paradosso è compreso e incarnato da Pennabianca, un gufo stravagante che a sua volta “si fa” di erba fumina. Il gufo ricorda, ovvero “riporta al cuore” in senso etimologico, un uomo caro a Tutino, un uomo vissuto nel passato e nel futuro, Marco Pannella. Come il nostro Marco, il gufo Pennabianca rifiuta di aderire al potere e di iscriversi all’Ordine dei gufi: questo rifiuto lo mette fuori dalla società, ma il suo sacrificio fa sì che la storia cambi se stessa.
L’allegoria di Tutino non solo allude al fatto, di per sé intuitivo, che il presente determina il futuro, ma evidenzia pure, ed è questo che rende davvero avvincente il messaggio che emerge dalla sua fitta trama di personaggi fantastici appartenenti al mondo animale e vegetale, che il presente può cambiare (e infatti cambia) anche il passato. Il robusto impianto teorico sottostante la fiaba si colloca in una prospettiva di filosofia fenomenologica, ben temperata con le intuizioni della quantistica e del pensiero sistemico, che Tutino restituisce in modo fresco, come le acque del grande lago segreto intorno alle cui sponde si svolgono i “fatti”.
La mancanza del passato e del futuro, in una parola l’eterno presente della società dello spettacolo, così chiara a Guy Debord mezzo secolo fa, è la cifra della discussione politica contemporanea. Senza radici profonde nel passato, nell’assenza di piena consapevolezza della concatenazione coatta di sfruttamento che ha portato al deserto della società attuale (che Tutino proietta in una totalizzante città senz’acqua), gli errori commessi non si possono rimediare. Infatti il capitalismo persevera in barbare e violente coazioni a ripetere (prima di tutto le guerre), portate dallo sfruttamento senza tregua dell’uomo sull’uomo e sulla natura. Del resto, la visione di brevissimo periodo, propria di una politica che insegue i brevi cicli elettorali della rappresentanza, ulteriormente accorciati dalla dipendenza da sondaggio, rende impossibile qualsiasi pianificazione e qualsiasi interesse per le generazioni future, quelle che, come le piante e gli animali diversi dall’uomo, non hanno “nella realtà” alcuna rappresentanza politica né, salvo qualche illuminata recentissima trasformazione, alcuna soggettività giuridica. Queste moltitudini senza soggettività sono i protagonisti del bosco magico di Tutino, un luogo in cui anche il passato e non soltanto il futuro può essere cambiato dal presente.
Il lettore non pensi che il passato si modifica soltanto con l’invenzione della storia, una stantia strategia ideologica bugiarda, da sempre utilizzata dal potere che inventa la propria tradizione o che utilizza altri subdoli stratagemmi cognitivi per legittimarsi. Il desiderio, la fantasia e la porosità di ogni confine narrano una storia diversa, abitata dai personaggi fantastici di Tutino, scampati alla triste omologazione cognitiva (ottenuta anche con mezzi farmacologici) e interpretata nei rotoli che il vecchio gufo disvela.
Non sarò certo io ad anticiparla al lettore, che si appresta ad una esperienza di lettura straordinariamente avvincente; dirò soltanto che in questo mondo ricco, articolato, fatto di diversità profonde e di sinergie spirituali completamente antitetiche alla fredda visione evoluzionista, si tracciano i confini di quella politica nuova che impegna come fratelli anche Tutino e il sottoscritto.
Fuggendo dalla città sabbiosa di un presente triste, il professore-studente Davide Tutino ci fa penetrare in quella che Prigogine chiamerebbe una piccola oasi di ordine in un deserto di disordine, offrendoci la visione di un mondo bello che non è mai troppo tardi per provare a salvare. Il tentativo e il desiderio, a cavaliere fra il passato ed il futuro, creano il presente a immagine di chi lo vive in relazione tanto diacronica quanto sincronica, ma sempre orizzontale con tanti fratelli e tante sorelle. Sorella acqua, fratello gufo, sorella quercia, nel mondo magico (o nell’isola che non c’è) di Tutino si respira l’aria profumata e umida del rispetto, della dignità e della solidarietà. È certo un mondo magico quello che egli ci propone, non certo una fuga altrove. Al contrario, rendendo vivo e dunque vero il mondo diverso, egli ci chiama a farlo, anzi a farci, mondo diverso. Egli ci mostra, in modo ben più profondo, che lo stiamo già facendo, qui e ora, perché ogni nostra azione, nella fenomenologia inestricabile delle relazioni spazio-temporali, è portatrice di un inevitabile contenuto politico. Ogni azione è dunque una scelta politica di cui, ci piaccia o meno, rispondiamo tanto alle generazioni future quanto a quelle passate, in quel continuum dinamico fra individuo e generazione che Albert Einstein ci mostrò essere inestricabile. Per questo le istituzioni nuove che stiamo immaginando e sperimentando fanno della responsabilità e dell’impegno il loro architrave portante.
È bella la fiaba di Tutino, vera come il sorriso puro del suo autore e l’energia generativa che egli sa trasmettere a chiunque abbia la fortuna di incontrarlo aprendosi a lui. Sarebbe bello farne un cartone animato ad uso dei più piccoli fra noi.
Ugo Mattei, otto giugno 2022
LA STORIA CHE CAMBIÒ SE STESSA
Questa storia narra di un mondo lontano, perduto, oltre le sabbie del deserto.
Mi fu raccontata da un Gufo parlante che di primo mattino se ne stava intento a fumare, comodamente appollaiato, sull’albero più antico di Poggiobosco.
– Ti chiedo di far conoscere agli umani la storia che cambiò se stessa. Gli altri hanno avuto paura di non essere creduti, ma soprattutto di non trovare più l’uscita – disse il Gufo.
Non domandai chi fossero gli altri, anche se l’orgoglio mi rendeva oltremodo fastidioso essere adoperato per ripiego da un animale parlante. Ciò che più mi stupiva era l’idea di non trovare l’uscita.
– L’uscita non esiste – confermò il pennuto tirando una boccata di fumo da un’erba accesa, che gli pendeva dal becco ricurvo.
– Sarà alla fine della storia – risposi convintamente, ma siccome l’idea iniziava ad inquietarmi, feci per uscirne con gentilezza…
– Non posso aiutarti, perché non so scrivere.
Mi fissava come se avessi mentito, poi volò via, profondamente offeso.
Passarono molti anni, e una sera ritornò, nell’ora del tramonto. Lo riconobbi da lontano, per l’odore penetrante dell’erba che fumava; e come se il tempo non fosse trascorso, riprese la conversazione dal punto esatto in cui l’avevamo interrotta.
– Non importa se non sai scrivere. Ha cominciato a scrivere lui.
– Lui chi?
E come fosse la cosa più normale del mondo il Gufo esclamò: – Eternalbero, naturalmente!
Tornò ancora, le notti successive, lasciandomi cadere sul davanzale rotoli di foglie ricoperti di segni misteriosi. Erano scritti in lingua gufica, che m’insegnò a decifrare.
Narravano di oscure gallerie abitate dalle farfalle dal pelo bianco, che battevano le ali in luoghi sotterranei ove custodivano il corpo di un Re, l’ultimo Re.
Di un Lago senza fine da cui emergeva un’isola di roccia, con in cima una torre spezzata, abitata da un uomo pesce che si immergeva con tutta l’isola nelle acque del Lago. L’uomo pesce viaggiava tra le cose già accadute, che laggiù cambiavano continuamente, trasformando il passato di quei luoghi e di quei popoli.
– Vuoi davvero che racconti questa storia?
Il Gufo si aggiustò con la zampa due pietruzze trasparenti unite da un rametto, che portava a mo’ di occhiali.
– Certamente!
– Come posso farlo, se non rimane mai la stessa?
– Racconta ciò che scrive Eternalbero. Se tu non lo farai, la storia non potrà cambiare e il mondo non sarà mai compiuto.
Fissavo il rotolo, affascinato dalle venature della foglia da cui era ottenuto.
– Se invece la racconterai, potrai cambiare anche tu, e completare il tuo compito.
Ero offeso dall’insolenza di quell’essere. Non ero certo uno scolaretto, decidevo delle mie giornate senza che nessuno potesse darmi un compito; e non avevo mai detto di voler cambiare. Aprii la bocca per esprimere il mio disappunto, ma mi frenò il ricordo del nostro primo incontro. L’essere si era dimostrato piuttosto suscettibile in quella occasione, e non avrei voluto farlo fuggire ancora, perché quella strana faccenda iniziava ad intrigarmi. Devo ammettere che per anni mi ero macerato di curiosità sul nostro primo e breve scambio, e tacqui per non interrompere anche questo. Lo scritto proseguiva parlando proprio del mio amico gufo, di come si procurava i rotoli di foglie che recava tra le zampe. Provenivano da un albero alto fino al cielo, quasi morto in un incendio devastante.
Ho un difetto, devo ammetterlo. Quando incontro una storia ho bisogno di percorrerla fino in fondo. Conoscerne la fine, come se tutto il senso fosse racchiuso in quel punto senza dimensioni verso cui corrono le forze, i gesti, le parole, le vite, le morti, le risate e le lacrime, i luoghi, le speranze, le promesse e i tradimenti. Come se il significato di ogni cosa fosse racchiuso nella sua fine, il bruco nella farfalla, il frutto nel fiore, l’albero nel seme. Insomma, per dire anche a voi come andò a finire, volevo arrivare fino in fondo. Diedi ascolto al gufo, e quel che allora leggevo, ora ve lo scrivo qui di seguito, con la speranza che sia d’aiuto, a me e a tutti noi, per trovare l’uscita.
Proprio per il suo impegno civile e politico è oggi impedito a Davide Tutino l’insegnamento nel proprio paese, in quanto docenti come lui costituiscono per il governo italiano un “cattivo esempio”.