Sentire la vita e vivere il sentimento
L’autore, che ha preso parte per sette anni consecutivi alla Danza del Sole, la cerimonia più altamente spirituale dei Nativi delle Grandi Pianure del Nord America, nelle riserve dei Lakota sioux di Cheyenne River, Rosebud e nelle “Colline Nere”, ricorda in questo libro quanto vissuto tra gli Indiani. Aneddoti, schegge, lampi di luce che un giorno come per magia riaffiorano da dove stavano sepolti e chiedono di essere condivisi con qualcuno.
Ne scaturisce un’elegia alla vita da parte di quegli antichi popoli, che un tempo non troppo lontano camminavano nell’armonia e nella bellezza, e che lottarono con tutte le forze per l’amore che nutrivano per la loro terra.
Ciò che i Lakota sioux chiamano lakol wicoh’an, la “via Lakota della vita”.
Libro corredato con fotografie d’epoca, in bianco e nero, che ci riportano a una dimensione della storia che per l’appunto è, di nuovo, un ricordo.
Antiche chiese romaniche
Il ragazzo a cavallo
La polla d’acqua e il serpente a sonagli
In cima a Bear Butte
Longhorn Saloon
Il falco mi indica il cammino
Non sa chi è
Essere una visione
Buffalo wings. “Ali di bisonte”
La coppia di daini all’alba
La penna d’aquila
Fare smettere di piovere
Piccoli di aquila
Dov’è il problema?
La foto dell’aquila che non c’è
Un cavallo pazzo
Cuori spaccati
Sognatori di bisonti
Tatanka
Trascinare i crani di bisonte
Sono il cielo
Go to the elders. “Andate dagli anziani”
Ucciso da un parente
Frank “Fools Crow” non vuole farsi fotografare
C’è T-shirt e T-shirt
Sulle orme di “Balla coi lupi”
“Uccello Perduto”. L’ultima bambina
Give away. “Dare via”
L’albero sacro
Il danzatore sulla sedia a rotelle
Canunpa
La Tenda dell’Orso
La danza delle donne
Selo, Black Crow, “Corvo Nero”
Winkte
Il tipì ricrea il mondo
La Montagna del Tuono
La farfalla
Il buon pastore d’anime
“L’uomo bianco ha studiato e sa molte più cose di noi”
La leggenda cherokee dei due lupi
Rufus Goodstricker, Seen from Afar, “Visto da Lontano”
Danny, Many Horses, “Molti Cavalli”, Rael
Pakini, Standing Deer, “Cervo in Piedi”
Sa’ah naaghai bik’eh hozho. “Camminare nella Bellezza”
Appendice
Inserto fotografico
Il falco mi indica il cammino
Sono quasi le otto di sera di una domenica di agosto. Mi rimetto in auto per tornare a Rapid City, dove in un piccolo hotel dormirò poche ore, visto che alle prime luci dell’alba del giorno seguente ho l’aereo che mi riporterà in Italia. La distanza da coprire è di duecentocinquanta chilometri. Rispettando i limiti di velocità e mangiando in un diner non lontano dall’hotel, dove fanno dei buoni petti di pollo alla piastra con hash brown, che è una tortina fritta di patate fatte a pezzetti, calcolo che potrei coricarmi attorno alla mezzanotte.
È stata una bella giornata che ho condiviso con alcuni amici indiani che non rivedrò se non tra un anno. In cielo non c’è una nuvola. Penso che sarà una bellissima notte stellata.
Non sono solo. Insieme a me c’è un italiano di Ancona, un gigante taciturno dallo sguardo sempre attento perché dice che non vuole dimenticarsi nulla di quello che ha visto.
La strada è una linea diritta che attraversa le colline in direzione sud.
A un certo punto c’è un incrocio, un’altra strada secondaria come quella che stiamo percorrendo che incrocia la nostra orizzontalmente. Devo decidere se proseguire verso sud o svoltare a sinistra o a destra. Mi fermo sul ciglio della strada. Non c’è anima viva ovunque volga lo sguardo.
– E ora che facciamo? – domanda il mio compagno di viaggio.
Prendo la cartina geografica degli Stati Uniti dal cassetto del cruscotto, la stendo bella aperta sul volante dell’auto, la studio con attenzione. Non trovo la strada che sto percorrendo e lo dico all’altro.
– Fa’ vedere anche a me – mi dice lui tirando la carta geografica dalla sua parte.
Io guardo oltre il parabrezza in cerca di un’ispirazione.
Dopo una decina di secondi l’altro fa: – Neanche io trovo la strada che stiamo percorrendo, né quella che ci incrocia da est a ovest. –
– Mmh… direi che siamo a posto. –
– Non so cosa dirti. –
Allungo il collo e studiamo la cartina insieme, arrivando alla conclusione che la strada che cerchiamo non esiste e che dunque ci troviamo in un vasto nulla senza inizio né fine, visto che il Sud Dakota è grande quasi due terzi dell’Italia e non arriva neppure a un milione di abitanti contro i sessanta del nostro paese.
– Wow! That’s fantastic! – esclamo facendo il verso a uno spot pubblicitario che ho visto alla televisione americana.
– E ora che si fa? – chiede il gigante buono con un’espressione smarrita.
– A sinistra c’è New York, a destra Los Angeles, là in fondo Dallas, e alle nostre spalle il Canada. Non è poi così difficile capire dove andare! –
L’altro ride.
Improvvisamente so cosa fare.
– Aspetta qui, non ti muovere – gli dico uscendo dall’auto, allontanandomi di qualche passo e sollevando gli occhi al cielo.
L’aria non c’è e fa ancora molto caldo. Me ne rendo conto in quell’attimo, fuori dall’aria condizionata dell’auto. Il profumo dell’erba e della terra mi entra nelle narici. L’orizzonte è a centottanta gradi. La terra, tutt’intorno a me, mi appare misteriosa, e il cielo è così sovrastante e immenso, mentre io sono così esiguo, limitato.
“Oh Grande Spirito – recito mentalmente la mia preghiera – non so che direzione prendere e domani devo tornare a casa. Ho bisogno di un tuo segno che mi faccia capire cosa devo fare. Pilamaye, ‘grazie’, mitakuye oyasin, ‘siamo tutti correlati’.”
Resto immobile, in attesa, avendo fede che alla mia preghiera verrà data una risposta. Trascorrono forse un paio di minuti in un silenzio irreale, poi scorgo venire in volo, lento, un uccello da sinistra. Mi passa sopra la testa. È un falco rosso, lo riconosco perché a suo tempo me ne mostrò uno simile un mio amico lakota. L’uccello continua a percorrere lento le vie del cielo diretto verso ovest. A un certo punto si fa così piccolo che non lo vedo più. Rientro in auto e dico con solennità: – Si prende la strada a destra. –
L’altro mi domanda: – Te l’ha detto quell’uccello? –
– Sì, me l’ha detto quell’uccello. –
– Ah! –
– Puoi anche non crederci ma ti dico che dobbiamo andare di là. –
– Ma… sei sicuro? –
– Capisco il tuo scetticismo ma ne sono sicurissimo. –
– Io meno ma se hai ragione tu ti offro la cena. –
– Hai già perso – ribadisco con voce ferma.
Riprendiamo il cammino e a mano a mano che proseguiamo il nostro viaggio mi accorgo di non avere mai fatto quella strada, di brancolare letteralmente nel buio. Tra l’altro è scesa la notte da un po’, il che non mi aiuta per niente. Tant’è, io continuo a credere ciecamente in quello che ho visto.
La parola lakota per preghiera è wacekiya, “parlare coi parenti”, non solo gli esseri umani, bensì gli alati, i quadrupedi, gli insetti, le creature striscianti, gli alberi, i monti, le nuvole, visto che tutto è correlato e imparentato con l’altro così da trasformare un mondo strano e apparentemente incomprensibile o pericoloso in una casa di “parenti”, una famiglia cosmica dove tutto si fonda sul senso di appartenenza.
Ho sufficiente benzina nel serbatoio dell’auto e decidiamo di andare avanti senza fare nessuna sosta.
Il mio amico seduto accanto a me non dice una parola ma sento che la sua fiducia nella mia sicurezza, dopo circa un paio d’ore di viaggio, comincia a vacillare. Inizio a parlare del più e del meno per distrarlo, finché finalmente scorgo qualcosa di famigliare: un’alta torre dell’acqua che svetta sopra gli alberi, un ranch con un faro che illumina un mulino a vento dietro una stalla e un fienile.
– Oh Cristo! – fa il gigante taciturno al mio fianco.
– Che dici ora? Sei convinto ora che avevo ragione a prendere questa strada? –
L’altro sorride e scuote la testa.
– Se lo racconto ai miei amici quando torno in Italia non ci crederà nessuno! –
– Tu sai che è così però. –
Le prime luci della città appaiono qualche chilometro più avanti. Guardo l’orologio del cruscotto dell’auto, che segna un’ora molto in anticipo sulla tabella di marcia.
– Era anche una scorciatoia – commento tra me e me.
– Come? –
– La strada che abbiamo fatto è una scorciatoia di una cinquantina di chilometri. Non male vero? –
Ci sediamo al ristorante che c’è ancora gente che sta cenando attorno a noi, visto che non è troppo tardi.
– Cosa avevi detto prima? Che se avevo ragione mi offrivi la cena? Ricordo bene, sì? – domando al mio compagno di viaggio.
– Ricordi bene, sì – risponde l’altro.
– Non ordinerò caviale, aragosta e champagne, stai tranquillo. A proposito: l’uccello che ho visto era un falco rosso. I falchi rossi, dicono gli Indiani, sono i migliori cartografi che ci siano. –
Enzo Braschi, dopo la laurea in Filosofia con una tesi sulla spiritualità dei Nativi americani delle Grandi Pianure, si dedica al mondo dello spettacolo divenendo un apprezzato attore televisivo e cinematografico.
Autore di vari documentari sugli Indiani d’America, dal 1996 al 2003 prende parte alla Danza del Sole – la cerimonia più sacra dei Nativi. Per Verdechiaro Edizioni ha pubblicato La conoscenza segreta degli Indiani d’America, Mi chiamo Bisonte Che Corre, e i romanzi Oltre, La dea dei golosi, L’ultima donna, Di Terra e di Luce e Il sangue non dimentica.