Dialogo con la speranza
Romanzo
«TU HAI UN DONO, NON DIMENTICARLO;
HAI SCELTO QUESTA VITA PERCHÉ VOLEVI ESSERE DI AIUTO
NON SOLO A TE STESSA, MA ANCHE ALL’UNIVERSO.»
Esther, la protagonista di questa storia, vive un momento molto difficile della sua vita. Soffre di attacchi di panico. Tutti le dicono che non è malata, ma soltanto stressata. Una notte, quando il suo male la attacca nuovamente e in maniera feroce, sale sul davanzale della finestra, decisa a porre fine alla propria agonia. Pronta a saltare, sente una voce e vede una grande luce di forma indefinita. «Prima di prendere la tua decisione, lascia che risponda alle tue domande, qualsiasi esse siano, e se dopo vorrai ancora andartene, nessuno ti fermerà.». Inizia così il dialogo tra Esther e L’Essere, il quale le insegnerà il potere dell’autoguarigione e le ricorderà le ragioni per cui lei si trova sulla Terra. Alla fine Esther dovrà fare una scelta, e qualunque decisione prenderà, l’unica certezza è che la sua vita non sarà mai più quella di prima.
I
Erano le tre del mattino. Esther si svegliò improvvisamente con un forte dolore al petto e la sensazione di non riuscire a respirare. Il suo cuore batteva velocissimo e non percepiva mani e piedi. Era come se fosse rinchiusa all’interno del proprio corpo e come se quell’involucro fosse una prigione dalla quale voleva disperatamente uscire, picchiando i pugni sulle pareti. Ma non c’era nessuno ad aiutarla, nessuno che potesse liberarla. Si sentiva sola e in trappola. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto che qualcosa accadesse e facesse smettere questa follia.
«Per favore qualcuno stacchi la spina! Sto impazzendo!»
Si alzò dal letto e camminò per casa. Prima lentamente, poi aumentando il passo. La velocità del respiro e del battito cardiaco oscillavano paurosamente. Le sembrava di essere su un lento treno regionale e subito dopo a bordo di un aereo senza meta. Avrebbe potuto andare ovunque, ma sentiva che nulla sarebbe cambiato. Il mondo diventava minuscolo e la sensazione della prigione non l’abbandonava, come la sua disperata voglia di spalancarne le porte e finalmente uscirne. Accendeva le luci e apriva le finestre sperando che dall’esterno giungesse qualcuno o qualcosa che potesse salvarla. Erano ormai settimane che ogni notte si ripeteva la stessa scena.
I medici le avevano detto che soffriva di attacchi di panico, e che non era malata, ma soltanto stressata. La sua mente era come un frullatore, macinava tutto molto velocemente, ma il risultato non era un buon frullato, bensì una grande confusione, un caos totale.
«Devo rilassarmi, devo respirare, non è niente» diceva Esther a sé stessa, sottovoce.
Ma più si ripeteva quelle parole, più si sentiva male e la sensazione di voler porre fine alla sua vita non se ne andava.
Esther prese una sedia, la mise davanti alla finestra spalancata della sua stanza e, in pieno delirio, salì sul davanzale, mettendosi in piedi a contemplare il vuoto sotto di lei.
Guardò in basso. Aveva sempre avuto paura dell’altezza e la sua finestra si trovava solo al terzo piano, ma la terra sotto di lei le parve lontanissima. Le luci della città venivano offuscate dalle sue lacrime. Ogni tanto il rumore di un’automobile che passava interrompeva il suo singhiozzare, facendola ritornare brevemente in sé.
Esther guardava i suoi piedi nudi e i pantaloni grigi del suo pigiama, mentre una leggera brezza accarezzava i suoi lunghi capelli castani. Alzò la testa, aprì le braccia e inspirò in profondità quell’aria fresca. Udì il verso di un gabbiano e fu come un richiamo a prendere il volo.
Da quanto tempo non rideva, da quanto tempo non era felice e da quanto tempo non aveva qualcuno con cui poter parlare?
Chiuse gli occhi.
«Questo è il mio momento. Il momento di volare.»
Per contattare l’autrice: www.krisztinanemeth.it