Romanzo
«Protetto dalle fronde ombrose ed accompagnato dal frinire incessante delle cicale, Sigmund si concesse all’abbraccio delle radici del maestoso albero, inerte come un amante sfinito che si abbandona ad un sonno profondo e ristoratore per recuperare con impazienza le forze necessarie a riaccendere il fuoco del desiderio…»
Un uomo alla ricerca di sé stesso alle soglie dell’ultimo decennio del Quattordicesimo secolo. Abbandonato il villaggio natio ed i verdi pascoli alpini, Sigmund fugge i luoghi della sua infanzia allontanandosi dai recenti e drammatici avvenimenti. Migrerà lontano. Soggiornerà a Verona, accolto benevolmente da Andrea, il giovane falegname col quale instaurerà una fraterna amicizia. Spettatore del tramonto della Signoria scaligera, lascerà la città alla vigilia della battaglia di Castagnaro, una fra le più imponenti battaglie dell’epoca. Gli spettri del doloroso passato torneranno sovente a tormentarlo fino a condurlo alla soglia dell’accidia. La turrita Monteriggioni segnerà la fine del suo viaggio.
“Una documentazione storica minuziosa ha indubbiamente preceduto la stesura dell’opera, che è frutto di una visione matura, completa, attenta ai risvolti psicologici dei fatti narrati, viva e complessa come la vita reale. I paesaggi, i colori, la dinamica delle azioni sono descritti con raffinatezza di pennellate degne di un artista.” – Antonia Chimenti
2 – La bottega di Sigmund…
3 – L’abbazia distava un intero giorno…
4 – Erano giorni di fervido lavoro…
5 – Il sole era tornato a splendere…
6 – Il potere esercitato dagli Scaligeri…
7 – La città “marmorina”…
8 – Il lavoro alla bottega procedeva…
9 – Seduto all’ombra di un vecchio ippocastano…
10 – Vi si annunzia che in cagione…
11 – Il clamore di una novella, lieta o infausta…
12 – All’estremo nord della città sorgeva…
13 – Il clima festaiolo e di benefica follia…
14 – Già sveglio molto prima che albeggiasse…
15 – Terminati i venticinque giorni…
16 – Guglielmo faticava alquanto…
17 – Il germe del meschino ricatto…
18 – È brama irrinunciabile…
19 – Alla luce degli ultimi avvenimenti…
20 – L’insistente pioggia atlantica…
21 – Invano Sigmund aveva atteso…
22 – Cinque uomini emersero dal buio…
23 – La zattera scivolava lenta…
24 – Il cruento epilogo…
25 – A Verona regnava il caos…
26 – Commosso, Ubertino aveva dato l’addio…
27 – Sin dai giorni luttuosi…
28 – Blandire a cuor leggero…
Bibliografia
1
Un inverno così rigido…
Un inverno così rigido e nevoso sarebbe rimasto impresso nella mente delle genti per molti anni a venire.
Le abbondanti nevicate degli ultimi giorni, di quel dicembre del 1381, avevano reso impraticabili i valichi alpini ed isolato i villaggi più a valle. Lo spesso strato di ghiaccio permetteva di attraversare il lago senza pericolo alcuno ed il pesante mantello bianco, che incappucciava la fitta vegetazione intorno alle sue ripide sponde, aveva costretto i rami più deboli ad inchinarsi.
Sospesa ogni attività, gli abitanti del villaggio restavano rintanati nelle loro case, facendo apparire l’abitato insolitamente addormentato. I soli segni di vita parevano essere il lento fuoriuscire delle esalazioni cenerine dai fumaioli ed i gesti ritmati di uomini armati di vanga che, sull’uscio di casa, cercavano di aprirsi un varco; gesti inutili poiché il cielo plumbeo prometteva altra neve.
Il silenzio surreale veniva talvolta violato da arditi monelli che, pur di concedersi un poco di divertimento, sfidavano le rigide temperature, abbattendo con palle di neve le stalattiti di ghiaccio che, come lunghe lame acuminate, pendevano dai tetti.
Gli uomini occupavano il tempo ad intagliare il legno, riparavano gli attrezzi da lavoro e ne costruivano di nuovi, mentre le donne filavano la canapa ed il lino per ricavarne corde e indumenti. Seduti accanto al fuoco, che leniva un poco i dolori portati dall’età, gli anziani intrecciavano ceste e gerle utili al trasporto di fieno e legna. La sera poi, amavano celare il volto con maschere grottesche intagliate nel legno di cirmolo e di gelso ed attorniati dai più piccoli, narravano le antiche leggende che la valle custodiva da tempi remoti, storie di uomini selvaggi coperti di pelli d’orso e di lupo, che abitavano i boschi e le grotte, nutrendosi di erbe, di bacche e di caccia.
Nonostante le difficili condizioni di vita, il suono della campana della chiesa rincuorava le persone, ricordando loro che la vita comunque continuava e la fine del rigido inverno, con fede e pazienza, presto sarebbe arrivata.
Sin dalla più tenera età Sigmund e Maria erano inseparabili e la loro affettuosa amicizia era presto sbocciata in amore profondo. Sposati da due anni soltanto, in un tiepido pomeriggio della primavera appena trascorsa, la coppia aveva perso il figlioletto di pochi giorni ed oggi anche Maria, a soli diciassette anni, aveva raggiunto il suo piccino nel regno di Dio, portata via da un’impietosa malattia.
Sigmund aveva ventidue anni e la sua famiglia non esisteva più.
Era bella Maria col suo viso raggiante, “la bella mora” come veniva chiamata da molti. Il dolce sorriso, impreziosito da occhi di smeraldo penetranti ed espressivi, riempiva di gioia l’anima altrui, ma Maria piaceva soprattutto per la gentilezza, per la grazia innata e per il tono della voce che pareva musica. Maria possedeva grande umanità, aveva una parola buona per tutti e spesso offriva caritatevole assistenza agli orfani e agli anziani senza famiglia.
Per ore, con occhi che non avevano più lacrime da piangere, Sigmund aveva vegliato il corpo della sua sposa, oppresso da un vuoto straziante che mai si sarebbe colmato, avesse vissuto anche cent’anni ed amato mille donne. La sua mente tornava ai tanti momenti felici passati insieme, ricordando il bagliore del suo sorriso, che non avrebbe più rivisto. Il crepitio dei ceppi arsi risuonava come una dolce melodia, diffondendo una tenue luce che donava ai gentili tratti avvizziti del viso di Maria qualcosa di ancor più doloroso.
Pervaso dai pensieri e da nuove paure, Sigmund camminava per la stanza in preda ad una strana frenesia, come se, all’improvviso, percepisse che anche la sua esistenza stesse volgendo al crepuscolo. Baciò dolcemente la fronte gelida della sua sposa, poi uscì all’aperto respirando profondamente nel tentativo di allontanare la nausea.
Intanto la tormenta di neve aveva esaurito il suo impeto ed il cielo mostrava il suo manto stellato che si era tenuto ostinatamente nascosto, al di sopra delle cupe nubi, per parecchi giorni. Incurante di vestire la pellegrina per proteggersi dal freddo polare, senza una ragione Sigmund si incamminò in direzione del lago. Il volto pieno della luna schiariva la notte e la bianca distesa, che celava ogni cosa, diffondeva la sua lieve luce accompagnando il passo incerto di Sigmund.
Sprofondando nella neve fresca fino alle ginocchia, giunse faticosamente allo specchio d’acqua che ora uno spesso tappeto di ghiaccio imprigionava e sulle cui sponde, nella bella stagione, amava sdraiarsi insieme alla sua sposa.
Con occhi smarriti e con la disperazione che gli lacerava il cuore, Sigmund si trovò nel suo mezzo senza rendersene conto. Ben sapendo che su quella lastra di ghiaccio così compatta non correva alcun pericolo, in un lampo di lucida follia, Sigmund confidò nell’esistenza di uno spicchio di lago ancora incerto che potesse cedere al suo peso ed accoglierne il corpo come un sepolcro. Tese fiducioso l’orecchio alla superficie cristallina, che però non scricchiolava, saltò allora con violenza cercando di infrangerla, ma la lastra resisteva rifiutando di soccombere all’insistenza del disperato gesto.
Come un fulmine che fende il cielo, un’avverabile immagine di un futuro prossimo irruppe nella sua mente e tristi visioni mostrarono il corpo di Maria adagiato nella fossa accanto alla tomba del figlioletto, poi, poco oltre, Sigmund ne scorse un’altra, anch’essa fresca di scavo, la sua fossa, la tomba di uno sposo disperato arresosi al dolore.
Ansimante alzò lo sguardo alle vette aguzze che il riverbero della romantica luna incorniciavano, riponendo l’insano pensiero. Il silenzio assoluto fu rotto dall’ululato lontano del capobranco, a cui seguì all’unisono quello degli altri lupi scesi a valle affamati. Nonostante il freddo intenso che intorpidiva gli arti, Sigmund si lanciò in una fuga convulsa, ruzzolando più volte ed affondando pesantemente nella neve dalla quale a fatica riusciva a riemergere.
Il lamento minaccioso degli animali si avvicinava con rapidità sorprendente e quando ormai Sigmund sentiva venire a meno le forze, la vista del campanile in lontananza gli infuse rinnovato vigore. Attraversò l’abitato urlando come un indemoniato per allertare gli abitanti già abbandonati al sonno, riuscendo a rinchiudersi nella propria casa nel preciso istante in cui il primo lupo sbucò dalla selva. Al sicuro nelle stalle, le vacche e le capre erano irrequiete.
Gli abitanti del villaggio, non nuovi alle scorrerie del lupo, avevano imparato a convivere col pericolo, ma la minaccia di attacchi li terrorizzava e gli episodi succedutisi negli ultimi anni non potevano essere certo già stati dimenticati. Troppo recente nella memoria di tutti era la sventura accaduta alla nonna dell’amico Johann, che uscita dietro casa per raccogliere un poco di legna, sotto l’infuriare della tempesta di neve, fu circondata da un branco di lupi e sbranata.
E come si poteva aver già cancellato il ricordo del disgraziato mendicante che l’anno prima fu straziato al limitare del bosco o del cavaliere e del suo cavallo smembrati sulla strada maestra all’imbrunire? Inorriditi gli abitanti del villaggio, all’indomani di quell’ennesima sanguinosa incursione, organizzarono in tutta fretta una battuta di caccia.
Il manipolo di cacciatori, messosi alla ricerca del branco, seguì le orme assassine impresse sulla neve fresca per oltre tre miglia, prima che le stesse si inoltrassero nel bosco. Gli uomini si disposero allora a rastrello, ma la troppa neve rese vano ogni loro goffo tentativo di uccidere i feroci carnivori, che fuggirono più a monte, nascondendosi ove la via per l’uomo diventa inaccessibile e persino il cane, al loro seguito, si mostrò riluttante a seguirne ancora le tracce.
«I lupi sono entrati nel villaggio» disse Sigmund senza riflettere, rivolgendosi al corpo inanimato di Maria.
Lo zampettare del branco lambì l’uscio di casa, mentre i latrati minacciosi portavano il terrore fra le mura domestiche dei valligiani. I muggiti ed i belati degli animali impauriti si fecero incontrollati, fintanto che un sparuto gruppetto di coraggiosi uscì sulle porte con torce e forconi, urlando all’impazzata con quanta voce avevano in corpo, mentre altri ancora percuotevano con forza, una contro l’altra, le pignatte, provocando un rumore infernale. Il frastuono durò a lungo e sempre più abitanti si erano uniti alla sarabanda, tant’è che i predatori spaventati si dileguarono nella selva.
La quiete calò nuovamente sul villaggio, ma solo i bambini più piccoli avevano ripreso il sonno. Sigmund ravvivò il fuoco ormai spento, poi si accucciò accanto alla compagna, cercando di mettere ordine nella sua mente e riflettendo sulle cose da fare non appena giunto il nuovo giorno.