Conversazioni sui Dieci tori dello Zen
«Sappiate traboccare d’energia e non siate avari. Non cercate di tenere per voi, non trattenete: condividete! Fate in modo che l’attenzione per le persone e le cose divenga il vero e proprio centro della vostra esistenza».
Tutti noi siamo alla ricerca di qualcosa. L’uomo in sé è una ricerca: essa inizia con la nostra nascita e prosegue fino e oltre la nostra morte. Questo, infatti, è il viaggio dell’uomo, dietro qualsiasi idea della vita si abbia, al di là di qualsiasi proiezione motivi il nostro agire.
Questa immediatezza non può rinunciare a rivestirsi di forme, se vuole proporsi come messaggio comprensibile all’uomo comune: ecco allora gli espedienti escogitati dai Maestri, che portano a comprensioni improvvise, vere e proprie implosioni di consapevolezza.
I dipinti dei Dieci tori dello Zen prima, le poesie poi, e infine i commenti si saldano in questa linea di immediatezza, creando un anello di congiunzione fra la realtà del “vuoto” che è la nostra natura originale e la capacità di penetrazione del discepolo.
Capacità che non va fraintesa: noi non vediamo il nostro volto originale semplicemente perché abbiamo la testa girata da un’altra parte. Con questi discorsi di Osho, ci è offerta la possibilità di entrare in quella dimensione di noi stessi che difficilmente i ritmi quotidiani stimolano. Ma, paradossalmente, è proprio da qui che ci viene la forza per esistere.
Entriamo dunque a respiraraci, andiamo e veniamo tra i colori del nostro essere… e d’un tratto, trionfanti, ci si ritroverà immersi nella gioia pura e semplice che noi tutti siamo.
Introduzione – Una gioia semplice
Ricerca del toro – Scoperta delle orme
Il silenzio è la risposta
Il respiro del silenzio
Scoperta del toro – Cattura del toro
Siate consapevoli! – Siate responsabili!
Domare il toro – Cavalcare il toro verso casa
Entrate!
Superamento del toro – Superamento del toro e del Sé
La vita è la meta
Giungere alla fonte – Tornare nel mondo
Note sull’autore
Nota biografica
Ci avviamo verso un insolito pellegrinaggio. I Dieci tori dello Zen rappresentano qualcosa di unico nella storia della consapevolezza umana. La verità è stata espressa in molti modi e sempre si è riscontrato che resta inespressa, qualunque cosa si faccia.
Comunque la si esprima, essa sfugge, si rivela elusiva. La verità sfugge semplicemente a ogni descrizione.
Le parole che si usano in proposito non riescono a contenerla e nel momento in cui vi siete espressi immediatamente vi sentite frustrati, come se aveste tralasciato l’essenziale, esprimendo unicamente ciò che non lo è.
I Dieci tori dello Zen sono un tentativo unico e globale di esprimere l’inesprimibile. Quindi, ecco prima di tutto qualcosa sulla storia di questi dieci tori.
Originariamente esistevano otto dipinti, non dieci; inoltre, essi non erano buddhisti, ma taoisti. Le loro origini sono andate perdute, nessuno sa in che modo tutto sia cominciato, né chi dipinse i primi tori; tuttavia nel dodicesimo secolo un Maestro Zen cinese, Kakuan, li ridipinse; e non si limitò a questo: aggiunse altri due dipinti, che da otto divennero dieci. I dipinti taoisti finivano all’ottavo: la vacuità, il nulla; ma Kakuan aggiunse altre due raffigurazioni: ecco il contributo essenziale dello Zen alla consapevolezza religiosa.
Quando ci si accinge a compiere un viaggio nella propria dimensione interiore si abbandona il mondo, si rinuncia a tutto ciò che ostacola il cammino, si rinuncia a tutto quello che non è essenziale, in modo da poter ricercare l’essenziale ed esplorarlo. Si cerca di sgravarsi di ogni fardello, affinché il viaggio diventi più agevole, perché il viaggio, questo viaggio, conduce alla vetta, a quanto di più elevato esiste: il vero e proprio apogeo delle possibilità umane, il vero culmine.
Si abbandona il mondo, rinunciandovi, ma non solo: si rinuncia alla mente, in quanto la mente è la causa alla base del mondo intero. Il mondo dei desideri, il mondo dei possessi, rappresenta solo la parte esterna; quella interna è rappresentata dalla mente: la mente colma di desideri e bramosie, la mente gelosa e competitiva, la mente piena di pensieri, quello è il seme.
Si rinuncia sia a quanto vi è di esterno, sia all’interiorità, divenendo vuoti: ecco cos’è la meditazione; si diviene totalmente vuoti, ma è questa la fine di tutto? Le raffigurazioni taoiste terminavano con il nulla.
Kakuan afferma che questa non è la fine: si ritornerà al mondo, si ritornerà alla piazza del mercato e solo in quel momento il cerchio sarà completo. Naturalmente, si ritorna completamente rinnovati; non si ha più nulla a che fare con il passato, che è scomparso, svanito per sempre. Si ritorna del tutto rinnovati, risorti, rinati: quest’uomo non era mai esistito in precedenza, quest’uomo arriva completamente nuovo e vergine.
Tuttavia si ritorna al mondo, vivendo nuovamente in esso eppure continuando a viverne al di là. Si diviene di nuovo normali, tagliando legna, traendo acqua dal pozzo, camminando, sedendo, dormendo; si diventa assolutamente normali. Intimamente il vuoto permane incorrotto: si vive nel mondo, ma il mondo non è nella nostra mente, il mondo non è dentro di noi; si vive senza essere toccati, simili a un fiore di loto.
Queste due raffigurazioni conducono colui che ricerca di nuovo nel mondo e Kakuan ha compiuto qualcosa di straordinariamente bello. Si ritorna alla piazza del mercato, ma non solo: si ritorna con una bottiglia di vino, ebbri, inebriati del divino, per aiutare altri a essere ebbri a loro volta, dato che molti hanno sete, molti stanno cercando, molti stanno barcollando sul loro cammino, molti giacciono nella più profonda oscurità. Si ritorna al mondo per compassione.
Si aiutano altri viaggiatori ad arrivare. Chi è giunto adesso aiuta altri viaggiatori ad arrivare. Chi si è illuminato ora aiuta altri a raggiungere
la stessa meta. E tutti, indistintamente, sono in cerca della stessa meta.
Gli otto tori taoisti vanno bene, ma non sono sufficienti; sono belli, ma in loro manca qualcosa. Il vuoto è perfetto, ma esiste una perfezione che ancora dev’essere raggiunta. Il vuoto è perfetto, lasciatemelo ripetere, ma ancora c’è una perfezione che deve essere acquisita. Il vuoto è perfetto in negativo. Aver rinunciato comporta un segno negativo: ancora non hai amato. Manca il positivo. L’infelicità se n’è andata, la sofferenza è scomparsa, ma tu ancora non sei in estasi. Hai raggiunto il silenzio e il silenzio è bello, ma il tuo silenzio non è ancora una realizzazione, non è ancora una forza straripante, non è una danza gioiosa del tuo essere interiore.
Qui Kakuan va oltre il Taoismo e il Buddhismo, in quanto entrambi si arrestavano al vuoto, come se il viaggio fosse giunto al termine. Sei arrivato in cima all’Everest, freddo, calmo, padrone di te stesso. Che senso ha ora ritornare alla piazza del mercato? Ma se la tua meditazione non diventa compassione, da qualche parte cela ancora il tuo ego: è un segno che la tua meditazione è ancora egoista.
Se non piangi, se gli altri non suscitano in te le lacrime e se non ti incammini di nuovo nel mondo per aiutare chi incespica, vuol dire che la tua meditazione non è ancora del tutto religiosa. Ti ha aiutato: può darsi che ti senta molto, molto bene, ma finché non si tramuterà in compassione e non ti farà straripare in tutte le direzioni, l’albero ha smesso di crescere, non è ancora fiorito. L’albero è verde, sano, ha un aspetto meraviglioso, ma un albero senza fiori è incompleto.
Un albero senza fiori può sembrare bello, ma ancora deve raggiungere una perfezione: deve fiorire, deve affidare ai venti la sua fragranza, solo così potrà essere trasportato ai confini ultimi dell’esistenza.
Kakuan riconduce nel mondo chi è alla ricerca. Naturalmente chi ritorna nel mondo è totalmente differente e naturalmente il mondo non può più essere lo stesso per lui. Egli va nella piazza del mercato ma resta in meditazione; ora la piazza del mercato non può più diventare una distrazione.
Se lo diventa, la tua meditazione non è ancora completa. Se qualcosa può distrarti, la tua meditazione è stata qualcosa di forzato: ti sei placato, in qualche modo ti sei controllato; la tua meditazione non è ancora spontanea, non è un fluire naturale; non ti è accaduta, tu l’hai fatta accadere. Da qui proviene la tua paura di ritornare nella piazza del mercato, nel mondo degli affari. […]
Osho (Kuchwada, 11 dicembre 1931 – Pune, 19 gennaio 1990), è stato un mistico e maestro spirituale indiano.
Osho era un professore di filosofia che abbandonò la carriera accademica per girare il mondo come maestro spirituale. Le sue posizioni anticonformiste suscitarono scalpore e reazioni controverse. Nel 1953, a ventun anni, visse l’esperienza mistica dell’Illuminazione. Iniziò a viaggiare per l’India, a tenere discorsi e a condurre campi di meditazione. Nel 1974 fondò un ashram a Pune che arrivò a ricevere trentamila visitatori l’anno.
I suoi insegnamenti sincretici enfatizzano l’importanza della meditazione, della consapevolezza, dell’amore, della creatività, dell’umorismo e di una gioiosa celebrazione dell’esistenza, valori che egli riteneva soppressi dai sistemi di credenze imposti dalla società, dalle fedi religiose e dalle ideologie. Osho invitò l’uomo a vivere in armonia e in totale pienezza tutte le dimensioni della vita, sia quelle interiori che quelle esteriori, poiché ogni cosa è sacra e ricolma del divino.
Fu un forte oppositore delle religioni organizzate e di ogni tipo di potere. Considerava tutte le tradizioni religiose come false credenze che reprimono l’uomo e lo allontanano dalla Verità.
Un Commento su ““La ricerca””
Ottimo libro intessuto con la solita ironia profonda e sarcastica di Osho. Al di là del fanatismo e delle religioni ecco un maestro che fa della libertà individuale e della consapevolezza il vero motore per la ricerca. Da leggere!