Il più importante libro di Ufologia di tutti i tempi
Edizione italiana a cura di Maurizio Baiata
Philip J. Corso, colonnello dell’Intelligence militare statunitense, nel 1961 gestì in totale segretezza i materiali derivati dall’incidente UFO di Roswell. Una storia destinata a restare per sempre nell’ombra se, poco prima di morire, Corso non avesse citato in giudizio l’Esercito USA, confermando in un affidavit la veridicità delle rivelazioni contenute nel suo libro. Vi si leggeva: «Nel 1961 venni in possesso del cosiddetto “Roswell File”. L’archivio conteneva fascicoli inerenti ricerche sul campo, rapporti di autopsia e frammenti tecnologici derivati dallo schianto di un veicolo extraterrestre a Roswell, New Mexico, nel 1947. Ho personalmente letto i documenti autoptici inerenti l’autopsia di una creatura che vidi nel 1947 a Fort Riley, nel Kansas. Tali documenti indicavano che l’autopsia fu eseguita all’Ospedale Walter Reed, un istituto in quel periodo sotto la giurisdizione del citato in giudizio. Il suddetto referto autoptico faceva riferimento all’essere come a una “Entità Biologica Extraterrestre”.»
Firmato: PHILIP J. CORSO (in congedo)
Edizione italiana di The Day After Roswell,© 1997 Rosewood Woods Books, Corso Holdings, LLC
Ringraziamenti
Prefazione di Maurizio Baiata – La nuova scienza
Prefazione di Paola Harris – Da Hynek a Corso
Introduzione di Philip J. Corso
Capitolo 1
Il Deserto di Roswell
Capitolo 2
Il Convoglio per Fort Riley
Capitolo 3
Gli Oggetti Recuperati a Roswell
Capitolo 4
L’ufficio Tecnologie Straniere del Pentagono
Capitolo 5
Il Cover-up
Capitolo 6
La Strategia
Capitolo 7
Le EBE
Capitolo 8
Un Progetto allo Stato di Partenza
Capitolo 9
Intenzioni Ostili e l’Altra Guerra Fredda
Capitolo 10
Il Programma U2 e il Progetto Corona: Spie nello Spazio
Capitolo 11
Il Progetto Base Luna
Capitolo 12
Il Circuito Integrato: dal Luogo del Crash di Roswell alla Silicon Valley
Capitolo 13
Il Laser
Capitolo 14
Il Progetto del Missile Antimissile
Capitolo 15
Il Mio Ultimo Anno alla Divisione R&D: gli Hoover Files, le Fibre Ottiche, le Fibre Super Tenaci e Altri dispositivi
Capitolo 16
Il raggio della morte di Tesla e l’arma a fascio di particelle accelerate
Capitolo 17
Le Guerre Stellari
Postfazione di Philip Corso
La carriera militare di PHhilip J. Corso
Appendice A
Project Horizon
Appendice B
Promemoria del Generale Twining
Appendice C
Rapporto del Generale Twining
Introduzione
di Philip J. Corso
Mi chiamo Philip J. Corso e per due incredibili anni all’inizio dei Sessanta, con il grado di tenente colonnello sono stato a capo dell’Ufficio Tecnologie Straniere nella Divisione Ricerca e Sviluppo dell’Esercito (U.S. Army R&D), al Pentagono. La mia vita di allora fu doppia, una alla luce del sole, l’altra segreta. In qualità di responsabile ricerca e valutazione dei sistemi d’arma per conto dell’Esercito, ebbi modo di studiare armamenti elicotteristici francesi, mezzi tattici di un sistema missilistico antimissile e nuove tecnologie per il vettovagliamento delle nostre truppe. Mi sono aggiornato, mediante relazioni tecniche e incontri con ingegneri collaudatori dell’Esercito, sia sui nuovi arsenali sia sulla destinazione di fondi di programmazione tecnica. Sottoponevo i loro rapporti al mio superiore, il Tenente Generale Arthur Trudeau, capo della Divisione Army R&D e responsabile di un organico di oltre tremila uomini, impegnato in progetti a livelli differenziati. All’apparenza, soprattutto agli occhi dei parlamentari preoccupati del giusto impiego dei soldi dei contribuenti americani, si trattava di semplice routine. In realtà, le mie mansioni alla R&D dell’Esercito includevano il ruolo di ufficiale di Intelligence e di consigliere per il Generale Trudeau, il quale aveva già diretto i servizi segreti dell’Esercito, prima di passare alla R&D. Avevo ricevuto un addestramento specifico durante la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra di Corea. Al Pentagono lavoravo in settori altamente classificati dell’intelligence militare e analizzavo le informazioni per conto del Generale Trudeau.
In Corea, nello stato maggiore del Generale MacArthur, mi resi conto che – nel 1961 e forse ancora oggi – mentre il popolo americano guardava in televisione Il Dr. Kildare e Gunsmoke, veterani americani della Seconda Guerra Mondiale e della Corea, erano rinchiusi in condizioni da gulag in campi di prigionia sovietici e coreani. Alcuni di loro, vittime di inimmaginabili torture psicologiche, non sarebbero mai tornati a casa.
Come ufficiale di intelligence, venni a conoscenza di un segreto inquietante: alcune delle più autorevoli istituzioni di governo erano state infiltrate da agenti del KGB e certi aspetti chiave della nostra politica estera venivano pilotati dal Cremlino. Lo testimoniai per la prima volta nell’Aprile del 1962 in sede di sottocommissione senatoriale presieduta dal Senatore Everett Dirksen dell’Illinois e, un mese dopo, direttamente al Ministro della Giustizia Robert Kennedy, il quale sono certo ne informò il fratello, il Presidente John Kennedy. Per ironia della sorte, dopo il mio congedo dall’Esercito, nel 1964 ero nello staff del Senatore Strom Thurmond e condussi indagini per conto del Senatore Richard Russell, membro della Commissione Warren.
All’oscuro di tutti, al centro della mia doppia vita e sepolto nel mio passato nei servizi segreti militari, al Pentagono c’era un armadietto singolo contenente il segreto più impenetrabile e protetto dell’Esercito: l’archivio Roswell, pieno di fascicoli, reperti e rapporti informativi, che riguardavano un’operazione notturna condotta da uomini del 509° stormo bombardieri della Base Aerea dell’Esercito, a Roswell. Nella prima settimana del Luglio 1947 i militari avevano recuperato i rottami di un disco volante precipitato nelle vicinanze della città, nel deserto del New Mexico. Il fascicolo Roswell rappresentava l’eredità tangibile di ciò che avvenne nelle ore e nei primi giorni successivi all’incidente, quando scattò il cover-up governativo ufficiale.
Mentre i militari si interrogavano sulla natura, la provenienza e le intenzioni degli occupanti dell’oggetto, venne costituito un gruppo segreto guidato dal direttore dell’Intelligence, l’Ammiraglio Roscoe Hillenkoetter per studiare l’origine dei dischi volanti, raccogliere tutte informazioni sulla fenomenologia degli incontri e, nel contempo, ufficialmente negarne l’esistenza. Tale operazione è stata condotta per cinquanta anni sotto varie forme, nel più totale e assoluto riserbo.
Non mi trovavo a Roswell nel 1947, né ero al corrente di alcun dettaglio sull’incidente, il muro di gomma per ovvie ragioni coinvolgeva anche l’interno degli apparati militari. Situazione comprensibile, se si ricorda l’epica “La Guerra Dei Mondi” messa in scena al Mercury Theater da Orson Welles nel 1938, trasmessa radiofonicamente in tutta la nazione. Il Paese sprofondò nel panico totale alla notizia dell’atterraggio di invasori marziani a Grovers Mills, nel New Jersey e all’attacco da loro sferrato contro la popolazione locale. La ricostruzione dei fatti, i racconti dei testimoni oculari atterriti dalle violenze e dall’impotenza delle nostre forze armate di fronte alle creature, fu altamente realistica. Sterminavano chiunque si frapponesse alla marcia su New York delle loro macchine da guerra, raccontava al microfono Orson Welles. In quella notte di Halloween il radiodramma generò un tale terrore e i militari apparvero così incapaci nel proteggere la popolazione, che le forze dell’ordine furono sommerse dalle chiamate di emergenza. Il Paese sembrò impazzire, e scricchiolarono le impalcature del potere costituito.
A Roswell però, nel 1947 un disco volante atterrò veramente. Niente fantasie, la pura realtà. I militari nulla poterono per impedirlo e l’ultima cosa che le autorità volevano era ritrovarsi alle prese con un’altra “Guerra dei Mondi”. Ecco spiegata la disperata necessità di insabbiare tutta la storia. Inoltre, sulle prime, l’Esercito ritenne che il velivolo potesse essere una nuova arma sperimentale sovietica, infatti era simile ad alcuni velivoli tedeschi costruiti verso la fine della guerra, in particolare all’ala volante a mezzaluna progettata da Horton. E se i Sovietici avessero sviluppato una loro versione dell’ala volante?
I resoconti sull’incidente nei dettagli differiscono. Non avendo vissuto direttamente i fatti, mi sono attenuto a diverse fonti, anche militari. Fra le versioni emerse nel corso degli anni, il ritrovamento dei rottami del velivolo era stato attribuito a un gruppo di archeologi, o al mandriano Mac Brazel. Per il punto di impatto, i rapporti militari che ho letto si riferivano a diverse località, alcune non lontane dalla base aerea di Roswell, come San Augustin e Corona, altre a siti più vicini alla cittadina. Erano tutti rapporti classificati, pertanto non ho potuto trattenerne o farne copia per uso personale dopo il congedo. Per la datazione, si davano indicazioni sul due, il tre e il quattro di Luglio. In ogni caso, pur nell’intreccio di discussioni sulla sequenza dei fatti, un elemento essenziale coincide: qualcosa cadde nella piana desertica di Roswell, nelle immediate vicinanze di installazioni militari estremamente nevralgiche, come Alamogordo e White Sands, tanto da indurre l’Esercito a reagire rapidamente e convulsamente appena venne a conoscenza dell’incidente. Indipendentemente dalle discrepanze rilevate nei resoconti, il file top secret su Roswell giunse nelle mie mani nel momento in cui, nel 1961, fui incaricato di dirigere l’Ufficio Tecnologie Straniere della R&D. Il mio capo, il Generale Trudeau mi chiese di utilizzare i programmi sugli armamenti dell’Esercito per far affluire le scoperte sulla “tecnologia Roswell” alle industrie appaltatrici nel campo della difesa. Oggi sono d’uso comune i laser, i circuiti integrati, le reti a fibre ottiche, i dispositivi a fasci di particelle accelerate e il Kevlar dei giubbotti antiproiettile. Ma le loro matrici furono scoperte all’interno dello scafo alieno precipitato a Roswell e la loro esistenza era ampiamente documentata nei fascicoli giunti nel mio ufficio, quattordici anni dopo. E questa è solo una parte della storia. Nelle concitate ore che seguirono il ritrovamento di Roswell, l’Esercito ragionò per esclusione e, in mancanza di informazioni alternative, concluse che il velivolo doveva essere extraterrestre. […]
Maurizio Baiata, giornalista musicale e investigativo, si formava negli USA, al Progresso Italo Americano. In co-direzione con Roberto Pinotti, nel 1995 pubblicava la rivista “Notiziario UFO” del CUN e il bimestrale “Dossier Alieni”, seguiti nel 1997 dall’enciclopedia multimediale UFO Dossier X (Fabbri Editori). Curava quindi la pubblicazione di testi di Philip Corso e Michael Wolf, dirigeva la video enciclopedia Stargate (A. Curcio Editore) e vari periodici, fra cui “Area 51” e “X Times”, che lasciava nel 2009 per trasferirsi in Arizona e dirigere il prestigioso “Open minds magazine”. Rientrato in Italia, dava alle stampe il libro Gli alieni mi hanno salvato la vita (X-Publishing, 2011, Verdechiaro, 2013) e, nel 2014, I guardiani del cielo (Verdechiaro), seconda edizione di The catchers of heaven di Michael Wolf. Di recente, ha ripreso a occuparsi di musica, collaborando con Franco Battiato.