Il Romanzo che ha già venduto più di 1 milione di copie negli Stati Uniti
Dopo 7 anni, finalmente anche in Italia il secondo romanzo di W. Paul Young, autore del bestseller Il Rifugio.
È la storia di un uomo prigioniero della sua stessa creazione. Anthony Spencer è un uomo egoista, orgoglioso del suo successo come self-made man, seppur raggiunto a costo di scelte dolorose.
Un’emorragia cerebrale lo lascia in coma in ospedale. Si “risveglia” in un mondo surreale, che rispecchia la sua vita sulla terra, nel bene e nel male. È qui che, forse per la prima volta nella sua vita, ha incontri genuini con altre persone, che gli danno una speranza di redenzione.
Avrà il coraggio di fare la difficile scelta che gli permetterà di risolvere l’ingiustizia commessa prima di cadere in coma?
Cross Roads parla di scelte, di partecipazione, di relazioni, parla delle conseguenze delle nostre azioni. E’ il luogo dove tutto crolla, tutto viene sfidato, perché possa emergere la possibilità di un cambiamento genuino.
Fa ridere e piangere, sorprende e meraviglia: è una testimonianza della ricerca della bellezza e dell’autenticità, e del bisogno che ne abbiamo.
E’ un viaggio dentro la mente e dentro il cuore di Anthony Spencer, che ti porterà ad esplorare anche la tua mente ed il tuo cuore.
Infatti, come Anthony, tutti noi siamo chiamati a compiere delle scelte, ad attraversare delle strade, a guardarci negli occhi, ad amarci l’un l’altro.
Guarda il video di presentazione.
2. Polvere alla polvere
3. C’era una volta
4. Casa è dove dimora il cuore
5. Alla fine ne restò uno solo
6. Conversazioni accalorate
7. Scivolando via
8. Che cos’è l’anima di un uomo?
9. Una tempesta di collegamenti
10. Doppia-mente
11. Nelle pieghe delle cose
12. L’infittirsi delle trame
13. La guerra dentro
14. Faccia a faccia
15. Nao
16. Un gioco da ragazzi
17. Stanze chiuse
18. Strade che si incrociano
19. Il dono
20. Ora
Una nota ai lettori e ringraziamenti
1
Nuvole di tempesta
Il più esecrabile tra gli uomini
è colui che dei propri sogni fa oro e argento.
Khalil Gibran
Certi anni a Portland, in Oregon, l’inverno è un bullo che sputa ghiaccio e lancia neve a sbuffi sincopati, strappando con malagrazia le giornate alla primavera, reclamando una sorta di arcaico diritto a restare il re delle stagioni; il vano tentativo di imporsi dell’ennesimo aspirante al trono.
Quell’anno non fu così. L’inverno si era rannicchiato in un angolo come una donna picchiata, poi se n’era andato a testa bassa, ammantato in stracci laceri bianco sporco e marrone corteccia, senza alcuna promessa di tornare. La differenza tra la sua presenza e la sua assenza era stata quasi impercettibile.
Ad Anthony Spencer non importava particolarmente. L’inverno era una seccatura, ma la primavera non gli dava alcun piacere. Se ne avesse avuto facoltà, li avrebbe rimossi entrambi dal calendario, insieme alla parte umida e piovosa dell’autunno. Un anno di cinque mesi gli sarebbe andato decisamente più a genio; di sicuro l’avrebbe preferito a quei lunghi intermezzi di incertezza.
Nel mezzo di ogni primavera si domandava perché ancora vivesse nel Nordovest, ma l’anno seguente si sorprendeva a porsi nuovamente la stessa domanda. Forse una noiosa consuetudine forniva comunque una certa forma di rassicurazione. L’idea di cambiare realmente vita lo inquietava.
Più consolidava le sue abitudini, le piccole sicurezza, meno riusciva a credere che qualcos’altro valesse lo sforzo, ammesso anche che fosse realmente praticabile. La routine, per quanto a volte fosse dolorosa, aveva il pregio della prevedibilità.
Si appoggiò allo schienale della poltrona e alzò lo sguardo dalla scrivania ingombra di carte, per guardare lo schermo del computer. Con la pressione di un tasto poteva controllare ciò che vedevano le telecamere installate nelle sue proprietà: l’appartamento nel condominio adiacente al luogo dove si trovava; il suo principale luogo di lavoro, in una posizione strategica in centro a Portland, a mezza altezza in un palazzo di uffici; la sua casa dei fine settimana sulla costa e una più grande, nelle West Hill.
Osservava e tamburellava incessantemente con un dito sul ginocchio. Tutto era tranquillo, quasi il mondo stesse trattenendo il respiro. C’erano tanti modi per essere soli. Benché le persone che interagivano con Tony per motivi di lavoro o negli ambiti sociali non l’avrebbero mai detto, non era un uomo allegro.
Era determinato, e alla costante ricerca del prossimo vantaggio. Per questo a volte doveva sembrare estroverso e socievole, sorridere, guardare gli altri negli occhi e stringere loro la mano con convinzione. Non lo faceva perché veramente li rispettasse, ma perché chiunque poteva avere informazioni preziose per ottenere il successo. Le numerose domande che faceva simulavano un’aura di autentico interesse che dava agli altri la sensazione di essere veramente importanti, ma anche uno strisciante senso di vuoto.
Era noto per le sue attività filantropiche e comprendeva l’importanza della compassione per il raggiungimento di obbiettivi più strategici. Chi la provava veramente era più facile da manipolare. Dopo svariati tentativi insoddisfacenti era giunto alla conclusione che gli amici, di qualunque livello, erano un pessimo investimento. C’era così poco profitto. Gli affetti autentici erano poco pratici ed erano un lusso per il quale non aveva abbastanza tempo o energie.
Misurava il vero successo nella gestione e nello sviluppo di proprietà immobiliari, in svariate imprese commerciali e in un sempre crescente portafoglio azionario, che facevano di lui un severo negoziatore e un uomo d’affari rispettato e temuto. Per Tony la felicità era uno sciocco sentimento impermanente, un vapore, se paragonato al profumo di un potenziale affare e all’inebriante retrogusto
della vittoria. Come lo Scrooge di Dickens, strappare le ultime vestigia di dignità da chi aveva di fronte lo deliziava, soprattutto se si trattava di impiegati che faticavano per paura, più che per rispetto.
Quando sorrideva, si poteva quasi pensare che Tony fosse un bell’uomo. Aveva la fortuna di essere alto più di un metro e ottanta e di avere una folta capigliatura, che anche a metà della quarantina non accennava a diradarsi, nonostante il grigio avesse iniziato a comparire sulle tempie. Palesemente anglosassone, un che di più scuro e sottile ammorbidiva i suoi lineamenti, e si notava soprattutto nei rari momenti in cui la tipica compostezza da affarista si scioglieva in una fragorosa risata.
Sotto ogni punto di vista era ricco, realizzato e uno scapolo appetibile. Amava le belle donne e faceva abbastanza esercizio da restare in forma, tanto che non gli era difficile mimetizzare il timido accenno di pancetta. Le donne andavano e venivano, le più sagge piuttosto in fretta, e si sentivano sempre in qualche modo sminuite da quell’incontro.
Si era sposato due volte, con la stessa donna. Dalla prima unione, avvenuta quando erano entrambi poco più che ventenni, erano nati un figlio e una figlia. Quest’ultima era ormai una giovane donna piena di rabbia, che era andata a vivere dall’altra parte del paese, non lontano dalla madre. Il figlio invece era un’altra storia.
Il matrimonio era sfociato in un divorzio per differenze inconciliabili, una banale storia di disamoramento calcolato e cinica mancanza di considerazione. Nel giro di pochi anni, Tony aveva ridotto il rispetto di sé e l’autostima di Loree in brandelli irriconoscibili.
Il problema era che lei si era fatta da parte senza protestare, quindi non contava come una vera vittoria. Così Tony aveva trascorso i due anni seguenti a riconquistarla, organizzando una splendida festa per il secondo matrimonio, e due settimane dopo le aveva presentato i documenti di divorzio per la seconda volta.
Qualcuno aveva bisbigliato che fossero stati preparati ancor prima che l’inchiostro sui nuovi certificati di matrimonio si fosse asciugato. Lei gli si era scagliata contro con tutta la furia di una donna rifiutata e lui l’aveva distrutta finanziariamente, legalmente e psicologicamente. Una vittoria nettissima. Era stato un gioco spietato, ma soltanto per lui.
Il prezzo che aveva pagato era stato la perdita della figlia, un pensiero che emergeva come uno spettro tra le ombre di un po’ troppo Scotch, una nube nera che avrebbe ben presto dissipato nel turbine del lavoro e dei successi.
Loro figlio era uno dei principali motivi per quello Scotch, una medicina di facile reperibilità per smussare gli spigoli seghettati del ricordo e del rimpianto e per mitigare le dolorose emicranie che gli facevano sempre più spesso compagnia.
Se la libertà è una conquista progressiva, lo stesso vale per il propagarsi del male. Lievi correzioni alla verità e innocenti giustificazioni, con il tempo, erigono un edificio che mai si sarebbe potuto prevedere. Vale per un Hitler, uno Stalin o una persona comune.
La dimora interiore dell’anima è magnifica, ma fragile; tradimenti e bugie incastonati nelle sue pareti e nelle fondamenta deviano la costruzione in direzioni inimmaginabili.
Il mistero di ogni animo umano, compreso quello di Anthony Spencer, è profondo. Era nato in un’esplosione di vita, un universo interiore in espansione, nel quale erano coagulati sistemi solari e galassie di inimmaginabili simmetria ed eleganza. In esso perfino il caos recitava un proprio ruolo e l’ordine ne emergeva come un effetto collaterale. Luoghi di sostanza entravano nella danza di forze gravitazionali in competizione, ciascuno aggiungendo una propria rotazione all’insieme, spostando i personaggi di quella coreografia cosmica e allontanandoli in un continuo avvicinarsi e allontanarsi di tempo e musica.
Lungo quel cammino, il dolore e la perdita si erano abbattuti su di lui, costringendo quelle insondate profondità a perdere la loro delicatissima struttura e a collassare su se stesse. Le onde del deterioramento si erano propagate sotto forma di paure autodifensive, ambizione egoistica e la perdita di qualunque tenerezza.
Ciò che era stato un’entità vivente, un cuore di carne, divenne pietra; una piccola roccia indurita dimorava in quel guscio, l’involucro del corpo. Un tempo la forma era stata espressione della meraviglia e della magnificenza interiori, ma ormai era priva di supporto, mera facciata in cerca di un cuore, stella morente affamata dal proprio stesso vuoto interno. […]
W. Paul Young (1955), nato in Canada, è cresciuto tra le tribù indigene con i genitori missionari nella Nuova Guinea Occidentale.
Vivendo a stretto contatto con i nativi, ebbe la possibilità, come primo ragazzo bianco e straniero che parlava la loro lingua, di accedere alla loro cultura e ai loro usi.
A sei anni ritornò in Canada per iniziare la scuola. Dopo aver sofferto gravi perdite nell’infanzia e nella giovinezza, ha cresciuto 6 figli e vive con la famiglia negli Stati Uniti.
Il motivo che spinse inizialmente Paul Young a scrivere fu l’idea di creare dei regali speciali per i propri amici, finché sua moglie lo spinse a scrivere qualcosa anche per i loro sei figli.
Dal desiderio di esplorare il rapporto dell’uomo con Dio in situazioni di trauma e disperazione nacque il suo primo libro, Il Rifugio, inizialmente rivolto solo ai suoi bambini.
Oggi Il Rifugio è un bestseller in tutto il mondo, con oltre 18 milioni di copie vendute.
6 Commenti su “Cross Roads”
Premesso che sono agnostica rispetto alle religioni, e non per le “prove provate” ma per i danni morali e fisici che storicamente hanno procurato. Questo libro; come il primo che lessi dello stesso autore, mi ha colpito , è candore sofisticato, semplice ma profondo, tocca corde che paiono morte e le risveglia, questo avviene ancor di più nel tempo, dopo la lettura.
Inoltre è stupendo l’approccio divertente e fantasioso. un buon libro, che arricchisce sicuramente.
Grazie Nadia, è proprio così, Cross Roads è un libro speciale. Basta non avere pregiudizi e la Vita ci riserva sorprese infinite 🙂
Un abbraccio!
Ammetto che, pur spinto dalla curiosità, ho iniziato a leggere con diffidenza… Poi questo libro ha fatto tutto da sé: mi ha preso per mano e passo dopo passo, ogni barriera ha perso colore e suono, forma e consistenza. Lo consiglio a chi vuole fare un viaggio speciale, dedicarsi uno spazio tutto suo in un giardino fiorito o semplicemente cominciare a volersi bene… Non è mai troppo tardi per niente. 🙂
infatti grazie Lucas del tuo commento hai colto l’essenza.
Leggere Cross Roads mi ha permesso di seguire il cammino di un uomo che scopre se stesso in una condizione diversa da quella fino ad allora concessagli, ricca di soddisfazioni materiali e impregnata di autosufficienza, di gerarchia imposta, di egoismo. Un cammino di redenzione che solo uno stato fisico diverso (il coma) gli permette di seguire, scoprendo un mondo prima sconosciuto, precluso. Ma questo nuovo mondo si manifesta progressivamente, con la graduale perdita di tutte le false certezze acquisite, in tutto il suo splendore. E’ trasformazione alchemica della umana superbia in sofferenza e, di poi, di prova in prova, in un nuova coscienza sostanziata di improvvise incertezze, di ravvedimenti… E, finalmente, dopo il determinante incontro col divino e, subito dopo, ancora con l’umano “metafisicizzato” (chi ha letto mi capirà), l’approdo a una condizione di pace che è sinfonia di condivisione, rispetto e amore per l’umanità. Sì, un’opera “corale” questa di Young che aiuta a riflettere sulla debolezza umana ma anche sulle enormi potenzialità di ciascuno. Tutti possiamo liberarci da soffocanti griglie imposte, da catene e da stati di violenza, piccola o grande, perpetrata quotidianamente. E lo si può fare anche con quella sottile e intelligente ironia che lo stesso Paul Young magistralmente ci insegna.
La ringraziamo per il Suo commento preciso, profondo, una vera sintesi del contenuto di questo importante libro unico e in qualche modo multidimensionale, ogni lettore si puo’ specchiare nelle profondità di se stesso attraverso questa lettura anche ironica a tratti e intelligente.