Simbolismo de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry con il testo integrale
«Ed è così che il bambino prende per mano l’adulto e lo convince a seguirlo in un sogno che è più vasto e significativo di una qualsiasi forma di realtà.»
Il Piccolo Principe rappresenta un’opera di grande significato evolutivo per chi le si accosta, e permette di vivere una esperienza unica sul piano spirituale e intellettuale. Guerrera propone un viaggio attraverso emozioni e figure allegoriche nell’universo costellato di simboli che l’autore francese racconta in maniera apparentemente lieve.
La rosa, con i suoi accostamenti ad amore e sofferenza, non a caso usata come emblema da gruppi a orientamento mistico-filosofico. La Volpe, vero e proprio simbolo dell’eterno femminino, riassunto mirabilmente dall’arcano undici dei tarocchi, che indica proprio “l’addomesticamento” della natura bruta.
Il serpente, emblema di conoscenza e crescita per eccellenza. Colui che dà e toglie la vita, ma che insegna al saggio il potere senza tempo delle perenni metamorfosi.
Questo è un viaggio di coscienza e di conoscenza, che nasconde insegnamenti, racchiude misteri e svela qualche segreto.
Il Deserto e la Rosa propone anche la nuova traduzione (e adattamento) ad opera dello stesso autore.
Iniziazione alla vita. Saint-Exupéry e il volo della mente di Giuseppe Panella
Introduzione
Il Deserto
Il Silenzio
La Rosa
La Volpe
Il Rito
Il Serpente
Il Piccolo Principe
Traduzione e adattamento di Guido G. Guerrera
di Giuseppe Panella
«Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.»
(Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, cap. XXI)
Questo è un viaggio di coscienza e conoscenza, un iter iniziatico vero e proprio che nasconde insegnamenti, contiene simboli, racchiude misteri e svela qualche segreto. Come ogni percorso di conoscenza va fatto con molta attenzione al paesaggio interiore che propone e chi si mette in cammino deve sapere che si scontrerà con i mille ostacoli che la sua stessa natura interpone costantemente. Leggere Il Piccolo Principe è un’avventura intellettuale pregevole che per chi ha lo sguardo lungo può trasformarsi nell’apertura di orizzonti spirituali inimmaginabili. L’autore ha fatto una cosa deliziosa scrivendo la sua storia, consegnandola così a una fama e a una gloria senza tempo: ha usato il metro della semplicità per alludere a un universo tutt’altro che semplice e anzi davvero molto complesso. (Si legge nell’incipit del libro di Guidi Guerrera, a p. 15).
Le Petit Prince è sicuramente il libro più famoso di Antoine de Saint Exupéry (che peraltro non ha scritto molto altro a parte Terra degli uomini, il bellissimo Volo di notte e qualche racconto tra cui L’aviatore, Pilota di guerra e molti cahiers di appunti e aforismi postumi), il libro che gli diede la fama e continua a dargliene a tutt’oggi, presso i bambini (cui apparentemente sembra rivolto) e gli adulti, presso raffinati intellettuali e i lettori comuni. È anche il libro in cui, dietro apparenza favolistica e apparentemente svagata, distratta, lo scrittore-pilota espone la propria concezione del mondo e cerca di trasformarla in saggezza condivisa e in grado di essere accettata da tutti.
Isabella Bossi Fedrigotti rievocando il suo rapporto conflittuale con l’opera di Antoine de Saint-Exupéry scrive che probabilmente lo sguardo dello scrittore sul mondo è stato aereo e totalizzante, tale da abbracciare la realtà della vita (della natura e dell’umanità) in maniera assoluta:
Dall’alto dei suoi voli notturni e diurni l’autore deve aver guardato bene il mondo, leggendolo come una carta geografica che da lontano si riesce a distinguere con più chiarezza. E assieme ai paesaggi – il giallo dei campi di grano, il bianco delle strade, il verde chiaro dei prati, quello più scuro dei boschi, l’argento luccicante dei laghi e dei fiumi – deve aver avuto modo di osservare anche i personaggi, uomini e donne piccoli piccoli laggiù sulla Terra, agitati, inquieti. Con una buffa tendenza ad andare avanti e indietro, a muoversi in tondo, a girare a vuoto. (Cito dalla Prefazione alla traduzione italiana edita da Rizzoli del 2002).
Se la Bossi Fedrigotti ha ragione (come è probabile anche tenendo conto della passione aviatoria di Saint-Exupéry e la sua infaticabile attività di aviatore), è anche altrettanto probabile che nel suo libro maggiore ci sia qualcosa, anzi molto, di più. Guido Guidi Guerrera prova, con la consueta capacità analitica e con la consueta volontà di scendere in profondità nei problemi pur riuscendo a coglierne la verità della superficie, a leggere in chiave simbolica la parabola del Piccolo Principe e a trovarne in una manciata di figure narrative (ma anche esistenzialmente pregnanti) il messaggio più riposto, tanto più espresso con semplicità e nitore quanto più riconducibile a una dimensione altra che lo sovrasta e lo determina.
Il deserto innanzitutto domina la narrazione di Saint-Exupéry e la incornicia con i suoi silenzi e le sue paure, le sue trappole e il suo freddo esistenziale, i suoi ostacoli e le sue malie:
In questa meravigliosa favola, il deserto e il silenzio sono i veri e assoluti protagonisti: c’è quello del Sahara, colorata distesa di sabbie senza apparente soluzione di continuità in cui lo sguardo si perde e l’anima trema. E quello in miniatura del Piccolo Principe, esiguo e claustrofobico, interiorizzato e opprimente dal quale lui vuole scappare. Un microcosmo che gli va stretto come un paio di scarpe che a ogni passo procurano dolore, ma il macro come il microcosmo soggiacciono a leggi identiche: nessun luogo è nemico se ciascuno di noi riesce a far pace con se stesso e con gli altri (p. 19).
Poi il silenzio come momento di consapevolezza e di conoscenza di sé, in un rapporto stretto e assolutizzante con il proprio spirito inquieto ma continuamente rigenerato dalla vita:
Deserto, acqua, solitudine e silenzio: il fuoco delle sabbie, l’acqua del pozzo, l’aria della solitudine e la terra del silenzio. I quattro elementi sono ben rappresentati nella fiaba e si esaltano mirabilmente nelle dimensioni ultraterrene rappresentate dal firmamento in cui brilla la stella che è il pentalfa, il pentagramma nel quale proprio il vertice rappresenta l’Akasha, lo Spirito. Questa chiave interpretativa non è pretenziosa o perfino forzata ma tende a scrutare il valore degli attributi qualificativi in cui si muove la dinamica del racconto (p. 36).
Ma oltre il deserto sorge la rosa, l’“archetipo di se stessa” (come ha scritto Borges in un suo testo finale e dolorosamente splendente), il fiore che, però, viene mangiato dalla pecora: la bellezza, dunque, viene cancellata, praticamente ingoiata, dalla mancanza di grazia e di intelligenza riguardo a ciò che è armonia e conoscenza, dall’ignoranza di ciò che merita di essere
conosciuto e amato.
La rosa rossa del libro – sostiene Guerrera – è un richiamo alla Confraternita dei Rosa Croce, il misterioso gruppo di esseri illuminati che si dicevano in grado di conoscere tutto lo scibile e di governare il mondo. E dunque ritorna all’aspirazione a un sapere segreto e nascosto ma benefico e positivo in grado di aiutare il mondo a superare le sue difficoltà.
Guerrera evoca ancora il rito come la ripetizione del sogno e la sua perpetuazione e poi il serpente quale impulso alla conoscenza come vitalità infinita e guida spirituale. La sua figura sinuosa è il simbolo della conoscenza totale che chiude il cerchio del rapporto tra essere e divenire (come nel caso della rappresentazione dell’eterno ritorno come congiunzione senza discontinuità tra fine e inizio, tra vita e morte, tra corpo e spirito, il mitico ouroboros noto fin dall’antichità più remota):
Abbiamo già visto come il serpente che si morde la coda giunga a noi dall’antichissima tradizione gnostica e alluda all’eternità, alla ciclicità inesauribile del tempo e al suo perenne ritorno. E nella cultura induista la Kundalini detta anche “serpente di fuoco” rappresenta quel flusso di energia vitale che sbocciando dalla base della spina dorsale la percorre tutta fino alla sommità del capo. […] La conquista del sapere implica grande attenzione e una perfetta, per quanto possibile, aderenza al proprio “centro di gravità”, perché anche ciò che si è ottenuto deve essere oggetto di cura assidua. Se abbassiamo la guardia rischiamo sempre che una pecora venga a mangiarci la nostra rosa che vive solo della nostra dedizione (p. 59).
Ma uno dei personaggi più significativi de Le Petit Prince è sicuramente la volpe, la bellezza che vuole essere addomesticata per salvarsi e salvare l’ideale stesso che rappresenta, e ad essa il commentatore de Le Petit Prince dedica alcune pagine esemplari, perché evoca la Natura che deve essere trasformata in Bellezza e “addomesticata” affinché diventi un’alleata dell’uomo:
Secondo un mito giapponese la volpe, chiamata Kitsune, simboleggia l’anima ma anche la donna. Da un lato ti può redimere ma se non ne comprendi a fondo la natura puoi smarrirti perché la volpe è una seduttrice e contiene tutte le componenti della personalità lilithiana. Anche secondo il buddismo, raggiunta una certa età, le volpi possono cambiare aspetto e trasformarsi in creature femminili vampiresche e forme demoniche capaci di entrare alla stregua degli incubi di estrazione occidentale nei sogni dei dormienti determinando forme di possessione. In questo clima di ambiguità va fatta una certa chiarezza attraverso un esempio lampante. Se il fuoco possiede la doppia prerogativa di scaldare e di incenerire non dipende dalla sua incolpevole essenza ma dall’uso che se ne fa (p. 45).
Le epifanie evocate nel testo di Saint-Exupéry trovano così accoglienza e spiegazione analitica nella lettura che Guerrera ne fa attraverso molti richiami alla sapienza degli antichi (e dei moderni – nel libro si incontrano sovente citazioni e aneddoti legati alla misteriosa figura di Aleister Crowley che vengono usati come esemplificazioni autorevoli riguardo alla dimensione esoterica del libro). Ma quello che, a mio avviso, l’autore vuole partecipare ai suoi lettori è la qualità della comunicazione letteraria del racconto a episodi di Saint-Exupéry: un breve apologo sulla vita e sulle sue verità più profonde che a distanza di più di settant’anni dalla sua pubblicazione non cessa ancora di affascinare i suoi lettori (e anche chi, come me, si è sempre voluto sottrarre al suo incanto soffuso e delicato).
Introduzione
Animula vagula blandula
Hospes comesque corporis,
Quae nunc abibis in loca
Pallidula rigida nudula,
Nec, ut soles, dabis ioco.
(Publio Elio Traiano Adriano)
Questo è un viaggio di coscienza e conoscenza, un iter iniziatico vero e proprio che nasconde insegnamenti, contiene simboli, racchiude misteri e svela qualche segreto. Come ogni percorso di conoscenza va fatto con molta attenzione al paesaggio interiore che propone e chi si mette in cammino deve sapere che si scontrerà con i mille ostacoli che la sua stessa natura interpone costantemente. Leggere Il Piccolo Principe è un’avventura intellettuale pregevole che per chi ha lo sguardo lungo può trasformarsi nell’apertura di orizzonti spirituali inimmaginabili.
L’autore ha fatto una cosa deliziosa scrivendo la sua storia, consegnandola così a una fama e a una gloria senza tempo: ha usato il metro della semplicità per alludere a un universo tutt’altro che semplice e anzi davvero molto complesso.
Analizzando in chiave simbolica alcuni degli elementi topici del racconto cercherò io stesso di mantenermi nella identica dimensione dello scrittore, perché complicare o “rivisitare” un tessuto narrativo perfetto sarebbe far torto specialmente all’anima bambina evocata e a quanti, me compreso, sperano e tentano di recuperarla quale parte migliore di sé.
Innanzi tutto confesserò al pubblico dei lettori che a spingermi e convincermi a svolgere questa indagine tra le pieghe del “Principe” sono stati essenzialmente le iperboli, i voli pindarici, le stralunatezze e il surreale “ragionato”. Questi ingredienti stilistici sono essenziali e non prescindono affatto da quel tipo di viaggio cui intendono alludere ma anzi ne sono pretesto e motivo.
Il viaggio del Piccolo Principe è notoriamente circolare: parte da un punto per fare ritorno al medesimo. È l’eterna odissea dell’uomo che in nome di un qualche ideale spalanca panorami siderali sul proprio essere costringendolo a conoscere, a meravigliarsi, a crescere e ad aprire il dibattito senza tempo tra vita e morte. Il protagonista viene fatto apparire come il perenne bambino, tuttavia l’acquisizione di una coscienza sempre più raffinata e il contrasto con forme di realtà non note e non sempre gradite lo portano a incontri che segnano.
È inutile perfino sottolineare come l’autore e la sua creatura siano l’identica cosa, come l’aviatore incontri se stesso proprio nel deserto che è luogo di smarrimento ma anche di prodigioso anelito spirituale. Lo scrittore lì fa i conti con il proprio “io” e l’essere alieno che per volere del caso conosce lo conduce per mano verso sentieri assolutamente mai esplorati prima, lo provoca con dolcezza infantile e lo sfida con la forza dell’ineluttabile.
Un Don Juan fanciullo, in qualche misura, che racconta dell’esistenza di mondi lontanissimi e straordinari governati da leggi e sovrani bislacchi, da creature daliniane. Ed è così che il bambino prende per mano l’adulto e lo convince a seguirlo in un sogno che è più vasto e significativo di una qualsiasi forma di realtà. Lo scrittore apparentemente asseconda il suo personaggio, a partire dal disegno della pecora, ma è solo perché il Piccolo Principe detti i suoi codici e disegni un mondo completamente e meravigliosamente nuovo. […]
Guido G. Guerrera, giornalista e scrittore, collabora alle pagine de “La Nazione” e di “QN”. È inoltre “firma” del quotidiano online “Bergamo Post”.
Considerato dalla stessa Fernanda Pivano “uno dei massimi esperti della vita e delle opere di Ernest Hemingway in Italia”, è relatore da molti anni del “Coloquio Internacional E. Hemingway” che riunisce studiosi dello scrittore.
Appassionato di filosofie orientali e occidentali ha esplorato sempre nuovi stilemi scrivendo opere su argomenti diversi.
Per Verdechiaro Edizioni ha già pubblicato Battiato, Another Link e Avatar
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