«LA PERFEZIONE ESISTE E HA DEI DIFETTI BELLISSIMI,
DISSE QUALCUNO UNA VOLTA. »
Romanzo
“La dea dei golosi” è il nome di un piccolo ma elegante ristorante sito nell’entroterra di un luogo che non viene menzionato. La proprietaria, Celeste, è una donna di oltre settant’anni, ancora bella nonostante l’età, che non si è mai sposata e che lo gestisce con grande passione insieme a vecchie amiche di famiglia.
La sera di un giorno di chiusura settimanale del locale, Celeste invita a porte chiuse il commissario di polizia della vicina cittadina, decennale cliente, al quale serve una prelibata cena a base di specialità liguri, a suo tempo insegnatele dalla
madre. Dietro tale pretesto si cela in realtà l’intenzione di confessare all’uomo segreti alquanto sconvolgenti a proposito del suo passato.
Ma non solo. La donna narrerà infatti anche dell’incontro con Gabriele, un
barbone conosciuto un giorno come tanti nel parco della vicina città, con un
vissuto molto doloroso alle spalle. Due persone accomunate da uno stesso
beffardo destino che la vita finalmente mette assieme, quasi a voler simboleggiare un riscatto a tanta amarezza.
Ma è davvero la verità quella che Celeste ha raccontato al commissario? E che cosa unisce veramente Celeste a Gabriele fino all’ultimo loro respiro… e oltre?
La dea dei golosi
La dea dei golosi
– Mi confessi, padre, perché ho molto peccato. –
– È vero che il mio lavoro spesso è quello di raccogliere confessioni dalla gente ma sono un commissario di polizia non un ministro di Dio. –
– Mmh… Però quando ho detto la parola “peccato” c’è stato un tuono, non può non averlo sentito. –
– Certo che l’ho sentito. –
– Segno che dall’alto si approva quanto avrei intenzione di fare. Non è d’accordo? –
– Lo so che oggi è il giorno di chiusura del suo ristorante e che ha tenuto aperto solo per me, cosa che apprezzo moltissimo, ma non pensavo fosse un pretesto per confessarsi. –
– Infatti non le ho teso una trappola. Avevo piacere di cucinare per lei perché la considero un po’ un amico. Quanto è che ci conosciamo? Dieci anni, dico bene? –
– Sì. Più o meno dieci anni. Fui trasferito qui da Ferrara nell’aprile del 2008 e la prima volta che venni a pranzo da lei fu la prima domenica di giugno dello stesso anno. Fanno quasi dieci anni. –
– E la mia cucina le piacque subito perché tornò anche la domenica successiva e quelle dopo ancora… e tante altre volte durante tutti questi anni. –
– È vero. Diciamo che sono un habitué. Mi piace il suo ristorante. Il nome “La dea dei golosi” è più che appropriato, vista la qualità della sua cucina. –
– Troppo buono. Come vede non è un grande ristorante. Appena due salette con solo dieci tavoli in tutto. Che cosa strana: dieci anni che ci conosciamo e dieci i tavoli del mio ristorante. –
– Per lei certe cose non sono casualità, vero? Per quel che mi riguarda mi sento a mio agio qui. È un luogo confortevole e arredato con buon gusto. Se amassi i ristoranti grandi come una piazza d’armi preferirei pranzare alle mense aziendali. –
Celeste sorrise, i suoi occhi scintillarono, le rughe attorno alla bocca si affilarono.
– E mi dica, commissario Franchi, la cena è stata di suo gradimento? –
Un secondo tuono più forte del primo si udì esplodere sopra le loro teste in quel momento.
– Al terzo tuono inizierà a piovere. Prima qualche goccia che sentiremo cadere sulla tettoia qua dietro, sopra la porta che dà sul giardino, poi un vero temporale con tutta la furia che hanno i temporali in questa stagione. Ogni volta fa così: tre tuoni simili a tre rintocchi di campana e poi lo spalancarsi delle porte del cielo. –
– Sa cosa vorrei per chiudere degnamente questa bella cena? –
– Una fetta della mia torta di mandorle. –
– Proprio così. Una fetta della sua torta di mandorle, unica per via del suo ingrediente segreto. –
– Che non può essere rivelato. Nessun mago svela i suoi trucchi al pubblico. La magia consiste nel lasciare sempre dietro di sé un’aura di mistero. Per questa serata speciale, insieme alla torta le vorrei servire anche un cognac spagnolo, un Torres invecchiato vent’anni. A mio padre piaceva tanto il cognac ma poteva permettersene un goccio solo nelle grandi occasioni. Mi restano solo tre bottiglie di Torres, poi si passa a nomi meno blasonati. Visti i prezzi e la crisi non si può fare di meglio. –
L’uomo assentì con un cenno del capo.
La donna si avvicinò allo stretto tavolo di legno di ciliegio sul quale si trovavano i dolci, tagliò una fetta di torta di mandorle che adagiò su di un piattino di un vecchio servizio di porcellane danesi che posò davanti al commissario, quindi dalla madia prese la bottiglia del cognac e un bicchiere Napoleon e tornò per la seconda volta dal commissario, lasciò il bicchiere sul tavolo e vi versò il cognac. L’uomo ammirò il suo caldo colore ambrato, quindi fece roteare lentamente il cognac tenendo il Napoleon nella mano sinistra.
– Non mi ero mai accorta che lei fosse mancino. –
– Già. Anche se ho imparato fin da piccolo a essere ambidestro. Alle scuole elementari, un istituto di suore, quelle benedette signore mi informarono che la mano sinistra era la mano del diavolo, così me la legarono alla spalliera del banco costringendomi a imparare a scrivere con la destra. Ma quando non ero a scuola ricominciavo a fare tutto con la sinistra. Col tempo torna comodo sapere usare entrambe le mani in eguale misura. –
– La perfezione esiste e ha dei difetti bellissimi, disse qualcuno una volta. –
– Mmh, bella frase. Me la devo ricordare. –
Il commissario portò alla bocca una forchettata di torta.
– Squisita. Veramente squisita. –
La donna sorrise compiaciuta.
L’uomo finì con calma il dolce, poi assaggiò il cognac. – Meglio dell’ambrosia degli dei! – esclamò.
Celeste sorrise ancora una volta. In quell’attimo si udì il terzo tuono, un boato così potente da sembrare l’esplosione di una bomba. La donna sollevò la mano destra e contò con le dita. Arrivata a quattro si udirono le prime gocce d’acqua picchiettare sulla tettoia sopra la porta che dava sul giardino, che si trovava alle spalle del ristorante.
– Che le avevo detto? –
– Mi sa che sia difficile coglierla impreparata. –
– Le sono piaciuti i ravioli? –
– Molto. Sono diversi dai soliti ravioli che si mangiano un po’ dappertutto. –
– Ravioli alla ligure. Mia madre era originaria di Genova, fu lei a insegnarmi come farli. Alcuni nel ripieno aggiungono anche del macinato di carne di vitello, ma io preferisco metterci solo verdure: borragine, scarola, maggiorana, pinoli, un poco di mollica di pane e… –
– Un po’ del suo famoso ingrediente segreto che serve a dargli un sapore particolare. –
– Esatto. E lo stoccafisso le è piaciuto? –
– Eccellente. –
– Anche per quello ho usato una ricetta ligure. Cipolle, aglio, porro, prezzemolo, qualche acciuga, che serve a rinforzare il sapore, un paio di pomodori freschi e… –
Il commissario sottolineò il tutto con un gesto della mano: – E sempre un po’ di quel benedetto ingrediente segreto – .
La donna sorrise ancora.
L’uomo contraccambiò con un altro sorriso.
– Se deve confessarmi i suoi peccati sarà bene che si segga davanti a me. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo e fuori piove a dirotto. –
Celeste spostò appena la sedia dal tavolo, quanto bastava per potersi accomodare, e si mise di fronte al commissario.
[…]
Autore di vari documentari sugli Indiani d’America, dal 1996 al 2003 prende parte alla Danza del Sole – la cerimonia più sacra dei Nativi – fra i Lakota di Cheyenne River e Rosebud. In seguito a una visione riceve il suo nome indiano, “Bisonte Che Corre”, dal capo della Nazione Blackfoot Rufus Goodstriker. Qualche tempo dopo, dall’apache Danny “Many Horses” Rael riceverà il suo secondo nome: “Uomo il Cui Spirito si Solleva al di Sopra delle Nuvole”.
Ha pubblicato, fra gli altri, Il popolo del Grande Spirito, Sono tra noi, Il cerchio senza fine (Mursia), Vicini alla Creazione e Figli del tuono (Idea Libri), Di terra e di luce e 2012 l’anno del contatto (Barbera edizioni). Per Verdechiaro Edizioni ha pubblicato 2013 L’Alba della Nuova Era, La Conoscenza Segreta degli Indiani d’America, Mi chiamo Bisonte Che Corre, Oltre e oggi La dea dei golosi.