Breve corso di Mindfulness per educatori
«La presenza mentale è una questione di vita o di morte,
o se vogliamo fa la differenza fra l’essere vivi e sopravvivere.»
È possibile insegnare in modo creativo, libero e responsabile? È possibile usare una strategia didattica centrata sullo studente? Si può affrontare l’aula con un sorriso, senza stress e con piacevolezza? Si può continuare ad imparare insegnando? Può essere l’insegnamento una esperienza di crescita interiore per l’insegnante? Sono domande che chi frequenta le aule scolastiche prima o poi si è posto cercando un modo per rispondere; la pratica della Mindfulness (meditazione di consapevolezza) è uno strumento efficacissimo per affrontare lo stress e le difficoltà di uno dei mestieri più belli e difficili del mondo: l’educare. Questo breve testo nasce dai corsi tenuti dall’autore in vari istituti scolastici, ne ripercorre i vari passaggi offrendo spunti di riflessione sulle varie problematiche dell’insegnamento insieme a semplici e dirette istruzioni su come iniziare a praticare gli esercizi Mindfulness.
Un libro per tutti quegli insegnanti che vogliono vivere in modo libero, rilassato, creativo e responsabile il proprio lavoro, ma anche per chi vuole avere una nuova prospettiva in tutti i percorsi educativi (famiglia, gruppi ricreativi ecc).
L’insegnante consapevole
Un corso sulla consapevolezza
Tu non sei il tuo pensiero
Tu non sei Dio
Sto mettendo a posto tante cose nella mia vita
Introduzione
1 – Aula 202
2 – Educare o dis-educare?
3 – Relazioni educative
4 – Insegnare l’impermanenza
5 – Una perfetta imperfezione
6 – Chi sono io?
7 – Senza radici?
Nota sull’Autore
Prefazione
L’insegnante consapevole
«Sa prof che quest’anno urla di meno, a volte abbiamo paura che non stia bene perché fa dei lunghi respiri (la chiamo centratura), però poi riapre gli occhi (ci sono, qui e ora, ci resto, non vorrei essere in altri luoghi), inoltre ci ascolta di più (notano una smorfia e tentano di correggere il tiro), nel senso che sta un po’ più zitta (tiro sbagliato, peggiora la traiettoria) e ci lascia parlare più di prima (ed io che pensavo di lasciarli già parlare troppo). Invece secondo me prof lei è solo meno cattiva, o meno stressata, ma più esigente, ci dà 4 senza tante prediche, quando vado a casa e apro il registro, se non lo ha già aperto mia madre dal lavoro, non se ne dimentica uno (ripeto, si chiama centratura, meno parole e tanta musica)!».
A parte le ferite nell’orgoglio che stenteranno a guarire entro il millennio, hanno ragione, loro hanno sempre ragione.
Non è solo lo stress che sta diminuendo, è la consapevolezza che avanza.
Un corso sulla consapevolezza
La scorsa estate Marco Valli, Osel Dorje, mi propose un corso sulla consapevolezza nel mondo della scuola. Pensavo non sarebbe stato facile raggruppare altri colleghi e colleghe a parteciparvi, ma ero troppo allettata da una sottile promessa e, a una “cartavetra” come me, leggere che avrei potuto gestire il mondo con un tocco delicato, faceva davvero gola… puntavo almeno all’esser più lieve, a muovermi nella mia casa e nella mia scuola con andatura meno pachidermica. Alla fine il corso l’abbiamo fatto, questa la restituzione, potrebbe essere utile ad altri.
A scuola ogni anno si fanno corsi di ogni tipo: sicurezza (ora online, intanto che, consapevolmente, mescoli il ragù), competenze, digitali, bes… Non ci sono molte occasioni in cui ci vengano detti, ricordati o insegnati certi pensieri base: non identificarti col tuo pensiero; finito il tuo lavoro lascialo fuori, non portartelo a casa; ascolta.
Tu non sei il tuo pensiero
Al primo incontro, sorridendo con pace e serenità, Marco Valli ha ucciso, con amore, sia me sia la mia collega Elena: in un nanosecondo ha tolto la mia coperta di Linus, io che senza il pensiero mi sento Raperonzolo calva, io che senza il mio pensiero mi sento girare la testa e la mia identità svanisce come fumo al vento.
La prima grande difficoltà è stata non pensare, o forse dovrei dire, discernere i pensieri: a una lavoratrice intellettuale sembra impossibile non pensare, mi sono sentita come i miei alunni ai quali chiedo di imparare cose di cui non vedono l’obiettivo finale.
Per non parlare del dover restare immobile, prima ad ascoltare, sentire, a volte a cedere alla stanchezza fisica e restare secca sul tappeto della sala e risvegliarmi con la micia che mi lecca la faccia, altre volte a scansionarmi distesa sul letto, con gli auricolari e l’mp3 che mi diceva «Respiri, è una cosa buona» e mi veniva voglia di rivendicare il mio diritto a leggere Montale.
E lì ho cominciato a fermarmi. L’immobilità (diversa da quella dello scriba) è la condizione meno facile cui abituarmi, il disagio del permanere, ferma. Contare i respiri aiuta a non pensare, eh sì, ma quante volte ho contato fino a 6 per dover ricominciare e raggiungere il 10!?! Però, senza sentirmi frustrata, ho incominciato infatti ad essere più indulgente (anche) con me stessa.
Meditare credevo volesse dire pensare così intensamente da non essere altro che una specie di “pensiero neutro”, invece ora mi sembra esattamente l’opposto.
Tu non sei Dio
Elena, che scoperta sei stata per me, una che scrive gialli deve avere l’idea di poter risolvere tutto, e al corso hai imparato che, come l’ho imparato io, non siamo Dio.
Questa è stata la vera devastazione, il salto nel vuoto e buio. Come faremo a riprenderci? Noi che da scuola a casa continuavamo a pensare a quell’allievo, a come aiutarlo, a come parlare ai suoi, o all’altra, ai problemi che ci dava, ecc.
Tu arrivavi a casa a dipingere la tua “Cappella sistina” e continuavi a macinare pensieri, io a crogiolarli su mio marito che, dopo il nostro corso, sente anche lui quanto resta in silenzio in casa, se non fosse per i compiti di nostra figlia direbbe meno di 100 parole.
Non siamo Dio! Dobbiamo farci una ragione di non poter risolvere tutti i problemi della nostra scuola, del nostro collega o di un genitore, fatto quello che potevamo, a casa facciamo altro.
Elena, non ti senti più leggera? Io sì.
L’ascolto ha bisogno di due condizioni: che uno ci senta e che ci sia qualcuno che si faccia sentire. A scuola, come nella vita, non è sempre così. Passare poi dall’ascolto all’empatia è un’operazione più simile al passaggio dalla consapevolezza alla compassione.
Siamo nell’anno adatto.
Sto mettendo a posto tante cose nella mia vita
In famiglia dicono che sono cambiata, mia figlia dice che sono più gentile e ho più tempo per lei, mio marito, sue testuali parole, dice che non c’è neanche paragone, che sto mettendo a posto tante cose nella mia vita, non il garage e l’auto (che è rimasta fuori tutto l’inverno a causa degli scatoloni da riordinare), ma va bene così.
Questo corso, che in realtà è l’inizio di una vera buona pratica, è stato anche un’occasione per riflettere su me stessa, sul mio lavoro, sui rapporti con gli altri, con gli allievi, coi colleghi, soprattutto quelli con cui l’empatia è a zero.
Sto cercando di scegliere, senza sensi di colpa, di distinguere i miei errori da quelli degli altri, di trovare un mezzo quando ne vale la pena. Mi sembra, forse mi illudo, di vedere meglio quali sono gli incontri positivi e da cui proviene un’energia buona, quindi li curo; cerco di vedere invece quali sono gli incontri negativi, carichi di frustrazioni, che mi tolgono energia, e provo a evitarli, senza sensi di colpa.
Ho rivendicato il diritto al raccoglimento per venti minuti al giorno (come il falò del reggiseno per una femminista), perché credevo di dover togliere tempo al riposino, al lavoro, ai lavori di casa, alla cucina, invece no (la casa è e resta caotica). Li ho tolti alla sabbia, al superfluo, e, soprattutto, riesco a fare alcuni lavori per la scuola in meno tempo, mi distraggo meno.
Non è così tutti i giorni, oggi, per esempio, spesa veterinario spesa visita a mamma e nonna spesa cena coccole a Giulia che si è infilata nel lettone ora a scrivere poi pizzette e poi resta il tempo per qualche respiro consapevole e creativamente ci proviamo a rientrare in classe anche domani, e da domani, insegno un po’ di Mindfulness ai miei ragazzi e ragazze.
Professoressa Sara Ferrari
(articolo pubblicato sulla rivista
“CEM Mondialità” del marzo 2016)
Maestro di meditazione della scuola Nyingmapa del Buddhismo tibetano, tiene corsi e conferenze diffondendo la pratica meditativa in modo laico e informale.
Già redattore di CEM Mondialità, scrive su vari giornali e riviste, e ha pubblicato numerosi libri fra cui: La saggezza folle (Ed. Promolibri, 1995), Solamente un gusto (Ed. Xenia, 1999), Le ore dell’anima (Ed. Xenia, 2002), Il Buddha in classe (Ed. Xenia, 2017). Da sempre è attivo nel dialogo interreligioso e interculturale.