Oltre la fisiognomica
Con copertina e commento di Franco Battiato
«Questo lavoro rappresenta una ricerca nuova e originale che spiega molte cose sulle origini del nostro essere e lascia all’immaginazione la direzione verso la quale il fato va spingendoci».
Franco Battiato
In un mondo dove chiunque può fare ricorso al chirurgo estetico, cambiando a piacimento connotati e forme; dove chiunque può declinare la propria individualità in innumerevoli modi mediante i mezzi della costruzione virtuale di se stessi, ha ancora senso parlare di fisiognomica in senso classico?
Tutti, insomma, paiono essere piccoli architetti della propria immagine, e perfino di una vasta gamma di connotazioni comportamentali, proiettate con un demiurgico click del mouse nel cyberspazio della second life: un modo assolutamente diverso, anche rispetto a un mucchietto di anni fa, di pensare se stessi e di proiettare il proprio eidolon nel mondo, divenuto avatar.
Questo libro non ha nulla del volume classico sulla fisiognomica. Si configura piuttosto come un’indagine quasi holmesiana che, partendo da una serie di indizi, intende approdare a una qualche conclusione. Strada facendo, non si tralasceranno i fondamenti generali della materia più classica, ma tentando di rimanere a occhi ben aperti e assolutamente fermi nell’intento di volerne fare, per dirla con le parole del venerabile Jorge, soltanto «mera ricapitolazione».
Prefazione, di Gianluca Nicoletti
Introduzione, di Marco Klinger
Essere e apparire
L’anima e il volto
Gli stereotipi. Metamorfica dell’apparire
Uno sguardo alla fisiognomica classica
Cenni di fisiognomica astrologica
Cybermetamorfica
Allo specchio dei neuroni specchi
Essere e apparire
Se dovessi scrivere un ennesimo trattatello di stile scientifico sull’argomento “fisiognomica”, per fare il verso all’enfatica leggerezza di linguaggio in voga nel secolo scorso, sono certo che rinuncerei subito.
E questo per alcuni buoni motivi.
Il primo è che non si possono ribollire cose cotte e stracotte in tutte le possibili salse senza il rischio del disfacimento della materia stessa. Il secondo è che gli archeologi del vecchio pensiero o gli archivisti della notizia stantia sono stati già benedetti per loro fortuna da una non proprio recente invenzione che si chiama internet: colossale contenitore di armadi virtuali e inodori, spalancando i quali è possibile soddisfare un numero ragguardevole di curiosità datate e vetuste quanto si vuole, senza però svenire per colpa del lezzo tipico proveniente dalla carta macerata di una fatiscente ancorché affascinante biblioteca. Un’altra ragione, e forse la più importante, è che per rispetto nei confronti del lettore non possiamo parlare di fisiognomica, posta nel novero delle pseudoscienze, prendendo per oro colato certe pietre miliari di quel pensiero oltre il piano meramente folkloristico. Oggi quel genere di approccio, per quanto curioso e perfino divertente, appare abbastanza ridicolo, alla stregua di certi insopportabili doppiaggi dei film del passato.
Quello che propongo in questo libro è dunque piuttosto un’indagine di tipo quasi holmesiano, che, partendo da una serie di indizi, finisca per approdare a una qualche ragionevole conclusione.
Strada facendo, non temano i puristi di questa materia, verranno tracciati alcuni fondamenti generali della fisiognomica classica e, quasi certamente, trapelerà perfino una certa simpatia: la stessa che va per affetto a quei nonni che ci hanno trasmesso qualcosa.
Una tentazione che a maggior ragione spinge a tenere gli occhi ben aperti, assolutamente fermi nel proposito di voler fare della materia soltanto «mera ricapitolazione» per usare le parole del venerabile Jorge, terribile e dotto monaco del Nome della rosa.
Il volto. Disseminato di indizi da indagare. Bocca, naso, occhi sembrano tratti somatici comuni a ogni essere umano: in realtà esprimono peculiarità capaci di rendere ciascuna persona unica e irripetibile, assolutamente differente da un’altra, allo stesso modo di musiche o canzoni diverse sebbene costruite servendosi delle medesime sette note.
Eppure, come lo sconfinato caleidoscopio di espressioni musicali è frutto della ripetuta elaborazione della notazione sul pentagramma, allo stesso modo si può osservare quanto le tipologie umane riescano a replicarsi, fino al punto che tratti, portamento e atteggiamenti simili tra loro arrivano a corrispondere a destini singolarmente affini.
Questa singolarità si evidenzia meglio immaginando varie sfumature di una metaforica scalarità tonale, per attingere ancora dal linguaggio del mondo della musica: così per esempio un fenotipo alla Einstein potrebbe ritrovarsi nelle sembianze di un buon professore di matematica, come non dovrebbe sorprendere la possibilità di incontrare stupefacenti coincidenze nella faccia di un valente chirurgo di New York e di un buon macellaio siciliano.
Di questo inizia a parlare Corman nella sua psicomorfologia, quando con i suoi studi muove i primi solidi passi verso l’evoluzione della fisiognomica, riscattandola definitivamente dalla vetusta condanna a una visione statica dell’atteggiamento dell’essere umano.
Corman, nonostante l’arditezza delle sue speculazioni, difficilmente avrebbe potuto immaginare i singolari scenari di un tempo come il nostro. Ma l’interazione psiche-forma intuita dallo studioso è ancora uno stimolo per chi abbia voglia di entrare nei complicati meccanismi di identificazione-disidentificazione. È evidente che sempre di più ci stiamo avviando verso una così pronunciata disidentificazione dell’uomo da mettere a repentaglio la sua pretesa, fatidica, irreplicabile unicità, proprio perché la nostra società, ormai ossessionata dal bisogno di auto-replicarsi e auto-clonarsi, impone chiavi di lettura assolutamente adeguate allo scopo.
L’urgenza dell’apparire ha preso ormai il sopravvento sull’essere e questa tendenza – che non è più semplicemente una moda ma un nuovo modello sociale – ci porta a non tollerare più il patrimonio genetico di cui madre natura ci ha dotato e a non subirlo come fosse un verdetto granitico.
Lentamente ma inesorabilmente stiamo apprendendo a plasmare la nostra immagine, a renderla vicina a un ideale realizzabile in modi diversi: astratto, se viene dalla percezione di chi vorremmo essere se fossimo nati in un’altra epoca (magari con l’intuizione di chi eravamo in una presunta passata reincarnazione…), vivido se ci confrontiamo con persone che ci sono vicine cui vorremmo somigliare (pensiamo al conflitto tra due sorelle di cui una è meno bella dell’altra), immaginifico se ci confrontiamo con idoli dello schermo, virtuale se intendiamo plasmarci traendo spunto da una realtà incorporea.
Kierkegaard definisce “estetici” ed “etici” due differenti momenti dell’uomo nella sua avventura esistenziale. Con il primo indica l’esigenza di un contatto con la vita di impronta narcisista e votata al corteggiamento del bello che, da ideale, può trasformarsi in mitomania autoreferenziale. È, invece, attraverso l’etica che diventa possibile uscire dai meandri di una visione superficiale delle cose, dall’apparire, per rafforzare nell’essere, libero di scegliere, la completa e responsabile permanenza nel mondo in quanto parte integrante di una società.
Dilemma antichissimo, la scelta tra essere e apparire, che sin dai tempi più remoti, e quindi molto prima che esistesse un metodo psicologico, ha caratterizzato tutte le dottrine sapienziali e venato gli insegnamenti religiosi.
Ma così come per influenza cartesiana le due categorie hanno mantenuto anche sul piano teologico cristiano caratterizzazioni distinte e inconciliabili, in modo ben definito la cultura morale orientale ha da sempre puntato a “guardare oltre” l’apparenza, ritenuta solo una cortina al di là della quale si trova la vera essenza di una persona, quella che conta davvero. Occorre, in un meditativo processo di lenta e profonda presa di coscienza, arrivare a strappare il fatidico “velo di Maya”: e allora tutto si manifesta quale perfezione indefettibile del creato, perché ne è parte.
Al contrario, la nostra società definita “occidentale” continua a vedersela con questi stereotipi divenuti troppo “centrali” per non dilaniare l’uomo, in un conflitto irrisolvibile di stili di vita così esigenti e dicotomici da far rischiare la schizofrenia. Se, quindi, un determinato orientamento mistico o filosofico porta alle ragioni dell’essere nella sua “sacralità”, d’altra parte l’eccessiva competizione, il culto dell’effimero, il consumismo sfrenato spingono in molti casi all’idolatria di sé e della propria immagine. Secondo Kierkegaard l’uomo maturo riesce finalmente ad avvertire tutta la noia di una simile protratta condizione che, presto o tardi, porterebbe al disgusto verso se stesso. Ma i tempi sono cambiati radicalmente e sono ormai fin troppe le continue e confuse metamorfosi nel sentire comune per poter individuare indizi di un simile raffinato percorso evolutivo.
Un fatto appare certo: essere e apparire, esattamente come accade nel caso della ancora “moralistica” gestione della sessualità, sono rimasti incastrati nel labirinto senza via d’uscita delle dicotomie manichee create dalla nostra stessa tradizione culturale. […]
è scrittore e giornalista per QN, che comprende “La Nazione”, “Il Giorno” e “Il Resto del Carlino”.
Uno dei massimi esperti di Hemingway in Italia, è inoltre uno studioso di dottrine filosofico-esoteriche occidentali e orientali e per circa 30 anni ha collaborato con il ‘Giornale dei Misteri’, antica e autorevole rivista fiorentina dedicata alla cultura esoterica.
Ha scritto diversi libri, tra cui “A spasso con Papa Hemingway”, “Franco Battiato, un Sufi e la sua musica” e “Battiato. Another Link” (Ed. Verdechiaro) incentrati sulla figura del celebre artista; “Il Libro dei Rimedi Magici”, “Magia della Piramide”, “Le Stagioni della Magia” e “L’Amore Tantrico”.