Mu, la Pachamama dell’umanità
Un incontro iniziatico sul lago Titicaca
In questo libro Anton Ponce de Leon ci parla, con semplicità di cuore e mente universale, delle nostre origini remotissime, che risalgono al mitico continente Mu, la Grande Pachamama dell’umanità, dei principi basilari del buon vivere, della missione dell’uomo nella vita e di come trasformare il Volere in Potere.
E’ un incontro iniziatico con il Maestro Amaru e con il Fuoco, avvenuto sul lago Titicaca.
“…Per realizzare qualcosa di grande dobbiamo metterci il nostro spirito con tutta la sua potenza e il nostro corpo con tutti i suoi sensi… metti amore in tutto ciò che fai e potrai creare nella tua vita un luogo meraviglioso per vivere, ti trasformerai nell’amore stesso… l’amore aspetta la tua creazione…”
Il sito dell’Associazione Samana Wasi Italia onlus: www.samanawasi.it
1. L’incontro
2. Mu: la grande Pachamama
3. Nina Kancha
4. Volere è potere
1. L’INCONTRO
Iniziava, per me, il settimo giorno al Lago Sacro, il lago navigabile più alto del mondo, a 3.852 metri sul livello del mare, tra Perù e Bolivia.
Mi alzai molto presto, mi ero svegliato con angoscia, inquietudine, e mi domandavo perché… Non c’era o non esisteva causa apparente, stavo lavorando con allegria e molta pace alla conclusione del mio libro “Amaru”; inoltre, mi sentivo molto connesso con questa bella tradizione. Tuttavia, l’ansia inspiegabilmente si stava impadronendo di me, così decisi di uscire dall’hotel, con il sole che sorgeva dietro le splendide montagne innevate annunciando il chiarore del nuovo giorno, la rinascita della vita, l’inizio delle attività.
Questo lago, profondamente misterioso, porta il nome di Titicaca, che viene da Tete Qaqa, ossia Puma di Pietra… Sono trascorsi migliaia di anni e oggi, finalmente, grazie agli sviluppi della scienza, è confermato dalle fotografie satellitari che effettivamente ha la forma di puma!…
L’Hotel Libertador dell’isola Esteves a Puno, sulla riva del Lago Sacro, mi accolse con molta simpatia, fui ricevuto molto bene, con cura e attenzione. È molto bello, comodo e tranquillo, perciò non avevo motivo di sentirmi infastidito, comunque la mia decisione era presa: uscire nonostante il freddo mattutino (era inverno, per di più) per dirigermi al molo dell’hotel, salutando le signore che vendevano oggetti di artigianato lì nei pressi e con le quali conversavo quotidianamente.
Quasi restai senza fiato!… Il cuore accelerò, batteva violentemente, suonava come un bombo… Non poteva essere!… Mentre scendevo le scale di pietra che conducono al molo, vidi con molta chiarezza l’immagine di un uomo alto, con un poncho color marrone che portava come decorazione laterale una fascia verde, indossava un berretto di lana, aveva i capelli bianchi, forse?… Era kechua naturalmente, però… No, mi stavo sbagliando!… Forse non avevo dormito bene… Era il mio subcosciente che mi faceva vedere quello che immaginavo, e che volevo, oltretutto, vedere… Però, mano a mano che mi avvicinavo a lui, che era di spalle a me, guardando il lago… l’emozione aumentava, le lacrime non mi permettevano più di vedere con nitidezza… Accelerai il passo… i miei dubbi non importavano e… lui si voltò!…
– Tranquillizzati!… – mi disse amorevolmente, aprendo le sue braccia verso di me…
Corsi e lo abbracciai con tutte le mie forze e l’amore che sentivo per lui, senza che potessi pronunciare una sola parola… Piangevo dall’emozione… Non mi aspettavo questo regalo dalla Vita!… Compresi finalmente il motivo della mia ansia. Che bel regalo! Era il maestro Amaru Cusiyupanqui*! Erano trascorsi più di vent’anni dalla sua visita a Samana Wasi. I miei vivevano ancora con noi in quel momento importante.
Però come sapeva che io ero al Lago Sacro?… Bene… che domanda! O era un incontro casuale? Dalla sua altezza mi guardava con occhi profondi e amorevoli. Finalmente disse:
– Continui con i tuoi dubbi. Te lo dissi già tempo fa, il dubbio va bene, ti avvicinerà alla verità. Però ti dissi anche che nessun estremo è buono, gli estremi fanno danno, non devi dubitare di tutto e all’estremo. Converseremo questa notte, devo tornare al villaggio (il villaggio “A”). Mi aspetterai nella tua stanza alle otto di sera e adesso rientra, devi continuare a scrivere.
Lo abbracciai di nuovo. Era il maestro, con l’energia di sempre che mi faceva girare la testa. Non erano trascorsi gli anni per lui, era un essere senza tempo. Sempre buono e umile, con l’umiltà dei grandi. Umiltà non significa piccineria, ma se non comprendiamo il suo reale senso, diventeremo piccoli davvero, per immaginarci di essere grandi…
Sono sicuro che egli mi aveva chiamato perché andassi al lago, senza che me ne rendessi conto coscientemente.
Mi sentivo molto bene, totalmente riconfortato. Però il giorno trascorse senza che potessi scrivere nulla, era troppa l’emozione e le otto non arrivavano mai! Che giornata lunga! Non veniva mai notte.
Dalla mia stanza al terzo piano c’era una vista eccezionale del lago, tutta la parete di vetro mi permetteva di accogliere quotidianamente i primi raggi di nostro padre Inti all’alba, e di notte contemplare nell’oscurità del lago le lucine che si muovevano sulla superficie dell’acqua, di qualche piccola imbarcazione che tornava in ritardo in città, o quelle ancora più lontane dei veicoli che circolavano sulle strade che costeggiano il lago.
Quattro colpi alla porta! Mi distolsero dalle mie disquisizioni e mi affrettai ad aprirla. Il maestro dovette chinarsi per entrare… io sorrisi… lui anche.
– Ho sempre questo problema – disse.
Guardai il mio orologio: erano le otto di sera!
– Maestro, la tua presenza mi rende tanto felice – gli dissi. – Molti anni senza vederti.
– Noi ti vediamo sempre e siamo informati di tutto quello che fai e… anche di ciò che non fai… – disse con un sorriso burlone. – Seguiamo i tuoi passi, tu ti sei impegnato, nessuno ti ha obbligato – lo disse molto seriamente.
– Non sono pentito Amaru, caro maestro – dissi – è che sono molto umano e più di una volta mi sbaglio, quindi sento la pressione della comunità in cui vivo.
– Credo che finalmente tu abbia superato quello che voi chiamate “cosa diranno?”.
– Si maestro, ora non mi influenza più come all’inizio. È stata una sciocchezza della mia personalità – risposi.
– Bene, smetti di chiamarmi tanto “maestro”. A partire da domani notte, alla stessa ora, ti farò visita, però non più nella forma come ho fatto oggi, ma attraverso questi vetri sentirai quattro colpi che ti annunceranno la mia presenza; mi ascolterai soltanto, senza vedermi. Dobbiamo fare esperienza così, per rimanere sempre in contatto. Devi imparare – disse.
Questa si che sarà una esperienza molto difficile per me! Come sarà? – pensavo. – Nelle mie conferenze più di una volta sento la sua presenza e sono i suoi stessi pensieri che escono da me. Mi aveva già detto, in precedenza: “penserai con i miei pensieri”… Forse non riesco a “sentire” bene…
– Bene, dovrai imparare ad ascoltare – mi rispose Amaru, che “naturalmente” stava leggendo i miei pensieri…
– Lavati bene le orecchie – rise. – Durante il giorno continuerai a scrivere ciò che ti eri proposto e alla sera, per qualche ora, mi ascolterai e prenderai appunti per i tuoi prossimi libri.
Lo guardai pensando che scherzasse. No, era molto serio.
– È importante insistere sulla storia dell’umanità, sui valori persi e ricordare, per vivere bene, che siamo venuti sulla terra per essere felici – puntualizzò. – Ora me ne vado, devi riposare. Stiamo già facendo le ore piccole – sorrise, si alzò in piedi, mi abbracciò forte, sentii il suo calore umano, d’amore come sempre…
Erano trascorse due ore. Aspettai prudentemente un momento, forse 15-20 minuti. Calcolando che il maestro fosse già uscito dall’hotel, scesi per chiedere alla reception se qualcuno mi avesse cercato, perché, conoscendolo, avevo i miei dubbi…
– Nessuno è venuto a cercarla, signore – mi rispose l’impiegato di turno.
Lo sapevo già… volevo soltanto averne la conferma – pensai.
– Vuole che la faccia chiamare, se la cercano? – mi chiese.
– No, molte grazie. Non credo che vengano più, a quest’ora – gli risposi.
– Desidera, signore, che la svegliamo a qualche orario, o ha bisogno di qualcos’altro?
– La ringrazio molto. Non mi serve nulla. A domani.
– A domani signore, buon riposo – mi rispose.
Nessuno aveva visto entrare il maestro! Lo supponevo.
E domani, come farà a bussare al vetro della finestra che si trova a circa a 6-7 metri di altezza?… E infine, come ha potuto andarsene così rapidamente fino al villaggio? Ritornerà domani sera? Neanche avesse un aereo supersonico… oppure ce l’ha?
Avevo i miei dubbi, nonostante lo conoscessi molto bene. Sono capaci di qualsiasi cosa!… Non voglio più pensare ad altre possibilità e… mi addormentai.
Poiché l’apparizione del maestro mi aveva impressionato moltissimo, fui trasportato nel sogno, per l’ennesima volta, al villaggio “A”. Quel luogo magico, permanentemente tanto anelato e importante per la mia vita. I visi degli amati maestri Yupanqui Puma, Nina Soncco, Amaru Cusìyupanqui e altri di cui avevo soltanto sentito belle storie, erano presenti come se recuperassero vita fisica in quello stesso momento, insieme ad altri cari esseri come Ch’aska e qualcun altro che conobbi e che aveva conversato con me durante il lavoro nei campi. Ero uno di loro e raccontavo nel sogno che “avevo sognato” di essere lontano dal villaggio, di vivere in grandi città e perciò era solo un sogno, perché io vivevo con loro al villaggio.
Fui svegliato dai rumori di gente che raccoglieva patate in un terreno vicino all’hotel, proprio sotto alla mia finestra. Mi riportarono alla realtà. Conversando, ridendo e scherzando, svolgevano la loro attività mattutina (i lavori agricoli si iniziano sempre al mattino molto presto) che si concludeva dopo mezzogiorno. Le loro donne arrivarono con la colazione che condivisero tutti insieme e… qualcuno si accorse che li stavo guardando, alcuni alzarono la testa e mi invitarono con un gesto a scendere. Così feci e divisi anch’io con loro la squisita merenda, che mi ricordò momenti simili al villaggio.
Mi chiesero cosa facessi a Puno, in quell’hotel. Risposi loro che scrivevo riguardo la storia sconosciuta dei nostri antenati andini. Gli adulti mi guardarono sorpresi, i più giovani si entusiasmarono al mio racconto. Non avevano mai sentito questa storia e a scuola era diversa. Quando menzionai Manco Qapac e la sua sposa come due esseri di luce, saggi che erano giunti da molto lontano attraversando il Lago Sacro, uno dei ragazzi assentì muovendo la testa e con profondo interesse disse che aveva sentito una storia simile da un vecchio aymara ora morto.
– Quell’uomo sapeva molte cose, però nessuno gli credeva. Qualcuno rideva dei “suoi racconti”. È pazzo, dicevano – aggiunse con dispiacere.
– Che peccato! – dissi anch’io – avrebbero dovuto ascoltarlo. Sicuramente conosceva la storia che oggi non si conosce ancora… […]
Anton Ponce de Leon Paiva è nato a Urubamba, in Perù, il 14 Settembre 1931.
Anton ha ricevuto gli insegnamenti dai maestri andini eredi della conoscenza solare muriana, tuttora viventi sulle Ande peruviane. E’ fondatore della comunità di Samana Wasi (La Casa del Riposo) a Urubamba, nella valle sacra degli Incas, dove vengono accolti bambini e anziani abbandonati.
Anton è scrittore, profondo conoscitore dell’antica tradizione andina, conferenziere internazionale, metafisico e terapeuta psicofisico.
Alcuni dei suoi libri sono stati tradotti in sei lingue, tra essi in italiano: